In memoria di… Quella settimana di inferno sulla “Linea Hitler”

In memoria di… Quella settimana di inferno sulla “Linea Hitler”

Con­feren­za di Costan­ti­no Jadeco­la, Cassi­no 11 giug­no 2008 — Asso­ci­azione Stu­di Cassi­nate - Stu­di Cassi­nati, anno 2008, n. 3

È sta­to chiam­a­to sbar­ra­men­to “Sen­ger” o anche “Sen­ger-Riegel” o, anco­ra, “cate­nac­cio di Sen­ger”; l’hanno chia­ma­ta lin­ea “Dora” o “Fuehrer-Sen­ger” o “Hitler-Stel­lung”. In buona sostan­za, però, si trat­ta sem­pre del­la stes­sa cosa: del­la lin­ea difen­si­va tedesca che, sec­on­do Alber­to Turinet­ti di Priero, “per i Tedeschi fu sem­pre la ‘Lin­ea Sen­ger’ e per gli Alleati la ‘Lin­ea Hitler’”1.
A vol­ere ques­ta for­ti­fi­cazione fu il feld­mares­cial­lo Albert Kessel­ring, coman­dante delle forze armate tedesche nel sud Italia, in pre­vi­sione di un crol­lo del­la lin­ea Gus­tav, quel­la con­tro la quale l’esercito alleato da gen­naio del ’44, dopo aver dis­trut­to, tra l’altro, Mon­te­cassi­no e Cassi­no, e polver­iz­za­to il ter­ri­to­rio cir­costante, non sape­va più cos’altro escog­itare per crear­si un var­co attra­ver­so di essa. Cosa che, poi, final­mente si ver­i­ficò all’indomani dell’11 mag­gio 1944 quan­do, dopo una notte mem­o­ra­bile per chi ebbe occa­sione di viver­la, gli alleati si decis­ero a sfer­rare un mas­s­ic­cio attac­co ed a sbloc­care così una situ­azione ormai da mesi sta­t­i­ca ma soprat­tut­to con nocive con­seguen­ze per il ter­ri­to­rio e per la sua gente.
Era ormai giun­to il momen­to in cui la lin­ea Hitler dove­va entrare in fun­zione e “con­trastare”, com’era nei piani, l’infiltrazione nem­i­ca oltre la Gus­tav. Infat­ti, nelle inten­zioni, scrive Fred Maj­dalany, “le due linee fun­zion­a­vano come una por­ta oscil­lante, il cui per­no era il monte di Cassi­no. Se forza­ta, pote­va oscil­lare, attra­ver­so la valle invasa, fino alla lin­ea Hitler, fer­mo restando il Monte di Cassi­no come car­dine e pun­to fer­mo. Poi pote­va essere stac­ca­ta dai gangheri e col­lo­ca­ta, due o tre chilometri indi­etro, su un nuo­vo car­dine, Pied­i­monte; e Pied­i­monte, anti­ca cit­tà-fortez­za su una col­li­na roc­ciosa, sarebbe diven­ta­ta un nuo­vo Mon­te­cassi­no.”2
Come nei fat­ti avvenne, dopo che, il mat­ti­no del 18 mag­gio, ciò che resta­va del monas­tero venne con­quis­ta­to dalle truppe polac­che.
Se “i tedeschi ritenevano che queste due linee potessero fron­teggia­re qual­si­asi ten­ta­ti­vo alleato lun­go la valle del Liri e la Statale n. 6”3 Casili­na, gli alleati, dal can­to loro, pen­sa­vano che, una vol­ta sfon­da­ta la lin­ea Gus­tav, non avreb­bero avu­ti altri prob­le­mi da affrontare e final­mente si sarebbe schiusa per loro la stra­da per Roma. Invece, così non fu e, oltre che con il ter­ri­to­rio, essi dovet­tero ved­er­sela appun­to con la lin­ea Hitler, anche se non ci mancò molto a sfon­dar­la già tra il 19 e il 20 mag­gio. Ma se ciò non accadde dipese dal fat­to che gli attac­chi ven­nero con­dot­ti con forze insuf­fi­ci­en­ti: “l’8a arma­ta”, avrebbe com­men­ta­to Churchill, “dovette con­statare come gli attac­chi esplo­ran­ti con­tro la lin­ea Adol­fo Hitler nel­la valle del Liri non dessero alcun risul­ta­to, per il fat­to che le truppe che la pre­sidi­a­vano, sebbene fos­sero state immesse pre­cip­i­tosa­mente nel­la battaglia, era­no com­poste di uomi­ni riso­lu­ti e disponevano di difese for­mi­da­bili. Era per­ciò nec­es­sario un assalto in grande stile”4.
