Castrocielo: la grotta e la campana
Durante la Seconda guerra mondiale Castrocielo ospita il Generalmajor Ernst-Günther Baade appena promosso comandante della 90ma divisione di fanteria leggera dell’esercito tedesco che operava sul fronte di Cassino. Conosciuto per il suo comportamento a volte eccentrico, per il suo staff di stato maggiore molto ridotto e le sue frequenti visite di ispezione in prima linea, caratteristiche che lo avevano reso famoso insieme alle sue truppe[1], pare che il suo comando utilizzasse una «polverosagrotta» dalle parti di villa Euchelia che in prosieguo si meriterà l’appellativo di Grotta del Leone.
Roberto Molle, insieme ad Alessandro Campagna, ha eseguito un approfondimento in merito[2] trovando precisi riscontri in alcuni testimoni oculari i quali, tra l’altro, hanno ricordato che la grotta era «rivestita tutta di legno» e che al suo interno si trovavano apparecchiature radio rice-trasmittenti.
Non unica della zona – ve ne sarebbe stata una più «piccola verso la montagna», anch’essa dotata di radio — la grotta era stata dapprima occupata dal comando della divisione che faceva capo a Baade e, poi, da quello dei paracadutisti, i cosiddetti “diavoli verdi” di Montecassino, il cui comandante, Richard Heidrich, che il 26 febbraio del ’44 aveva ricevuto l’ordine di raggiungere la linea Gustav e sostituire Baade al comando del settore[3], a detta dei testimoni «dormiva dentro la grotta», grotta, peraltro, celata alla vista da molte frasche e presso la quale c’era sempre «un grande via vai di soldati».
Intanto, a conferma di una presenza di militari, alcuni anni prima della ricerca condotta da Molle e Campagna, «nello sbancare un terreno poco distante [dalla grotta]» era stato «trovato un vero e proprio arsenale di armi lasciate dai tedeschi in ritirata e nascoste per non essere prese o utilizzate dal nemico» tant’è che «gli artificieri portarono via cinque camion di casse d’armi»[4].
Inoltre, in un uliveto prossimo alla grotta si sarebbe tenuto «un pranzo con tutti gli ufficiali in onore del generale Heidrich appena insignito di una onorificenza»[5]: lo avrebbe testimoniato nel 2002, durante una visita in zona, Jupp Klein, presidente dell’Associazione Paracadutisti Tedeschi e già Ufficiale del I Battaglione Pionieri Paracadutisti, svelando, così, «il mistero di dove si trovasse il comando della Prima Divisione»[6].
Questa grotta, peraltro, potrebbe avere avuto un suo ruolo negli eventi successivi il bombardamento dell’Abbazia di Montecassino del 15 febbraio 1943, quelli, in particolari relativi all’abbandono di ciò che restava dell’antico monastero da parte di una quarantina di persone, tra cui l’Abate don Gregorio Diamare che, per via di qualche difficoltà nel camminare, sarebbe sostenuto da Caterina Pittiglio, moglie del portinaio del monastero, e da don Martino Matronola, il suo segretario, che, peraltro, in quella processione di anime affrante portava anche un crocefisso.
È venerdì 18 febbraio. «La giornata è limpidissima»[7]. Si superano le rovine di San Giuseppe e poi quelle di Sant’Agata; si va, quindi, per la mulattiera di Montecassino, dopo pochi metri per quella detta «Anzino», e, infine, per quella che conduce a San Rachisio. E si arriva, infine, alla cappella del Colloquio che sono le «ore 10 circa o forse più»[8].
Quelle passate presso questa cappella sono ore particolarmente drammatiche sia per don Gregorio Diamare che per chi lo ha seguito da Montecassino. Le granate, infatti, scoppiano senza sosta tant’è che una piccola scheggia colpisce don Martino Matronola al braccio destro.
Nel pomeriggio, intorno alle 16,30, arriva un’autoambulanza per prelevare l’Abate. Per lui c’è anche un messaggio del generale Baade nel quale questi scrive che durante la mattinata ha disposto ricerche a Montecassino e dintorni per rintracciarlo; è, dunque, felice di averlo trovato incolume e lo prega, infine, di seguire il graduato che gli ha consegnato la lettera il quale avrebbe provveduto ad accompagnarlo fuori della zona pericolosa.
Don Martino Matronola annota: «È molto gentile. Ci offre delle arance e ci invita a salire con prontezza nella macchina»[9]dove prendono posto anche l’anziana signora Marone di Cassino con la figlia ed un’altra donna ed un bambino paralitico che viene adagiato su una lettiga.
