UMBERTO MASTROIANNI: IL LIRI, FONTANA E L’ARTE

Un evento culturale destinato a passare alla storia è la mostra delle opere di Umberto Mastroianni e delle sue proposte monumentali promossa dall’Amministrazione provinciale di Frosinone.
L’inaugurazione, avvenuta il 18 gennaio (chiuderà il prossimo 18 marzo), è stata anche l’occasione per un colloquio con il grande artista originario di Fontana Liri che, di seguito, si propone.
D. Lei ha scritto «Il Liri arriva dall’Abruzzo, sfocia a Sora, passa Isola, Anitrella ed invade Fontana Liri. È un bel fiume impetuoso, sempre pronto a straripare, un fiume come ce n’è tanti, ma questo è il mio fiume, ricco d’argilla, paludoso a volte che pare porti nelle sue viscere melmose le stimmate del tempo. Sfocia cosi nella Ciociaria e rimane ancora mio prima di diventare Garigliano. Ai suoi margini, da ragazzo, impastavo la rena, sull’arenile dorato dopo che ne aveva depositato quasi montagne dopo l’uragano…». Quali sensazioni scaturiscono da questi ricordi?
R. Sono ricordi che in verità mi commuovono tuttora, più che mai. Essendo stato molto lontano dalla mia terra, questo ritorno per me è straordinariamente importante, interessante. Anche per fare un po’ il punto della mia situazione artistica e morale. Sono inebriato veramente da questo ritorno che sicuramente porterà un vantaggio ed un arricchimento alla mia arte perché in fondo questo incontro è una provocazione, questo momento che mi dà la possibilità di rientrare nel guscio della mia terra. Ed è straordinariamente importante ai fini del mio possibile, ulteriore sviluppo. Io sono già abbastanza vecchio per cui non credo che il mio sviluppo potrà essere molto importante. Ma, pur tuttavia, ancora sento i segni di una tradizione nostra che tento di portare ancora avanti.
D. Ed oggi, se ha rivisto il fiume, come ha trovato questo Liri?
R. L’ho trovato quasi come allora. Quasi quasi mi sarei chinato per riprendere a fare delle figurine Ma ho capito che le figurine che farei oggi sarebbero figurine un po’ smaliziate, un po’ sofisticate. Per cui ho lasciato perdere o, per meglio dire, ho desiderato che dentro di me la traccia rimanesse quella di allora, cioè di ragazzo, di giovane, di piccolo bambino che cercava qualche cosa nella vita.
D. Nei suoi Appunti per una vita si legge, ancora, che la sua storia «affoga nelle remote radici di Fontana Liri», citando, tra l’altro, la sua città come «balconata felice» e accennando alla «fertile piana» in cui si ergono Arce, Monte S. Giovanni Campano, Ceprano, Frosinone, Arpino con le sue mura ciclopiche, Casamari… Da artista può dipingerci le emozioni che scaturiscono da questo paesaggio.
R. Mi colpisce la spazialità storica, di questa terra, anzitutto, perché, nonostante che questi luoghi mi appartengano da un punto di vista proprio di razza, ritengo questa spazialità, questa monumentalità, un’opera d’arte. Ogni città di questa stupenda zona, di questa regione è un’opera d’arte ed ognuna ha una grossa storia. Non ci dimentichiamo che la Ciociaria ha edificato Roma ai tempi che furono e, quindi, questa grande vicinanza che Roma ancora oggi ha nella Ciociaria è terribilmente importante. Per cui, guardando queste città, in ognuna di esse si potrebbe dire che io ritrovi i segni di una grandezza, passata, naturalmente. Di una grandezza che ebbe origine ai suoi tempi ma che oggi, penso, potrebbe di nuovo rivendicare questa storia, e a ragion veduta.
