PER QUALCHE BRANDELLO DI TERRA
Da un disegno acquerellato di Marcello Guglielmelli (sec. XVIII): Villa di San Gregorio (Montecassino/Archivio)
Presso il Museo Provinciale Campano di Capua, al quale è annessa una ben fornita biblioteca ed una non meno dotata emeroteca — una vera miniera bibliografica per i Comuni che fino al 1927 costituirono il Circondario di Sora nell’ambito della provincia di Terra di Lavoro — ho avuto l’opportunità di scovare una pubblicazione della Corte d’Appello di Napoli relativa ad una vicenda giudiziaria di oltre cent’anni or sono tra i comuni di Colle San Magno da un lato e quello di Aquino e di Palazzolo (Castrocielo) dall’altro, per una questione di territorio e di confini (Per il Comune di Colle S. Magno contro il Comune di Aquino. Relazione dell’emerito Consigliere. Napoli 25 maggio 1887. Pag. 109).
«Si presenta all’esame della Corte di Appello», inizia il relatore, «una causa di eccezionale gravità, sia perché si tratta di ritornare su d’istituti giuridici esistiti durante il periodo feudale, fissarne il contenuto, vederne la relazione coll’organismo della vita pubblica di quei tempi, comprenderne le conseguenze rilevanti in rapporto alle proprietà comunali; sia principalmente perché la questione fondamentale di fatto della causa è di ricostruire e determinare tutto lo svolgimento della vita politica ed amministrativa di tre comuni differenti a far capo dagli ultimi anni della dominazione sveva e dei primi dell’angioina e venendo fino alle leggi eversive della feudalità e poscia ancora fino al giorni nostri, per decidere se in realtà tra di essi siavi stata ed abbia perdurato una comunanza di esistenza sociale tale da poter indurne anche una relativa comunione di territorio e di proprietà. Una tale intricata ricerca, che va fatta sulla base di numerosi e svariati documenti di cui è necessità studiare il valore e gli effetti, viene imposta dall’indole dell’istanza avanzata da’ Comuni di Palazzolo ed Aquino contro il Comune di Colle S. Magno, istanza su cui già da parecchi anni ha provveduto il Prefetto della Provincia di Terra di Lavoro, dichiarandola destituita di ogni fondamento e completamente rigettandola, e su di cui deve pronunziarsi la Corte in virtù dello appello sporto dai soccombenti». Ma quale scopo indusse i due Comuni attori ad intentare una cosi dispendiosa e difficilissima lite?
Colle San Magno è un «comunello» quasi nascosto tra i monti che per una serie di vicende storiche e sociali, di cui sarebbe impossibile rintracciarne il corso, ha posseduto «ab immemorabili» una vastissima estensione di boschi, costituenti demani universali su cui la popolazione ha esercitato ed esercita usi civici. «Durante lungo tempo», scrive il relatore, «questa sua condizione economica non ha fermato l’attenzione né suscitato l’invidia di alcuno perché tranne il godimento in natura che i cittadini avevano di siffatta proprietà, in essa niuno vedeva la possibile sorgente di rilevanti utilità». Quando poi il «mutato organismo» della vita commerciale, la potente spinta avuta da ogni specie di traffici e di industrie, il progresso di tutta la «pubblica» economia «ha tradotta in lieta realtà la possibilità d’importante ed utile trasformazione insita nei beni di Colle San Magno, allora l’invidia e la cupidigia dei comuni finitimi si son mostrate in tutta la loro forza, ed essi hanno studiato il mezzo di dividere con Colle San Magno le utilità ed i beni di cui questo godeva. E il modo di riuscire nell’intenti l’ebbero subito trovato. Fecero ricorso alle memorabili leggi che abolirono la feudalità e sciolsero le promiscuità dei demani e trovando nel decreto del 10 Marzo 1810 ordinata tra le Università interessate la divisione dei demanii quando rispetto a questi fossero tra di loro legate da vincoli di condominio, essi credettero architettare alla meglio una prova di tale comproprietà, e così armati scesero in campo. E si presentarono al Commissario Ripartitore per lo scioglimento della promiscuità del territori demaniali su cui per lunga distesa di tempo asserivano di aver insieme al Colle rappresentato un diritto di condominio».
