QUANDO IL MELFA PASSAVA PER AQUINO
Oggi Mèfete è una applicazione del web utilizzata per vari usi. Un tempo, invece, era una Dea. Una Dea di origine osca, poi fatta propria dai Sanniti, che, pare, fosse “colei che sta nel mezzo”, ovvero che “presenzia ai dualismi”: insomma, la protettrice delle sorgenti, dove l’acqua che sgorga passa dalla terra all’aria. Dunque, della vita e della morte, del giorno e della notte, del caldo e del freddo. Ma anche degli armenti, dei campi e della fecondità.
Ma sarà davvero così? C’è, infatti, chi sminuisce il tutto asserendo, invece, che Mèfete, o Mefite che dir si voglia, altro non è che un termine che «significa odore che emana dalle mofete e da acque solforee o corrotte. Per estensione letteraria significa aria malsana, irrespirabile, perché impregnata di cattivo odore»[1]
Sia l’una o l’altra cosa, poco interessa. Sta di fatto che tracce di questa divinità e della venerazione nei suoi confronti se ne trovano a Cremona, dove secondo Tacito (Hist. III, 33) c’era un tempio, a Laus Pompeia, presso l’odierna Lodivecchio, che la ricorderebbe con una iscrizione, a Roma, con un tempietto e un bosco sull’Esquilino, e poi a Tivoli, Roccamonfina, dove tra le pietre di un antico condotto è venuta fuori una pietra sulla quale era stata incisa la parola in osco “Mifineis”, e nella valle di Canneto dove le venne dedicata un’area sacra alle sorgenti del Melfa (o della Melfa, come scrivono alcuni? nda) testimoniata da un cippo votivo recuperato nel 1786 negli orti dei fratelli Visocchi ad Atina, finito poi nel giardino del dott. Filippo Fasoli e pubblicata quindi dal Giustiniani nel suo Dizionario Topografico del Regno di Napoli[2] e che oggi beneficia di consona collocazione all’interno del Santuario[3].
Quel che stupisce è che, proprio nel successivo corso del Melfa, si riscontrano altre tracce sulla divinità: a San Nazario (Casalattico), ad esempio, dove venne trovata una iscrizione, poi dispersa, nella quale secondo Mommsen (CIL. X, 5048) sembra vi fosse un accenno alla dea Mèfete (o Mefite) o, ancora, a Pescarola (Casalvieri), il cui santuario, localizzato presso una sorgente ed interessato da un corso d’acqua detto Riofete, in dialetto Refete, probabile derivazione da Rivus Mefitis, fu un importante punto di riferimento per chi transitava in zona.
Che ci faceva, invece, Mefete a Castrocielo, che, in una zona detta “Capo di lago”, e non “Campo di lago”, come si legge nella segnaletica stradale, ad indicare l’estremo punto settentrionale del più grande, e primo, dei tre laghi di Aquinum, il cosiddetto lago maggiore, dove c’era un riferimento alla divinità con una stipe votiva estesa oltre i 6.000 mq., posta non lontana dalla via Leuciana, quella che dalla Casilina mena a Pontecorvo, e che al tempo di Roma «rientrava nell’immediato suburbio della città di Aquinum dalle cui mura settentrionali dista circa 150 metri»[4].
A questa stipe votiva si è interessato, verso la metà degli anni Settanta del secolo scorso, il prof. Angelo Nicosia, che ha poi pubblicato i «risultati dell’analisi strutturale e formale del materiale a vernice nera conservato presso l’Antiquarium di Pontecorvo» materiale, «rappresentante i resti di superficie di alcuni ‘pozzi votivi’», databile tra il IV e il III sec. a.C. ed «il cui studio conferma la presenza di officine locali di produzione più direttamente influenzata dalla ceramica dell’entroterra Campano: Capua, Teano e Cales» e dove «sono presenti anche alcuni frammenti riferibili all’area Nord Laziale (Atelier des petites estampilles).