In par­ti­co­lare, pre­cisa Maj­dalany, “i repar­ti mobili si imbat­terono subito in vasti campi minati, in catene di case­mat­te, in poderose for­ti­fi­cazioni estese per una pro­fon­dità di 900 metri [cos­ic­ché] fu chiaro che la lin­ea Adolf Hitler dove­va essere affronta­ta con mezzi mas­s­ic­ci. Nel frat­tem­po il grosso dell’armata era ritarda­to momen­tanea­mente dal­la rior­ga­niz­zazione nec­es­saria dopo i duri com­bat­ti­men­ti del­la set­ti­mana pri­ma, nonché dal­la con­ges­tione del traf­fi­co.”5 E, forse, fu pro­prio allo­ra, sec­on­do Eric Mor­ris, che si ebbe la certez­za che “la valle del Liri non era affat­to la facile via d’accesso a Roma che tut­ti si aspet­ta­vano.”6
Insom­ma, la pre­sen­za del­la lin­ea Hitler aggrava­va notevol­mente la nat­u­rale e par­ti­co­lare strut­tura del­la valle – poche strade, molti cor­si d’acqua, le incomben­ti alture lat­er­ali – cos­ic­ché non sem­bra­va del tut­to cam­pa­ta in aria l’intenzione dei tedeschi di ripro­porre in questo nuo­vo sce­nario, sia pure in lim­i­ti più mod­esti, quan­to era accadu­to per diver­si mesi sul­la Gus­tav.
Gra­zie a Dio, però, nel­la realtà le cose andarono diver­sa­mente ed il fronte sul­la Hitler non resse più di una set­ti­mana: giorni davvero d’inferno funes­ta­ti come furono, solo su questo seg­men­to del fronte, da oltre trem­i­la mor­ti, soprat­tut­to mil­i­tari tedeschi, ingle­si, polac­chi e canade­si, e dagli ulte­ri­ori gravis­si­mi dan­ni provo­cati al già esaus­to ter­ri­to­rio.
La costruzione del­la Hitler era inizia­ta nel mese di dicem­bre del 1943, una vol­ta ulti­ma­ta la Gus­tav e, com’era accadu­to per ques­ta, la sua real­iz­zazione era sta­ta affi­da­ta all’organizzazione Todt7, che, come ricor­da il gen­erale tedesco Fri­do von Sen­ger, coman­dante del XIV Cor­po d’Armata Panz­er, oltre alla con­sue­ta mano d’opera, pote­va con­tare, tra gli altri, anche su “con­tin­gen­ti slo­vac­chi” ed una “grande abbon­dan­za di mezzi”8.
E tra gli altri c’erano anche gio­vani mil­i­tari ital­iani arruo­lati a segui­to del “ban­do Graziani”, che impone­va ai nati negli anni 1923, 1924 e 1925 di pre­sen­tar­si pres­so i pro­pri dis­tret­ti di apparte­nen­za per essere quin­di aggre­gati “alla Todt (Battaglione Pio­nieri)”, obbli­gati, come riferisce Otel­lo Gian­ni­ni, uno dei pro­tag­o­nisti di ques­ta vicen­da, a servire “la patria facen­do for­ti­fi­cazioni insieme all’alleato tedesco con­tro il comune nemi­co”9. Si trat­ta di apparte­nen­ti ad un battaglione dell’84o reg­g­i­men­to fan­te­ria di stan­za a Firen­ze che, appun­to, nell’autunno inoltra­to del ’43 viene dis­lo­ca­to tra Aquino e Pied­i­monte San Ger­mano ed “ospi­ta­to”, riferisce lo stes­so Gian­ni­ni, “in una grande vil­la.” Ma viene dif­fi­cile indi­vid­uare nel ter­ri­to­rio tra i due comu­ni una strut­tura in gra­do di ospitare tante per­sone – si trat­ta di 24 uffi­ciali, 12 sottuf­fi­ciali e 836 uomi­ni di trup­pa, tut­ti per lo più toscani – ed avente, oltre­tut­to, l’aspetto di vil­la. Né, per­al­tro, ci sono tes­ti­moni in gra­do di ricor­dare la pre­sen­za ad Aquino ed a Pied­i­monte di questi gio­vani mil­i­tari ital­iani. Di essi, però, par­la il “capo” del­la provin­cia di Frosi­none, Arturo Roc­chi, che, in una relazione del 21 dicem­bre al min­istro dell’Interno del­la RSI, evi­den­zia il rel­a­ti­vo aiu­to dato da questi repar­ti: “sen­za alcun inquadra­men­to e sen­za adde­stra­men­to per i lavori in cui ven­gono imp­ie­gati, sono privi di ogni for­ma di assis­ten­za morale e mate­ri­ale (…)”. Per­al­tro, scrive Roc­chi, “trat­tan­dosi di stu­den­ti, non sono in gra­do di sostenere le fatiche di un lavoro pesante e pura­mente man­uale.”