Palazzolo asserì che insieme a Colle San Magno aveva fatto parte della popolazione e della Università di Castrocielo e che, quando questo paese venne distrutto, «dell’antica gente se ne erano formate due, cioè Palazzolo stesso e Colle S. Magno». Aquino, invece, accampò le sue pretese sul fatto che al tempo delle invasioni barbariche, tutta la sua popolazione “si scisse” formando parecchi gruppi che poi si procurarono una propria nuova sede sulle montagne circostanti. Per cui se tutte le nuove terre le erano legate «jure filationis», se, per conseguenza, doveva ritenersi per certa l’antica unità del territorio su cui si manifestava la sua proprietà, ne deriva che, come città madre, Aquino aveva conservato il suo diritto di dominio sui territori e demani, pretendendo, pertanto, una parte di essi.
«Entrando nel merito della causa», prosegue la relazione, «la prima osservazione semplicissima che si deve fare contro Palazzolo ed Aquino si è che nei loro ragionamenti essi traggono conseguenze che non possono punto logicamente discendere dalle premesse poste; che essi vedono nessi di causa e di effetto tra fatti di cui gli uni non possono influire sugli altri e tanto meno esserne la causa determinante e generatrice. Per conseguenza, ove due o più comuni abbiano avuto una medesima origine, essi potranno vicendevolmente accampare ragioni di condominio l’uno sulla proprietà dell’altro soltanto quando il condominio su quello che era territorio promiscuo si sia in fatto mantenuto, o se durante il trascorrere di secoli abbiano essi procurato di ravvivarla. In caso contrario la esclusività del dominio avuto dall’uno delle proprie terre demaniali è indice sicuro che alla divisione della originaria ed unica popolazione si accompagnò la divisione dell’originario ed unico territorio». E se ciò è vero è altrettanto chiaro che, ammesso pure che Colle San Magno e Palazzolo siano nati dalla distruzione dell’antico Castrocielo, non per questo Palazzolo può pretendere una porzione del demanio di Colle San Magno, come ugualmente Aquino non può riferire le proprie pretese all’antica scissione della popolazione ed all’insediamento di questa sulle terre limitrofe. Potrebbe semmai Aquino pretendere il suo diritto di condominio sui beni demaniali di Colle San Magno semmai riuscisse a dimostrare che questo paese si sia trovato un tempo nella condizione giuridica di essere stato un suo «casale». «Ma senza dubbio alcuno anche in tale ipotesi la dichiarazione di condominio dovrebbe essere subordinata alla presenza o meno di un complesso di circostanze assolutamente necessario per far ritenere la promiscuità completa di territorio fra la città madre ed il suo Casale». Aquino, invece, ha fatto risalire le sue pretese alle invasioni barbariche, rammentando, ma senza. peraltro convincere il Commissario ripartitore, che nell’epoca romana essa non aveva intorno a sé altre città limitrofe ad eccezione di Fregellae, Casinum ed Interamna. Più felice è stato Palazzolo nella dimostrazione della sua tesi. «Interpellato infatti questo Comune il 13 febbraio 1868 dal Prefetto della Provincia per sapere quali fossero i titoli che sostenessero e giustificassero la istanza fatta contro Colle San Magno, con deliberazione consiliare del 12 marzo dello stesso anno rispose risultare da una tradizione ininterrotta di padre in figlio che Palazzolo e Colle San Magno siano derivati dalla popolazione di Castrocielo, paese distrutto nell’ottavo secolo, aggiungendo di essere una tale tradizione avvalorata sia dal fatto che nel secolo passato i preti dei due Comuni facevano al loro Vescovo una relazione nella quale si ricordava e s’invocava la comunanza di origine dei due Comuni, sia dal fatto che i due comuni hanno sempre avuto un solo arciprete».