La Casilina è un bersaglio tra i più facili. La macchina, perciò, deve andare al massimo. Don Martino Matronola ricorda: «Mentre corriamo a grande velocità sulla Casilina, da uno spiraglio delle tendine vedo degli aerei che lanciano altre bombe su Montecassino e lunghe colonne di fumo, e sento tremendi scoppi. Questa è la mia ultima visione di Montecassino»[10].
Si arriva alla stazione di Roccasecca e poi si sale in paese dove, mentre le tre donne ed il bambino restano nell’autoambulanza per essere trasferiti in ospedale, l’Abate e don Martino prendono posto in un’altra macchina che, per «vie di montagna», si dirige al quartier generale di Gunther Baade ubicato «in una grande caverna». Questi, riferisce don Martino Matronola, «ci accoglie con molta cortesia. Ci fa sedere vicino al grande fuoco e ci offre del dolce e del caffè»[11]. Poi comunica che quella sera l’Abate sarà ospite del tenente generale von Senger und Etterlin, a Castelmassimo, presso Veroli.
La grotta di Castrocielo tornerebbe di nuovo alla ribalta tempo dopo. A primavera.
Una primavera, quella di quell’anno , che fu una primavera che sembrava avercela messa tutta per apparire al meglio delle sue condizioni in quelle valli del Rapido e del Liri che le umane debolezze avevano scelto come campo di una battaglia destinata a durare un eternità. Ed anche se le cime del monte Cairo e delle Mainarde erano ancora imbiancate di neve, giù nella pianura il caldo cominciava a farsi sentire.
Una tregua, perciò, era santa e desiderata.
Fu allora che, un certo giorno, il già ricordato soldato del genio Jupp Klein, del 1° Battaglione Genio Paracadutisti, riceve dal suo comandante, il maggiore Frölling, l’ordine di recarsi al quartier generale della divisione. A convocarlo era stato il generale Reinhard Heidriech in persona che, si racconta, «salutò Jupp Klein con la solita benevolenza che mostrava alle truppe»annunciandogli che avendo necessità di «un nuovo posto di comando»[12] aveva convocato anche altri genieri: si tratta, in sostanza, di dare una sistemata alla grotta non lontana dall’abitato di Castrocielo, «un piccolo villaggio italiano, mezzo in rovina», dove, però, il campanile della chiesa era ancora in piedi sebbene fosse stato colpito da numerose granate.
Si trattava, in sostanza, dice Heidriech « di costruire un piccolo fortino di legno sul bordo della grotta, coperto da uno spesso strato di terra secondo lo stile usato dai russi. Appoggiandolo alla roccia, può diventare un rifugio relativamente comodo e, soprattutto, poco vulnerabile». Perciò, aggiunse, «mettetevi subito al lavoro».
E così è. I lavori procedono con speditezza tant’è che il generale Heidrich può ben presto trasferirsi nella nuova struttura. Terminata la quale, si rende necessario costruire i rifugi anche per gli altri ufficiali dello stato maggiore. Cosa che i genieri impiegati nello loro realizzazione fanno di buon grado. Lavoravano sodo e «sembravano divertirsi di più a segare alberi, spostare terra e costruire una serie di piccoli fortini» che il loro pericoloso compito di «genieri d’assalto, specializzati in mine ed esplosivi, quando non erano semplicemente utilizzati come fanti comuni, poiché c’era una terribile mancanza di uomini per tenere le posizioni in mezzo alle rovine di quella che fu Cassino».
Insomma, Klein e compagni erano talmente «rallegrati da questa relativa lontananza dalla linea di tiro» che «trascorrevano serate vivaci dopo la giornata di lavoro, cantando a squarciagola senza preoccuparsi di essere sentiti da tutta la valle». Qualcuno provò a dirlo ma mal gliene incolse.
Arriva Pasqua. È domenica 9 aprile. La Pasqua del ’44. Un cielo azzurro ed un’aria tersa, priva del frastuono della guerra. «Il generale Heidrich, in ottima forma, cammina sotto gli ulivi davanti al suo posto di comando, tirando di tanto in tanto una boccata dal piccolo sigaro che tiene tra due dita. Tutto sembra tranquillo. Stranamente tranquillo, addirittura. Se si ascolta attentamente, si può sentire il canto di alcuni uccelli.
«All’improvviso, dal campanile semidiroccato della chiesa di Castrocielo, si sente il suono bronzeo della campana della parrocchia. All’inizio il campanaro è piuttosto discreto e si limita a pochi, quasi timidi, colpi. Poi diventa più audace e suona a pieni polmoni. Il suono si fa più forte, sembra riempire tutta la valle e risuona contro le pendici del monastero martirizzato di Montecassino.
«Da entrambi i lati, i soldati guardano in alto, incuriositi dall’insolito suono di questa campana pasquale, isolata e fragile in mezzo a un mondo in guerra.