Ma quel­lo che è scon­cer­tante è il fat­to che, a quel­la data, a quel 21 dicem­bre, si reg­is­tra­no già ben 324 “dis­er­tori”. Dei quali in tredi­ci vivran­no la medes­i­ma avven­tu­ra ten­tan­do di fug­gire con un camion che all’alba di un giorno impre­cisato parte dal­la piaz­za di Aquino diret­to a Roma.
Accadde, però, che per­cor­si dieci, forse ven­ti chilometri, lo stridio dei freni las­ciò inten­dere ai passeg­geri che qual­cosa o qual­cuno ave­va indot­to il mez­zo a fer­mar­si: c’era, infat­ti, un pos­to di bloc­co tedesco.
Alcu­ni dei passeg­geri ven­gono uccisi; altri, tra cui i tredi­ci com­mili­toni, ven­gono por­tati al carcere di Frosi­none dove vivran­no alcu­ni giorni in con­dizioni estrema­mente dis­agiate. La loro non cer­to invidi­a­bile espe­rien­za dura fino all’ultimo giorno del 1943 quan­do, di buon mat­ti­no, i gio­vani ven­gono trasfer­i­ti a Cepra­no per il proces­so a loro cari­co. Più che i tedeschi, è il loro supe­ri­ore, il mag­giore Giulio Pel­le­gri­ni, a seg­nare la loro sorte chieden­do per essi la fucilazione alla schiena per alto tradi­men­to. Fu decisa­mente più “gen­eroso” il tri­bunale che, in con­sid­er­azione di vari fat­tori, non ulti­mo che quel­lo era l’ultimo giorno dell’anno, decise “di acco­munare una sen­ten­za esem­plare a un atto di clemen­za”: pena di morte per tre nom­i­na­tivi estrat­ti a sorte e dieci anni di lavori forza­ti da scon­tare in Ger­ma­nia per gli altri dieci. E così è.
Il suc­ces­si­vo 6 gen­naio i tre “seg­nalati” dal­la sorte saran­no fucilati a Frosi­none al “cur­vone” di viale Mazz­i­ni “rei di non aver volu­to tradire la Patria ser­ven­do il nemi­co”, come si legge sul­la lapi­de che nel­lo stes­so luo­go ne ricor­da i nomi: Pier­lui­gi Banchi, nato a Fiesole il 26 otto­bre; Gior­gio Gras­si, nato a Figline Val­darno il 18 dicem­bre; Luciano Lavac­chi­ni, nato a Bor­go S. Loren­zo il 12 novem­bre. Anno di nasci­ta, per tut­ti e tre, il 1924: nem­meno vent’anni10.
Ma tor­ni­amo alla Hitler. Pro­fon­da, come si è det­to, all’incirca un chilometro, si esten­de­va tra il monte Cairo e la cos­ta tir­reni­ca per una lunghez­za fra i ses­san­ta ed i set­tan­ta chilometri.
Il suo pun­to di parten­za era sta­to fis­sato sulle pen­di­ci del monte Cairo e, pre­cisa­mente, sul­la cima del Piz­zo Corno, a 945 metri sul liv­el­lo del mare, al di sopra dell’abitato di Vil­la San­ta Lucia ed a poco più di tre chilometri in lin­ea d’aria da Mon­te­cassi­no, ovvero dal­la lin­ea Gus­tav.
Scen­den­do a valle, essa lam­bi­va l’abitato di Pied­i­monte San Ger­mano, che a quel tem­po fas­ci­a­va la som­mità del­la col­li­na, e poi, spo­stan­dosi ver­so ovest, toc­ca­va la pia­nu­ra in con­tra­da Torre, quel­la, per l’esattezza, che si estende ai lati del­la Casili­na, grosso modo da dove inizia il lun­go ret­ti­li­neo che si con­clude poco pri­ma del ponte sul Melfa a Roc­casec­ca e fino al biv­io di Aquino dove, riferisce Raf­faele Nar­doian­ni, era sta­to real­iz­za­to “il gran fos­so anti­car­ro, muni­to di fit­to reti­co­la­to che, attra­ver­san­do la Casili­na e tor­tu­osa­mente il ter­ri­to­rio di Aquino, giunge­va fino a Pon­tecor­vo”11 rical­can­do grosso il trac­cia­to del­la stra­da che la col­le­ga diret­ta­mente ad Aquino, per con­clud­er­si, quin­di, dopo aver super­a­to il fiume Liri, dalle par­ti di Sant’Oliva.