«La diffusione della ceramica a vernice nera in Méfete», ritiene Nicosia, «sembra legata all’intensificarsi delle relazioni a seguito della costruzione della via Latina (nel 312 a.C.) durante l’espansione romana verso la Campania»[5]
Ma che ci faceva questa stipe oggi in un posto piuttosto anonimo anche se caratterizzato da una rinfrescante vegetazione e dalla presenza di piccole sorgenti che il comune di Castrocielo ha in parte valorizzato? Forse per la presenza di sorgenti o perché di qui passava il Melfa?
Strabone è chiaro: «Aquino è una grande città, lungo la quale scorre il Melfi, gran fiume»?[6]
Eliseo Grossi, uno dei più attenti studiosi della storia di Aquino, si chiede: «Trattasi di un errore del geografo greco, o veramente, ai suoi tempi[7] la Melfa passava per Aquino? Diciamo subito che noi siamo per la seconda ipotesi, tanto più che le condizioni idrografiche e geologiche della contrada non si oppongo affatto alla nostra opinione»[8]. Lo studioso, quindi, si sofferma a chiarire la situazione accennando alla conformazione del territorio più o meno prossimo e ribadire, infine, il suo punto di vista.
Insomma, «che un fiume abbia potuto in un’epoca più o meno, cambiar di letto e spostarsi in un senso o in un altro, è cosa risaputa da tutti e non mancano esempi anche recenti: che un tal cambiamento abbia potuto verificarsi per la Melfa apparirà quasi normale, quando si rifletta la natura torrentizia di questo fiume. Rimontandolo infatti in tempo di magra, dal punto della sua confluenza con Liri fino al punto in cui si nasconde nelle gole dei monti presso Roccasecca, esso, più che un fiume, ci fa pensare a un misero ruscello, sì povero e di acque, pur scorrendo tra due altre rive e su di un letto maestoso e biancheggiante di ghiaia. Si provi a rimontarlo in periodo di piena e quel ruscello lo troveremo diventato un gran fiume, dalla corrente precipitosa, che rompe gli argini e abbatte tutto ciò che trova sul suo passaggio. Certo, nei tempi più remoti, quando attorno al fiume Melfa, nella pianura e sui monti, boschi annosi di querce e di elci verdeggiavano ancora, né la scure dei taglialegna aveva iniziato la sua opera distruttrice, le piene dovevano essere meno frequenti e meno alte dovevano essere le sponde del fiume e questo avrebbe potuto benissimo, invece di scendere a scaricarsi direttamente nel Liri, piegare a sinistra e andare a incanalarsi presso Aquino in quel letto dove scorre attualmente il Lesogne»[9].
A suffragare tale ipotesi, sempre secondo Grossi, ci sarebbe l’andamento dell’elevazione del terreno che, dai 135 metri s.l.m. riscontrati sotto Roccasecca scende ai 116 di Aquino, peraltro con una pendenza che ha «un carattere uguale e continuato e va sempre gradatamente scendendo»[10], peraltro con il territorio interessato «comunemente designato col nome di Mefta, mélfeto o mélfito»[11]. Tutto ciò porterebbe a dare un senso compiuto al nome Interamna, la colonia romana ubicata alla confluenza di due fiumi: il Liri, naturalmente, ma non certo il Lesogne il cui alveo si ritiene sproporzionato al suo volume di acqua e da considerarsi, dunque, retaggio del tempo in cui in esso scorrevano quelle del Melfa.
Opinione che trova d’accordo anche mons. Rocco Bonanni il quale fornisce ulteriori elementi a sostegno della ipotesi del Grossi: «Chiunque sia stato in Aquino ha potuto osservare che dopo Mefato (ora in territorio di Castrocielo a pochi metri al di sotto verso sud del Casello ferroviario Kil. 125 della ferrovia Roma-Napoli) incomincia un avvallamento della larghezza massima di poco meno di due chilometri (al lago maggiore) e con un media di circa un chilometro fin quasi alla confluenza col Liri e colla profondità media di 30 a 40 metri dal piano del territorio di Aquino. Le rive di questo avvallamento, meno lo strato superficiale messo a coltura, sono nel sottosuolo per otto, dieci ed anche 15 metri formate da arena di fiume, di creta, di pietrisco di varia forma e colore. Al disotto di questo pietrisco, talvolta, molto aderente, si sono rinvenuti dei fossili di animali di forme stragrandi, dei denti pietrificati ed altre ossa»[12].