D. Queste sono sensazioni sulla Ciociaria di ieri. Quali, invece, quelle sulla Ciociaria di oggi?
R. Io giro molto il mondo, viaggio moltissimo. E, allora, che mi succede? Che guardando quello che accade nel mondo, penso che la mia Ciociaria, dico la mia Ciociaria, è un po’ calma. È un po’, non dico addormentata, non dico questo, però lenta, diciamo così, a questo rilancio moderno. Siamo nel Duemila, a momenti. Siamo arrivati sulla luna. Tutto veramente si scompone e si lancia in avanti mentre qui, credo che siamo ancora un po’ fermi nonostante l’intelligenza di prim’ordine che c’è qui, la genialità, il fenomeno di vitalità che esiste in questi luoghi. Pur tuttavia, il rilancio lo vedo un po’ deboluccio. Io arrivo da New York, arrivo da Tokio, arrivo qui ed evidentemente mi viene subito in mente che noi potremmo fare molto di più se ci rendessimo conto che oggi dobbiamo muoverci, essere veramente alleati con il mondo, con il mondo lontano, con il cuore dell’Europa. Questa pausa che c’è qui, mi tormenta un pochino.
D. Quali rapporti la legano ancora a Fontana Liri?
R. Solo rapporti affettivi, così, di nostalgia, di affetto, in quanto c’è ancora qualcuno della mia famiglia. Ma, insomma, ormai io sono andato via da questa terra da ragazzo, all’età di otto, nove anni, sono andato a Roma a studiare. Poi ho cominciato a girare. Sono stato molto tempo a Torino. Ho vissuto molto a Parigi e a New York. Ho girato il mondo intero dove ho opere d’arte dislocate un po’ dovunque nei musei più importanti, dal Giappone ai Paesi Bassi. Ma anche se mi sono allontanato il cuore è rimasto qui. Mentre il mio cuore è qui, allora soffro a vedere che questa nostra terra piena di fascino piena di intelligenza, piena di cultura, stenta a muoversi. A mettersi veramente in riga coi tempi, coi tempi che urgono.
D. Passando dal territorio all’artista, la sua produzione artistica è divisa in due fasi: la prima, che si è conclusa negli anni ‘40; la seconda che, partendo da quegli anni, arriva ai nostri giorni. Del resto, lei ha dichiarato in altra occasione che «fino al 1940 sono stato uno scultore tradizionale: nudi in terracotta, volti femminili, insomma sapevo plasmare le forme in modo classico. Ero un pacifico scultore che si dedicava al realismo, un uomo felice.»
R. Sì! Ero legato alla tradizione italiana, alla grande tradizione della scultura, per cui ero un uomo felice. Allora la scultura si faceva in senso tradizionale guardando gli antichi. Per cui certi problemi erano già stati risolti dagli antichi, non da noi. Noi non facevamo altro, in un certo senso, che interpretare quello che gli antichi avevano risolto. Mi sono allora reso conto che bisognava che certi problemi li mettessimo sul tappeto noi e li risolvessimo noi. Poi c’è stata la guerra, l’ultima grande guerra ha un po’ condizionato la nostra posizione di artisti riguardo alla storia, riguardo alla società. E mi sono reso conto che questa scultura tradizionale, idillica, romantica finché si vuole, però non era all’altezza di appagare il nostro momento tragico che stavamo attraversando. Quindi ho dovuto cambiare scultura, cercare di interpretare, invece, le tragedie del mondo, i grandi problemi che la guerra ci ha portato in casa nostra. E quindi l’arte ha subito un po’ le conseguenze della tragedia e, da allora in poi, la mia scultura è stata rivoluzionata nel senso che, allontanandosi dalla verità naturalistica, tradizionale, è entrata nell’ambito delle grandi scoperte, cioè di una grande tradizione moderna legata più al mondo, legata più ai poli di New York, di Parigi, di Londra, di Tokio e non al problema un po’ provinciale che, purtroppo, avevamo assaporato da secoli. Quindi ho desiderato la rottura di questi fatti, perché senza questa rottura noi ci fermiamo, ci fermeremo tutti, anche l’arte non avrà nessuna ragione d’esistere. Perché non basta più fare la bella testa del commendatore o della bella signora. Queste non entrano nella storia, sono argomenti marginali. La scultura è un’altra cosa. È un fenomeno molto più impegnativo. Impegna le masse, la cultura, la politica. Tutto! È un fenomeno completamente sconvolgente e a questo bisogna arrivarci avendo il coraggio di sacrificare doti personali per metterle a disposizione della ricerca, com’è successo per la scienza, per la fisica, eccetera, eccetera.