Se questo era il prog­et­to di mas­si­ma, in realtà, però, “i lavori di raf­forza­men­to del­la lin­ea Hitler”, scrive G. A. Shep­perd, “si con­cen­trarono sul set­tore che si oppone­va a un’avanzata attra­ver­so la valle del Liri.”12 In prat­i­ca, tra Pied­i­monte, Aquino e Pon­tecor­vo dove gli acces­si alla for­ti­fi­cazione “seguiv­ano un ter­reno aper­to e piut­tosto piat­to, e” dove, “con la pri­mav­era, le colti­vazioni abban­do­nate nei campi attorno ad Aquino nascon­de­vano effi­cace­mente molte delle difese all’osservazione da ter­ra”13.
Kessel­ring ave­va poi autor­iz­za­to von Sen­ger a real­iz­zare un pro­l­unga­men­to del­la Hitler dal­la popolosa frazione di Pon­tecor­vo fino al mare di Ter­raci­na attra­ver­so Pico, Leno­la e Fon­di. “Più che altro”, però, scrive W. G. F. Jack­son, “trat­tavasi di una lin­ea trac­cia­ta su una car­ta topografi­ca, con posizioni esplo­rate ed approntate e, in qualche caso, trin­cer­ate per bloc­care le strade e i sen­tieri che la inter­se­ca­vano. Essa pote­va, comunque, servire da posizione di rac­col­ta per divi­sioni in rip­ie­ga­men­to del­la lin­ea Gus­tav”14.
Sem­pre ad inte­grazione del­la Hitler, anche se Bruno D’Epiro la ritiene piut­tosto l’“ultimo cate­nac­cio del­la Gus­tav” 15, era sta­ta poi appronta­ta un’ulteriore lin­ea chia­ma­ta Dora, dal­lo spelling D come Dora, che, dal fiume Liri, lam­ben­do le pen­di­ci ori­en­tali del monte d’Oro, attra­ver­so Badia di Espe­ria, avrebbe dovu­to scav­al­care i mon­ti Aurun­ci, pas­sare per Auso­nia e con­clud­er­si quin­di a Formia.
Anche in questo caso, però, il prog­et­to rimase sul­la car­ta e gli inter­ven­ti furono in realtà molto lim­i­tati. Da D’Epiro comunque sap­pi­amo che “i prin­ci­pali pun­ti di dife­sa nel­la zona del­la Badia, lun­go il cor­so del fiume Liri, delle Sor­gen­ti, del­la Mola Francesca, delle Selvi e del Monte d’Oro, ven­nero inten­si­fi­cati da un sis­tema di for­ti­fi­cazioni in pro­fon­dità” così come “le due grot­ti nat­u­rali, quel­la del ‘Pol­letrone’ e quel­la di ‘Rav­i­cel­li’ sul Monte d’Oro, ven­nero forte­mente munite di mitragli­atri­ci.”16 La sto­ria del­la Dora, comunque, non andò oltre il 17 mag­gio, tra­vol­ta come fu dalle truppe di col­ore del Cor­po di spedi­zione francese.
Sec­on­do W. G. F. Jack­son, insom­ma, i due pro­l­unga­men­ti del­la lin­ea Hitler fra Pon­tecor­vo e il mare era­no sta­ti sem­plice­mente abboz­za­ti “con sem­pli­ci lavori di ster­ro e un cer­to numero di pro­fon­di campi minati, dis­posti in modo da bloc­care i set­tori più deboli, ma tali lavori ave­vano evi­den­te­mente rice­vu­to un bas­so ordine di prece­den­za giac­ché non sta­vano proce­den­do molto cel­er­mente. La ripid­ità e l’impraticabilità dei mon­ti Aurun­ci sem­bra­vano essere suf­fi­ci­en­ti scor­ag­gia­re un’importante minac­cia allea­ta a sud del Liri.”17 Ma prob­a­bil­mente non era sta­ta mes­sa in con­to l’abilità a muover­si su quel par­ti­co­lare tipo di ter­reno delle truppe di col­ore del Cor­po di spedi­zione francese le quali, per prime, pro­prio sug­li Aurun­ci aprirono un peri­coloso var­co nelle difese tedesche.
La lin­ea Hitler è carat­ter­iz­za­ta spe­cial­mente dal­la pre­sen­za di un con­sis­tente numero dei cosid­det­ti “for­ti­ni” come, pas­sa­ta la guer­ra, si prese a chia­mare quelle strut­ture di cemen­to affo­gate nel ter­reno la cui parte metal­li­ca venne subito “uti­liz­za­ta” come mer­ce di scam­bio nell’allora fiorente mer­ca­to del “fer­ro vec­chio” nec­es­sario spe­cial­mente per sop­perire ad impro­cras­tin­abili esi­gen­ze di mera soprav­viven­za, attiv­ità che, per forza di cose, provocò moltissime vit­time e favorì l’arricchimento di pochissi­mi.