Non concorda, invece, su tale ipotesi l’altro grande studioso della storia di Aquinum, Michelangelo Cagiano de Azevedo, al quale non pare possibile «che il preciso geografo abbia confuso dei laghi con un fiume, con un fiume anzi che egli specificatamente dichiara grande, cioè non ritengo che egli abbia dato il nome di Melfa ai laghi di Aquino»[13]
Ma Grossi ribatte: «Possiamo anche aggiungere che la presenza della Melfa proprio presso le mura di Aquino, si connetteva alla difesa della città, al difuori della quale un largo fossato, i cui avanzi sono tuttora visibili, e dove potevasi, in caso di necessità, mandare acqua per impedire con maggior sicurezza ai nemici di accostarsi alle mura»[14].
A un certo punto, difficile dire quando, questo stato di cose iniziò a mutare ed il Melfa, piuttosto che passare per Aquino, optò per quel letto del quale ancora oggi si serve mentre, col tempo, sparì ogni traccia del suo vecchio percorso. All’infuori, beninteso, di quella depressione del terreno che avrebbe poi ospitato i tre laghi di Aquino e dell’ulteriore corso sino al Liri, depressione alla quale avrebbero assicurato adeguato rifornimento idrico le acque provenienti dalle sorgenti di Capodacqua per il tramite di quel passaggio naturale detto “Voccafurno” — «il terreno vedesi così scavato dalle acque da sembrare proprio la bocca di un forno»[15]- , in uno con quelle, di più modeste proporzioni, che costellano il letto del lago stesso che, in quanto tale, fu anch’esso funzionale alla difesa di Aquinum. Aquinum che, di sicuro, non mancò di ricambiare opportunamente il favore, non solo tenendo ordinati i diversi corsi d’acqua che lo alimentavano ma anche realizzando una strada, oggi via Campo Spinello II, quella che dalla Cartiera Cerrone, ovvero da appena fuori dalle mura orientali di Aquinum, al termine della discesa che inizia da Porta Capuana, o di San Lorenzo, portava, con un percorso piuttosto lineare, proprio alle sorgenti di Capodacqua che, dunque, già allora dovevano essere tenute in debito conto.
Cessato lo splendore di Aquinum con le invasioni barbariche, iniziò probabilmente anche la fine dei laghi che forse , in prosieguo di tempo, non beneficarono di consone attenzioni al punto che, secondo mons. Bonanni, nel «secolo decimo sesto cominciò pe Aquino la decadenza e, siccome per la diminuita popolazione le terre si lasciarono in abbandono ed alle acque non si dava scolo, così nell’avvallamento, oltre ai tre laghi che erano divenute paludi, le acque ristagnavano da per tutto e l’ariadivenne insalubre».
Intanto, al «principio del secolo XIII», c’era stato « il deviamento della corrente Capo d’acqua» da “Voccafurno” su un nuovo corso che alla Parata, laddove nell’Aquino di oggi termina “via Soldato Ignoto” ed inizia “via Roma”, «incontrava il tratto della via Latina», che superato l’arco Onorario, o di Marcantonio, proseguiva verso Cassino. Insomma, per dirla col Bonanni, «con un atto di poco rispetto per le cose antiche, si immise nella via suddetta, che per la discesa si infossava un tantino nel terreno, l’acqua di Capo d’acqua, pensando solo a deviarla dal lago!!»[16].
Altre opere idrauliche erano state realizzate nel 1471 quando, scrive sempre Bonanni, «fu scavato un canale per dar lo scolo a quelle acque che ad instar lacus paludabantur sotto il monte delle Vigne ad est della sorgente di Capodacqua, ma poco o nessun giovamento si ottenne nel miglioramento igienico»[17].