«Ognuno di loro sente un’ondata di pace nel cuore. I ricordi d’infanzia riaffiorano con una strana nitidezza e molti ascoltano il gioioso rintocco».
Anche per Heidrich. Che chiama uno dei suoi sottoposti.
«- Vorrei sapere chi ha avuto il coraggio di tirare la corda di quella campana», disse.
«- Lo scoprirò, Signor Luogotenente Generale, promise il suo portatore di asciugamani».
«- Bisogna essere pazzi per salire su questo campanile in rovina, rischiando di rompersi l’osso del collo, brontola il generale. E non c’è bersaglio migliore per gli artiglieri dell’intera regione».
Si apre un’indagine secondo il severo metodo tedesco che coinvolge tutte le unità in sosta nei pressi della Via Casilina, non esclusi quelli in servizio al quartier generale.
Il generale Heidrich convoca Jupp Klein.
«- Ha idea di chi abbia suonato la campana?»
«- Non lo so, Signor Luogotenente Generale, si limita a dire».
«- Ma è un geniere? »
«- Forse sì. Ma non conosco il suo nome».
«Heidrich lo guardò a lungo, piuttosto incredulo. Poi, con grande serietà», gli disse di riunire l’intera squadra della quale Jupp Klein faceva parte e di portarla al suo cospetto alle ore sette in punto di quello stesso giorno.
«All’ora stabilita, il plotone fu riunito davanti al comandante della 1ª divisione paracadutisti. Tutti i genieri si misero sull’attenti. Jupp Klein conosceva i nomi dei “disturbatori”, una mezza dozzina di caporali anziani, ma non aveva intenzione di denunciarli. Inoltre, Heidrich non gli chiede nulla. Si limita a passare lentamente davanti a ciascuno dei Diavoli Verdi, guardandoli dritto negli occhi.
«Tutti si aspettano un’esplosione di rabbia. Poi il generale indietreggia di qualche passo e dice con voce piuttosto alta, senza aver invitato i paracadutisti a prendere posizione di riposo:
«- Sergenti, sono lieto di vedere che, in questi giorni di battaglia e di miseria, non avete dimenticato di essere esseri umani. Vi ringrazio a nome di tutti coloro ai quali avete fatto questo dono pasquale. È una prova tangibile del vostro spirito di cameratismo. Ed è il cameratismo che ci fa andare avanti in questi momenti difficili della battaglia per Cassino. Ringrazio ognuno di voi».
Il Generale poi invita i paracadutisti a sedersi intorno a lui davanti alla Grotta del Leone per parlare con ciascuno di loro. Allorché è la volta del caporale Hermann Neemann, Heidrich ha motivo di ritenere di essere al cospetto del responsabile della “scampaniata” pasquale del campanile della chiesa di Castrocielo.
«- Mi hanno raccontato una storia curiosa su di lei», gli dice Heidrich. «Durante la battaglia di Creta, lo Junkers 52 che la trasportava è stato abbattuto e lei è riuscito a prendere un paracadute e ad usarlo in cielo.
«- È vero, Signor Luogotenente Generale.
«- Conoscevo questo aneddoto, ma sono felice di vedere l’eroe. Per la sua ‘pattuglia’ nel campanile, la nomino sergente. Il 1° Battaglione Genio del Maggiore Frölling può essere orgoglioso di avere un nuovo sottufficiale come lei».
2023 © Costantino Jadecola
[1] David HAPGOOD — David RICHARDSON, Monte Cassino. Rizzoli. Milano, 1985, p. 233.
[2] Il comando di Baade e Heidrich in www.dalvolturnoacassino.it. 06.02.2003.
[3] Walter NARDINI, Cassino. Fino all’ultimo uomo. Mursia, 1975, p. 146.
[4] Il comando di Baade e Heidrich, cit.
[5] Forse quando il 1º maggio 1943 Heidrich fu promosso al grado di Generalmajor, assumendo il comando della Fallschirmjãger Division , i famosi diavoli verdi di Montecassino.
[6] Il comando di Baade e Heidrich, cit.
[7] Faustino AVAGLIANO (a cura di), Il bombardamento di Montecassino. Diario di guerra di Eusebio GROSSETTI e Martino MATRONOLA con altre testimonianze e documenti. Montecassino, 1980, p. 102.
[8] Ivi, p. 103.
[9] Ivi, p. 105.
[10] Ibidem.
[11] Ibidem.
[12] Jean MABIRE, Les diables verts de Cassino. Italie 1943–1944.Presses de la Cité, 1991, pp.243–246 (anche per le successive citazioni, ove non diversamente indicato). Un grazie di cuore all’avvocato Roberto Molle per il suggerimento ed il testo ed a Federica Iadecola per la traduzione in italiano.