Si trat­ta­va, in buona sostan­za, di case­mat­te, o bunker che dir si voglia, dis­sem­i­nati in numero con­sis­tente lun­go tut­ta la fas­cia del­la Hitler, ben mime­tiz­za­ti tra la veg­e­tazione, pro­tet­ti da campi minati e da reti­co­lati. Per la parte offen­si­va, gen­eral­mente uti­liz­za­vano tor­rette di car­ri armati, fra cui, in par­ti­co­lare, quelle con can­noni da 75 mm. già mon­tate sui Pan­ther che si “seg­nalarono” per la loro peri­colosità: “proveni­vano dal fronte rus­so”, pre­cisa Rober­to Molle, “ed appartenevano alla pri­ma serie di Pan­ther V che era carat­ter­iz­za­to da una ele­va­ta fragilità mec­ca­ni­ca; molti di questi car­ri infat­ti rimasero vit­ti­ma di rot­ture anco­ra pri­ma di incon­trare il nemi­co. Le tor­rette resesi così disponi­bili furono invi­ate sul fronte ital­iano”18, dove, per la pri­ma vol­ta in Italia, tra il mese di mar­zo e gli inizi di mag­gio del 1944, ne sareb­bero state posizion­ate una quindic­i­na pro­prio sul­la lin­ea Hitler.
Altri­men­ti note come Panz­er­turm o Pan­ther­tum, pro­prio per via del­la prove­nien­za del­la tor­ret­ta, dis­tanzi­ate ad un chilometro cir­ca l’una dall’altra, le loro col­orazioni mimetiche era­no le più diverse ma gen­eral­mente ori­en­tate su un fon­do gial­lo scuro o rosso antirug­gine ed il per­son­ale addet­to pote­va fruire di cuc­cette, stu­fa, tele­fono, elet­tric­ità, il tut­to nat­u­ral­mente pos­to sot­to ter­ra, al di sot­to del­la tor­ret­ta stes­sa. Per la cronaca, una di esse, quel­la piaz­za­ta ad est di Pied­i­monte, avrebbe dis­trut­to ben dici­as­sette car­ri nemi­ci pri­ma che l’equipaggio fos­se costret­to ad abban­donarla. Ma non tut­ti riten­gono ques­ta notizia ver­i­tiera.
Al di là di queste e delle altre postazioni fisse del­lo stes­so genere equipag­giate con arma­men­ti di più modesto cal­i­bro, tra gli altri mezzi offen­sivi pre­sen­ti sul­la lin­ea non man­ca­vano car­ri armati, da uti­liz­zare lad­dove se ne fos­se pre­sen­ta­ta la neces­sità, e diverse unità di Nebel­w­er­fer, un lan­cia­razzi a canne mul­ti­ple in gra­do di sparare a grande veloc­ità, almeno uno ogni 10 sec­on­di cir­ca, micidi­ali proi­et­tili che provo­ca­vano con­sis­ten­ti perdite al nemi­co. Il tut­to, nat­u­ral­mente, in un con­testo dove non man­ca­vano pro­fon­di rifu­gi sot­ter­ranei rin­forza­ti con cemen­to arma­to, bar­riere di filo spina­to, campi di mine abil­mente dis­sem­i­nate e pro­fonde buche anti­car­ro: insom­ma, non si sbaglia col dire che le difese del­la Hitler era­no anche più elab­o­rate di quelle del­la Gus­tav.
Ovvi­a­mente, esse non era­no sfug­gite all’attenzione dei coman­di alleati che ne ebbero conoscen­za attra­ver­so le fotografie aeree le quali sin dal dicem­bre del ’43 mostrarono per la pri­ma vol­ta un grup­po di postazioni nemiche mime­tiz­zate: “in feb­braio il loro numero era cresci­u­to a 180, ed in mag­gio gli osser­va­tori con­tarono più di 270 posti for­ti­fi­cati”19 .
Si trat­ta­va dunque di “una lin­ea par­ti­co­lar­mente adat­ta a resistere” agli attac­chi che poi pun­tual­mente si sareb­bero ver­i­fi­cati, scrive von Sen­ger, essendo sta­ta “costru­i­ta pro­prio in vista di una sim­i­le offen­si­va”20.