Insomma, la situazione dei laghi, con conseguenti riflessi negativi sulla salute della popolazione, doveva essere piuttosto grave quando Giacomo Boncompagni, nel 1583 comprò la contea di Aquino. Al punto che, come si legge in un antico documento, appena sette anni dopo l’acquisto il nuovo signore, «al fine di accrescere la popolazione [e] per togliere il sospetto che dal lago sud.to potesse procedere insalubrità di aere, disseccarono il lago stesso, e feron mettere in coltura tutto il sito, che i vicini boschi, aprendo libero corso all’acqua, che per essi scorrevano con grossa spesa»[18]. Una bonifica, insomma, ancora oggi “operativa” anche se l’ipotizzata crescita non ci fu tant’è che si fu costretti a chiamare da Casalattico «un certo numero di famiglie di agricoltori e diede ad essi le terre delle Valli e di altre località in enfiteusi perpetua»[19].
Il maggiore dei laghi di Aquino è tornato in auge questo anno di grazia 2022, ricco di epidemie, guerre, siccità e quant’altro di peggio vi sia, allorché, sulla scia della ricerca di soluzioni alternative a quelle sin qui utilizzate, si è pensato ad un suo futuro da invaso: esteso su una superficie di 35 ettari, e considerato un «battente idrico medio pari a 3 metri», esso, infatti, consentirebbe uno stoccaggio di oltre un milione di metri cubi di acqua. Che sarebbe, poi, sempre quella di Capodacqua, ovvero di una sorgente che può contare su uno dei bacini idrogeologici sotterranei tra i più grandi e importati d’Europa. Quale il fine? Non solo quello dello stoccaggio della risorsa idrica ma anche l’utilizzo energetico della stessa.
L’entusiasmo dei promotori, però, è stato stoppato dal no di qualche amministratore. Che, forse, vuol prendere solo tempo per capire l’affare dov’è.
[1] Don Dionigi ANTONELLI, Il Santuario di Canneto. Studio Critico- Storico. Sora, 1969, p. 75.
[2] http://www.sanniti.info/mefite.html
[3] Don Dionigi ANTONELLI, op. cit., p. 74.
[4] Angelo NICOSIA, Ceramica a vernice nera della stipe di Mèfete. Gruppo Archeologico, Pontecorvo, 1976, p. 5
[5] Idem, p. 65.
[6] STRABONE, Geografia. Volume 3, libro V.
[7] Strabone nacque ad Amasea, una città della Turchia capoluogo dell’omonima provincia, prima del 60 a. C. e dove morì tra il 21 e il 24 d.C.
[8] Eliseo GROSSI, Aquinum. Ricerche di topografia e di storia. Ermanno Loescher (W. Regemberg) 1907, p. 19.
[9] Idem, pp. 23–24.
[10] Idem, p. 24.
[11] Idem, p. 27.
[12] Rocco BONANNI, Ricerche per la Storia di Aquino. Prof. P.A. Isola Editore, Alatri, 1922, p. 7.
[13] Michelangelo CAGIANO DE AZEVEDO Aquinum (Aquino). Serie I, Volume IX. Istituto di Studi Romani Editore, 1949, p. 29.
[14] Eliseo GROSSI, op. cit., p. 28.
[15] Rocco BONANNI, op. cit., p. 29.
[16] Rocco BONANNI, op. cit., pp. 14–15-16 (anche per le altre citazioni)..
[17] Idem.
[18] Ragguaglio dello stato passato e presente dell’Antica Città di Aquino è suo Contado. Si tratta di un manoscritto di 23 pagine in possesso di mons. Rocco Bonanni e da lui citato nel suo libro Monografie Storiche. F.R.E.S.T. Fabbrica Registri e Stab. Tipografico, Isola del Liri, 1926, p. 191.
[19] Giovanni BAFFIONI- Paolo BONCOMPAGNI LUDOVISI, Jacopo Boncompagni (1548–1612). Comune di Isola del Liri, 1997, p. 981997, p, 50.
Costantino Jadecola, 21.09.2022