D. Ma non rimpiange proprio mai quel periodo della sua attività artistica che si chiude negli anni 40?
R. No! Non lo rimpiango. Anche perché lì ho dato la mia gioventù, per cui come posso rimpiangere veramente un modello sul quale la mia gioventù ha giocato una vita? No! Però mi rendo conto, ormai uomo maturo, che questo amore era un amore giovanile, sia pure di un certo prestigio, indubbiamente, però, era un amore giovanile che ho dovuto far quasi soccombere per andare alla ricerca di qualcosa di meno appassionante, di meno poetico, però più robusto, più atto a mettersi in regola coi tempi che stiamo percorrendo.
D. L’influenza della Seconda Guerra mondiale è stata dunque notevole sulla sua attività artistica?
R. Non si può rimanere indifferenti vicino a un processo storico, a una tragedia di quel genere lì. Questo è successo per la letteratura, per il cinematografo, per la scienza, per tutte le arti. Ha sconvolto completamente tutto. E quindi le pare che l’artista può rimanere insensibile davanti a questi fenomeni? È un assurdo. Noi artisti siamo i primi a sentire, abbiamo questa possibilità di captare, i primi, probabilmente, certi sensibili spostamenti storici. Per cui non era possibile rimanere assenti. Anzi, quelli che sono assenti, sono come dei morti. Non hanno più ragione di esistere. Non hanno nessuna giustificazione. Ed è tragico quando, ritornando alla propria terra, non dico nella nostra zona, ma in tutte le zone italiane e in tutte le parti del mondo, si vede gente che ancora dorme, facendo il ritrattino o facendo la figurina all’acqua di rosa. Questo è antistorico, è assurdo, quando vediamo il mondo — io parlo del mondo intero – com’è cambiato.
D. Torniamo alla Ciociaria. Per via delle opere già realizzate per la sua terra e di quelle in corso di realizzazione o già programmate non ritiene di costituire un’eccezione a quel detto già codificato ai tempi di Cicerone e di Giovenale secondo il quale nessuno è profeta in patria?
R. Questo sarebbe troppo. Significa pretendere troppo. No! Però, indubbiamente, chi conosce la storia, la storia della propria patria, si rende conto che questa non è una terra promessa. È una terra vera. Le dicevo poc’anzi che questa terra ha fatto Roma. È una terra come una grossa miniera, una miniera di sapere Si tratta soltanto di organizzarla, questa miniera. Di metterla in condizione di essere degna dello sviluppo che oggi avviene in tutti i campi, nel mondo intero. Cioè dobbiamo affiancarci. Dobbiamo metterci in prima linea. È come se facessimo una guerra. Bisogna veramente che ognuno di noi si metta al suo posto e cerchi di guadagnare quel tanto di terreno per il benessere di tutti. E, poi, è un fatto sentimentale la mia terra. I miei genitori sono nati qui. Quindi, come si fa, ad un certo momento, se un uomo è un uomo tutto di un pezzo a dimenticare dove uno è nato dove ci sono ancora le vestigia di un passato e di una storia. Mi sembra assurdo E un uomo che ha il coraggio di sacrificare questo passato non è neanche degno del futuro Non si può costruire un palazzo senza le fondamenta.
D. Questo discorso non vale, ovviamente, per lei che, tra l’altro, avrà il suo nome legato anche alla ‘Fondazione’ abbinata a quel Centro Internazionale di Arti moderne che troverà ospitalità nel Castello Ladislao, sulla sommità della collina di Civita Falconara, ad Arpino.
R. Sì. questa ‘Fondazione’ che presto speriamo di veder realizzata. E questo a mio avviso potrebbe essere un Centro straordinario per la divulgazione delle opere d’arte per gli artisti, per tutti quelli che amano la cultura e specialmente per la gioventù, artistica e non artistica. Si dovrebbe veramente propagandare da questa ‘Fondazione’ un’era nuova, una specie di resurrezione. Le parlo in un senso molto chiaro: dovrebbe avvenire qui un rilancio su tutta la linea e il filo conduttore potrebbe essere veramente questa ‘Fondazione’ che deve dimenticarsi di essere in Ciociaria. È in Europa, in sostanza. Bisogna che questo Centro sia europeo altrimenti è meglio neanche farlo nascere, questo grande castello di fantasia, di poesia, ma anche di grandi realtà.