Ma qual­cosa non andò come dove­va. E ci fu un neo, un “uni­co neo: man­ca­vano le forze per pre­sidiare la lin­ea. Le divi­sioni non rip­ie­garono su di essa”, come avrebbe dovu­to essere, “ma dovet­tero bat­ter­si sul ter­reno anti­s­tante.”21
Ciò nonos­tante, però, il poderoso eserci­to alleato dovette fati­care non poco per super­ar­la, almeno nei pun­ti più “cal­di”, così come la battaglia, cru­en­ta, com­bat­tuta fra Piz­zo Corno, Vil­la San­ta Lucia e Pied­i­monte San Ger­mano dal 20 al 25 mag­gio dagli uomi­ni al coman­do del gen­erale Wla­dys­law Anders di cui lo stes­so riferisce nelle sue mem­o­rie: “Il 19 mag­gio 1944 i ‘Lancieri di Carpazia’ com­in­cia­rono le loro oper­azioni, avan­zan­do fin dall’inizio sot­to il fuo­co dell’artiglieria nem­i­ca, con­tin­u­a­mente bonif­i­can­do il ter­reno dalle mine nemiche. Ai pie­di di Piz­zo Corno, su quo­ta 893, il reg­g­i­men­to fu fer­ma­to da un vio­len­to con­cen­tra­men­to di fuo­co di tutte le armi nemiche e dovette sostenere una dura azione di fuo­co, subito dopo espug­nan­do quo­ta 893 di assalto. Nel­lo stes­so tem­po il 15° Lancieri sta­va com­bat­ten­do per le pen­di­ci merid­ion­ali di quo­ta 893 e si col­legò quin­di con gli squadroni del Reg­g­i­men­to Carpati­co.
“Il Reg­g­i­men­to Carpati­co fu poi sos­ti­tu­ito dal 15°, che il 20 mag­gio rin­novò l’attacco ed il 25 riuscì final­mente a con­quistare l’intero Piz­zo Corno e la cima di Monte Cairo. Nel­lo stes­so tem­po l’azione prin­ci­pale pro­gre­di­va con­tro Pied­i­monte. Un grup­po spe­ciale fu cos­ti­tu­ito per svol­gere l’operazione, com­pos­to del 6° Reg­g­i­men­to coraz­za­to, del 18° Battaglione ‘Fucilieri Leopoli’, del 5° Battaglione ‘Fucilieri di Carpazia’ del 12° Lancieri, del­la Com­pag­nia di dife­sa del Quarti­er Gen­erale di Cor­po d’Armata, del 9° Reg­g­i­men­to artiglieria e di uomi­ni delle artiglierie semoven­ti. Un’ulteriore mas­sa di fuo­co fu for­ni­ta dal 10° ed 11° Reg­g­i­men­to artiglieria pesante. Il com­pi­to asseg­na­to al grup­po era: ‘Cat­turare Pied­i­monte e pro­teggere il fian­co destro del XIII Cor­po d’Armata, Vil­la San­ta Lucia-Pied­i­monte’.
“Durante i cinque giorni dal 20 al 25 mag­gio det­to grup­po fece quat­tro attac­chi con­sec­u­tivi con­tro Pied­i­monte, nei quali emerse l’azione temer­aria dei car­ri armati, pieni d’iniziativa. In un ter­reno pres­soché ina­dat­to all’impiego di car­ri armati, i repar­ti anzidet­ti diedero pro­va di grande risolutez­za e sta­bilirono un ‘record’ rius­cen­do a pen­e­trare nel bor­go lun­go ertis­sime e sin­u­ose strade sulle pen­di­ci di quel colle. I Tedeschi furono colti com­ple­ta­mente di sor­pre­sa. La man­can­za di fan­terie suf­fi­ci­en­ti – per­ché i battaglioni, logo­rati, ave­vano soltan­to il ven­tot­to per cen­to dei loro effet­tivi di guer­ra ed era­no esausti dal­la battaglia di Mon­te­cassi­no – non per­mise loro di com­pletare la con­quista del paese e rag­giun­gere i col­li vici­ni. Nel frat­tem­po il nemi­co riuscì a far avan­zare i suoi rin­forzi e la battaglia si pro­l­ungò per alcu­ni giorni pri­ma che Pied­i­monte fos­se defin­i­ti­va­mente con­quis­ta­ta il 25 mag­gio 1944.
“Il con­tin­uo ed irru­ente com­bat­tere ed i nos­tri ripetu­ti attac­chi, non meno dell’intenso fuo­co di artiglieria, ave­vano com­ple­ta­mente immo­bi­liz­za­to le forze nemiche, che difend­e­vano la posizione chi­ave di Pied­i­monte ed ave­vano loro imped­i­to di occu­par­si del­la stra­da N° 6 (Casili­na) e del­la Valle del Liri. Con­seguente­mente il XIII Cor­po poté pro­gredire nel­la val­la­ta sen­za alcu­na oppo­sizione dal­la parte di Pied­i­monte e questo fu il nos­tro scopo prin­ci­pale dal pun­to di vista oper­a­ti­vo com­p­lessi­vo dell’VIII Arma­ta. Final­mente la con­quista di Pied­i­monte schi­ude­va defin­i­ti­va­mente la stra­da n° 6, come una delle vie di comu­ni­cazioni prin­ci­pali. Fu la fine dei com­bat­ti­men­ti del II Cor­po polac­co per Mon­te­cassi­no e Pied­i­monte. Il 29 mag­gio i nos­tri repar­ti com­in­cia­rono a las­cia­re il cam­po di battaglia, inzup­pa­to di sangue”22.
Meno noto è, invece, ciò che accadde fra Aquino e Pon­tecor­vo in un solo giorno, il 23 mag­gio, nel cor­so di un vio­len­to scon­tro fra canade­si e tedeschi.
Il cam­po di battaglia, per­ché si trat­tò di un vero e pro­prio cam­po di battaglia, si apre a sin­is­tra del­la stra­da provin­ciale che col­le­ga Aquino a Pon­tecor­vo e si estende per cir­ca un chilometro e mez­zo ai lati del­la stra­da per con­tra­da Val­li inter­es­san­do il ter­ri­to­rio delim­i­ta­to da un lato dal­la depres­sione di ter­reno carat­ter­iz­za­ta dal cor­so delle Forme di Aquino, i cosid­det­ti Pan­tani, e, dall’altro, dall’area leg­ger­mente ondu­la­ta che si estende tra Zam­marel­li e Sel­va Toc­cheto, anco­ra ter­ri­to­rio di Aquino, e Cam­po Vin­cen­zo e Val­lario, local­ità quest’ultime, invece, in ter­ri­to­rio di Pon­tecor­vo: un fronte, insom­ma, di cir­ca tre chilometri inte­gra­to nel­la lin­ea Hitler che, per buona parte dei quali, nel­la zona tra Fontana del Per­si­co, in cor­rispon­den­za, cioè, del biv­io per Val­li, e Val­lario, se non coin­cide con la stra­da Aquino-Pon­tecor­vo corre, comunque, par­al­lela ad essa a dis­tan­za ravvi­c­i­na­ta.
L’obiettivo dei canade­si, che arrivano da con­tra­da Val­li e che era­no par­ti­ti da un’area com­pre­sa tra Pig­nataro e San Gior­gio a Liri, è pro­prio quel­la stra­da, stra­da che, in codice, è sta­ta rib­at­tez­za­ta Abukir: con­quis­tar­la sig­nifi­ca molto di più che creare un sem­plice var­co nel­la lin­ea Hitler.
Quan­do scende la sera di quel 23 mag­gio, il cos­to in ter­mi­ni di vite umane paga­to dalle truppe canade­si per questo attac­co fu molto alto: 47 uffi­ciali e 832 sol­dati mor­ti (oltre a 7 uffi­ciali e 70 uomi­ni non facen­ti parte delle forze impeg­nate in battaglia) e 41 dei 58 car­ri armati uti­liz­za­ti dis­trut­ti.
Di gran lun­ga mag­giori le perdite sof­ferte dai tedeschi: oltre 700 i pri­gion­ieri e molte centi­na­ia i mor­ti. Le stesse fonti tedesche, dal can­to loro, con­fer­mano la grav­ità delle perdite: il diario del 51° Cor­po anno­ta­va alle ore 23,30 che il mag­giore gen­erale Wentzell, del­la 10ª Arma­ta, seg­nala­va che il nemi­co ave­va attac­ca­to nelle ultime 14 ore sup­por­t­a­to dall’artiglieria e che un battaglione del 576° reg­g­i­men­to Gra­natieri, due battaglioni del 361° reg­g­i­men­to Gra­natieri e il grup­po da battaglia Strafn­er era­no da con­sid­erasi com­ple­ta­mente dis­trut­ti. Si legge poi che il nemi­co era avan­za­to pro­fon­da­mente nell’ala sin­is­tra del­lo schiera­men­to del­la 90ª divi­sione panz­er­grenadieren e che un battaglione del­la Iª divi­sione para­cadutisti e due com­pag­nie del­la divi­sione da mon­tagna era­no sta­ti spaz­za­ti via.