D. A proposito del monumento ai Caduti di Frosinone, lei ha scritto: «l’opera mi apparve dall’alto quasi planando nella parte alta della città come messaggero di pace»; e, poi, «questa massa scultorea energica, librata nel cielo, pronta a partire per un grande messaggio, se fosse stata appunto collocata nella parte alta della città avrebbe dominato il cielo della vallata, costringendo l’occhio alla grande rotta che questo arcangelo di ferro della pace additava all’umanità». La diversa, per non dire opposta, collocazione non ha sminuito il valore dell’opera?
R. Io penso che un’opera d’arte se veramente è tale laddove la si mette parla. Se ha un linguaggio, un’opera d’arte dovunque la collochiamo è un elemento che parla. Per cui è molto importante questo fatto l’ubicazione che è stata scelta non è certamente l’ideale tanto è vero che io, già da principio, avevo progettato di metterlo altrove, Questo, d’accordo. Ma adesso più che metterci a risolvere un problema che è stato in un certo qualmodo già risolto converrebbe affrontare il problema nuovo che le dicevo, ad Arpino.
D. Se per quello di Frosinone la sua collocazione può sicuramente dirsi definitiva, non pensa che anche il monumento che lei ha realizzato per le vittime dell’eccidio di Collelungo rischia una illogica sistemazione nella piazza di Vallerotonda, da provvisoria a definitiva?
R. Questo monumento bisogna metterlo a posto. È urgente veramente una sua definitiva sistemazione perché non ha senso che esso sia nella piazza. Questo monumento deve vivere nel suo ambiente, deve vivere in un luogo tragico, cosi come abbiamo ideato la scultura e cosi come gli architetti hanno progettato. Bisogna portarlo al suo posto. È veramente una cosa spaventosa sapere che questo monumento viva ancora in quelle condizioni. È un assurdo!
D. Anche questi episodi concorrono a quella sua opinione di una Ciociaria ‘piatta’?
R. Mi pare che il mio discorso si basi molto su quello che le dicevo poc’anzi: facciamo tutto domani. Tutto questo mi pare molto grave. II tempo stringe per tutti, credo che queste soluzioni siano urgenti. E non credo che si possa far passare un’eternità per stabilire che il monumento di Vallerotonda debba andare tre chilometri più in alto. E un assurdo Sono cose che si devono risolvere in due mesi, in tre mesi. Se cominciamo a stabilire che per portare un monumento a tre chilometri di distanza devono passare degli anni, allora il discorso che stiamo facendo non serve a niente Neanche l’attività di noi, architetti e artisti, che tentiamo di creare questo mondo nuovo, non serve a niente. Non è possibile! La vita dell’uomo non è mica millenaria. Non scherziamo! Gli anni passano: glielo dico io che sono vecchio e ho passato cinquanta, sessant’anni sulla scultura. Non si può neanche dire che questo lavoro lo faremo ira dieci anni. lo non ci sarò più. Non sono io l’artefice di tutto questo, sia chiaro. lo sarò uno che, insieme ai miei amici, collaborerò. Voglio dire che certe cose quando si mettono sul tappeto bisogna cercare di risolverle.
D. L’opera, dunque, mi sembra di capire che viene sminuita se non collocata laddove si è progettato?
R. Il monumento di Frosinone direi di no. Ma fino a un certo punto. Ma, invece, quello di Vallerotonda si. Quando vedo quel monumento mi si stringono veramente i nervi. Ho la sensazione di trovarmi davanti a un dramma e quindi bisogna portarlo dove questo dramma, pur-troppo, è avvenuto Anche perché diventi veramente un monito per la popolazione, per gli uomini, per tutti quanti. Un ricordo spaventoso. Ma un ricordo, pur tuttavia.
D. Se fosse rimasto a Fontana Liri, come avrebbe giudicato le opere di Umberto Mastroianni?
R. Ma non lo so. Non potevo rimanere a Fontana Liri. Non era possibile. Avrei fatto l’emigrante. Come facevano gli emigranti che se ne andavano in America. Come scultore sarei andato probabilmente alla ricerca della scultura nel mondo. Penso che ognuno di noi nasce con un destino ben segnato. Sono strade obbligate che il proprio istinto ci porta a percorrere per forza di cose al di fuori di ogni possibile discussione. E questo è fatale e guai se non fosse così.