Se si con­sid­era che Pico è sta­ta con­quis­ta­ta il 19 mag­gio, Fon­di il 20 e Ter­raci­na il 23, anche sul­la lin­ea Hitler era ormai una dis­fat­ta totale per i tedeschi. Per essi, poi, c’erano anche altri motivi di pre­oc­cu­pazione: sem­pre il mat­ti­no del 23, mezz’ora dopo l’inizio dell’assalto canadese alla lin­ea Hitler, il 6° Cor­po degli Sta­ti Uni­ti. ave­va rot­to l’assedio ad Anzio e mar­ci­a­va ver­so Val­montone.
Per i tedeschi, insom­ma, era arriva­to il momen­to di sal­vare al più presto il salv­abile ed evitare un quan­to mai peri­coloso accer­chi­a­men­to. © Costan­ti­no Jadecola 

* Dal­la relazione tenu­ta in occa­sione dell’Assemblea dei Soci CDSC del 5 mar­zo 2008.
1 Alber­to Turinet­ti Di Priero, I car­ri armati polac­chi a Pied­i­monte San Ger­mano (20–25 mag­gio 1944), 21 luglio 2007, in www.dalvolturnoacassino.it.
2 Fred Maj­dalany, La battaglia di Cassi­no, Garzan­ti, Milano, 1958, p. 259.
3 Idem.
4 Wis­ton Churchill, La Sec­on­da guer­ra mon­di­ale. Da Teheran a Roma, Vol­ume Dec­i­mo, Oscar Mon­dadori, Milano, 1970, pp. 324–325.
5 Fred Maj­dalany, op. cit., p. 288.
6 Eric Mor­ris, La Guer­ra inutile. La Cam­pagna d’Italia 1943–1945, Lon­gane­si & C. Milano, 1993, p. 371.
7 Cre­a­ta nel 1933 dall’ingegnere Fritz Todt, dopo aver costru­ito in Ger­ma­nia migli­a­ia di chilometri di autostrade, divenne ausil­iaria del­la Wehrma­cth e dal 1939 la sua attiv­ità fu esclu­si­va­mente mil­itare ed ad essa fu affi­da­ta la costruzione delle for­ti­fi­cazioni sull’Atlantico e sul Mediter­ra­neo. In Italia, oltre la Gus­tav e la Hitler real­iz­zò anche la lin­ea Got­i­ca e curò inoltre la real­iz­zazione di strade ed aero­por­ti. Nel cor­so del­la sua attiv­ità para­bel­li­ca poté dis­porre di oltre 2 mil­ioni di operai in gran parte reclu­tati nei pae­si occu­pati o tra i pri­gion­ieri di guer­ra.
8 Fri­do von Sen­ger und Etter­lin, La guer­ra in Europa, Lon­gane­si & C., Milano 2002, p. 349.
9 Otel­lo Gian­ni­ni, Tredi­ci in un cap­pel­lo, Milano, 1987, p. 29.
10 Gli altri dieci, con­dan­nati a dieci anni di reclu­sione sec­on­do Arturo Roc­chi (cfr. Latium, p. 341) ma di fat­to trasfer­i­ti nei campi di con­cen­tra­men­to in Ger­ma­nia, sono Ange­lo Teri­naci, Sev­eri­no Bec­chi, Aldo e Roc­co Pieruc­ci, Adri­ano Brig­an­di, Vladimiro Colo­mani, Otel­lo Gian­ni­ni, Fer­nan­do Boc­ci, Luciano Paoli, Leone Lizzi.
11 Raf­faele Nar­doian­ni, Pied­i­monte San Ger­mano nel­la vor­agine di Cassi­no, Sec­on­da Edi­zione, Tipografia Car­lo Malat­es­ta. Cassi­no, 1974, p. 62.
12 G. A. Shep­perd, La Cam­pagna d’Italia 1943–1945, Garzan­ti, Milano 1970, pp.306–307.
13 Idem.
14 W. G. F. Jack­son, La battaglia di Roma, Bal­di­ni & Cas­tol­di, Milano, 1970, p. 190.
15 Bruno D’Epiro, Lin­ea Dora: la battaglia di Espe­ria, Espe­ria, 1994, p. 18.
16 Idem.
17 W. G. F. Jack­son, op. cit., p. 42.
18 Rober­to Molle, Aquino, “le Val­li”, 23 mag­gio 1944: il giorno più lun­go del­la Lin­ea Sen­ger, 6 otto­bre 2001, in www.dalvolturnoacassino.it
19 Gae­ta occu­pa­ta. La Quin­ta Arma­ta oltrepas­sa Itri, In “Risorg­i­men­to”, a. II, n. 122, Domeni­ca 21 mag­gio 1944.
20 Fri­do von Sen­ger und Etter­lin, op. cit., p. 349.
21 Idem.
22 Cassi­no, 11 giug­no 2008.

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