D. Tra gli altri progetti, vi è anche quello della sistemazione dell’Acropoli di Civitavecchia, ad Arpino, a Museo d’Arte permanente. Ebbene, quelle possenti mura ciclopiche cosa dicono al suo istinto di artista?
R. Sono le mura ciclopiche che danno potenza alla scultura. Le mura ciclopiche sono veramente una provocazione per uno scultore vero. Ma immagina vicino le mura ciclopiche una statuina alla De Amicis? Non è possibile! A queste fortezze bisogna rispondere cin una fortezza, una fortezza che, comunque, cerchiamo di fare, però, con una precisa responsabilità artistica, morale, politica.
D. Questa sua mostra di Frosinone è stata appena inaugurata. Cosa può dire e sulla cerimonia e sulla mostra stessa?
R. Meglio di così non poteva essere. Mi pare una mostra mollo bella. Io non avevo la pretesa di fare una grande mostra qui. mentre è venuta una mostra veramente eccellente e questo lo devo alla collaborazione degli architetti Galletta, Iannazzi, Gandolfo e Pieri Buti e del prof. Massimo Struffi che mi ha veramente aiutato in tutti i sensi ed è stato un personaggio pieno di dinamismo, che mi ha dato la possibilità di pensare anche allo sviluppo che può derivare da questa mostra. Mi riferisco al problema di Arpino e ad altre iniziative che adesso sono sul tappeto e che, credo, insieme noi riusciremo, se la popolazione capirà queste cose, a portare avanti.
D. Quello che pare sia destinato a diventare il suo monumento più noto, il Monumento alla Pace da collocarsi a Cassino, già conosciuto attraverso la foto del bozzetto prima ancora di essere realizzato, è in fase di ultimazione, nella sua complessa e spettacolare struttura definitiva, presso un’officina metallurgica di Narni, presso Terni, dove, peraltro, abbiamo già avuto occasione di incontrarci. Si completa, finalmente, una parte molto importante della storia di quest’opera alla quale da moltissimi anni ha iniziato a pensare e a lavorare…
R. Ha veramente una storia di anni, di molti anni. Finalmente siamo alte conclusioni. Ci auguriamo che presto possa essere collocato nella sede che abbiamo stabilito. E penso che questo, nella tarda primavera di quest’anno, dovrebbe avvenire senz’altro.
D. Per la sede prescelta per la collocazione di questo monumento a Cassino, è soddisfatto?
R. Veramente il luogo che è stato prescelto non è quello che io avevo desiderato. lo avevo desideralo di mettere il monumento sulla sommità del monte di Cassino che sovrasta la città. Però, ragioni burocratiche probabilmente non mi hanno permesso di collocare questo monumento dove veramente doveva essere collocato.
D. Mentre parliamo di questo monumento alla Pace, dal Mediterraneo arrivano venti di guerra, o quasi…
R. Cosa vuole che le dica? Credo che gli scultori dovrebbero continuare a fare dei monumenti di questo genere perché questi sono moniti contro la guerra. Infatti il vero carattere di questa scultura deve diventare un monito autentico per gli uomini di buona volontà, che naturalmente non vogliono più sentir parlare di guerra.
L’aver sottratto per tanto tempo Umberto Mastroianni all’attenzione e alla curiosità degli intervenuti all’inaugurazione della mostra crea, necessariamente, giuste ma benevoli rimostranze. Prima di accomiatarsi, però, Mastroianni dice: “Ancora una volta, questa sera, la Ciociaria mi ha veramente impressionato per questa forza vitale che emana. Per cui, andandomene via questa sera da Frosinone io sarò ancor più invogliato a fare di più di quel poco che ho potuto fare fino adesso”.
© Costantino Jadecola, 1986.
One Reply to “UMBERTO MASTROIANNI: IL LIRI, FONTANA E L’ARTE”
Mi è piaciuto molto leggere questa intervista al grande scultore deceduto.
È stato un grande!
Mi stupisce però la sua preoccupazione per la collocazione delle sue opere.
Secondo me un’opera d’arte ‚quando è una VERA opera d’arte,vive di luce propria e non ha bisosgo di uno sfondo particolare!
E’ arte e tale resta dovunque sia!