Secondo il relatore, però, Palazzolo urta contro lo stesso scoglio contro cui «s’infrange la macchina montata da Aquino» essendo assurdo invocare a propria difesa niente meno la memoria dell’unione dei due paesi nell’ottavo secolo; né, d’altro canto, il «carattere sacro» di quei preti può ad una tale tradizione, o leggenda che sia, dare quella autenticità che potrebbe derivarle solo da validi documenti. Ma è poi un fatto accertato questa unione spirituale accennata da Palazzolo? Dai documenti conservati nell’Archivio di Napoli risulta infatti che ciascuna delle due Università era posta sotto la speciale gestione di un proprio e distinto arciprete. Ed in effetti tali documenti dicono che i Baroni di Castrocielo/Palazzolo e di Colle S. Magno corrispondevano anno per anno delle rendite in generi alimentari agli arcipreti dei propri Comuni; che allorquando si procedette alla numerazione dei fuochi dei vari Comuni dell’ex Reame allo scopo di regolarizzare l’amministrazione finanziaria dello Stato, furono dai «regi numeratori» chiesti ai rispettivi arcipreti delle due Università gli estratti dei registri parrocchiali dei nati e dei morti per potersene servire nelle loro operazioni. «Risulta invero dalla numerazione dei fuochi eseguita nel 1524 dalla Commissione governativa all’uopo creata, che questa recatasi a Castrocielo elevò un processo verbale delle sue operazioni nel quale innanzi tutto indicò quali fossero i rappresentanti delle Università; poscia numerò ad una ad una e per individui tutte le famiglie dimoranti in Castrocielo; scese poi nel casale Palazzolo ed ivi fece altrettanto. Adunque Castrocielo con Palazzolo suo casale godeva di piena vita quando già da parecchi secoli esisteva Colle San Magno col suo casale di Cantalupo; come adunque dalla distruzione di Castrocielo nel secolo ottavo ha potuto nascere Colle San Magno e Palazzolo secondo la tesi di quest’ultimo? Se adunque è destituita di ogni prova l’asserita comunanza di origine di Colle San Magno ed Aquino; se ugualmente indimostrate son rimaste le deduzioni di Palazzolo, egli è forza conchiudere», scrive il relatore, «che Colle San Magno ha vissuto sempre una vita civile isolata ed autonoma, conservando piena ed esclusiva la proprietà dei suoi demani …E la dimostrazione di una tale ininterrotta e piena indipedenza di vita civile del Colle completerà con la storia che ne faremo, mercé pubblici documenti, delle vicende di esso, mettendole a raffronto con quelle di Aquino e Palazzolo».
Inizia, difatti, a questo punto la seconda parte della relazione, quella che non è inopportuno definire storica, ed è una parte rilevante dell’intero secolo, che contiene informazioni storiche di prima mano su Colle San Magno, Aquino e Palazzolo, informazioni che il relatore — o i relatori (in calce al testo compaiono infatti i nomi di Stefano Cocchia. Gaetano Cecci e Luigi Perla, non ulteriormente qualificati) – raccolsero nel «Grande Archivio di Napoli» — mentre “della vita delle tre Università durante il periodo svevo non è restata più traccia per effetto dell’incendio che nel 1265 subì in Melfi l’Archivio svevo per opera di Carlo I d’Angiò. «Egli è vero», si legge ancora, «che si conservano alcune reliquie di atti che si riferiscono al governo di Federico II, racchiusi in un volume che ha per epigrafe ‘Frammento o registro di Federico’, ma non si rinviene niente che sia relativo ai tre Comuni di cui noi ci stiamo occupando».
Il racconto delle vicende relative a questi Comuni viene suddiviso in due periodi: il primo, che dal 1382 giunge fino al 1517, periodo durante il quale i tre feudi di Castrocielo con Palazzolo, Colle San Magno con Cantalupo ed Aquino vennero posseduti da tre feudatari diversi; il secondo, che dal 1517 giunge fino al 1806, durante il quale si trovarono nelle mani dello stesso Barone, ma sempre però distinti tra loro. Riferire di queste vicende significherebbe rifare, in sostanza, cinque secoli di storia dei tre Comuni. Il che, francamente, è impresa ardua. E non avrebbe oltretutto motivo di essere, essendo stato il tema di questo articolo soltanto quello di rievocare un documento sulla cui esistenza forse in pochi sono a conoscenza.
Dell’esistenza di questa pubblicazione, mons. Rocco Bonanni, storico di Aquino, sebbene ne fosse venuto a conoscenza quando aveva appena terminato di scrivere le sue ‘Monografie storiche’ (1926), riuscì tuttavia a fare in modo di esprimere in questo testo le sue considerazioni (pp. 58–60) specialmente a proposito «delle corbellerie che getta a vanvera l’avv. di Colle San Magno». Per provare l’origine di questo paese, dice in sostanza Bonanni, altro che Melfi; basta recarsi a Montecassino, «dove di documenti ce ne sono tanti». Quanto al clero «dei due Comuni», questo, in realtà, «fino al 22 luglio 1850 era uno solo ed il Parroco (don Francesco Rongione, nda) era uno solo per i due Comuni e risiedeva negli ultimi anni sei mesi al Colle e sei a Palazzolo». Ma, aggiunge Bonanni, la mistificazione «è enorme (…) quando si fa la citazione dei documenti (60)!!, che poi non ci sono». Ma più dei documenti fanno testo le usanze: «Ciò che gli antichi usavano fare nei secoli passati si continuano a praticare ancora oggi dagli odierni Castrocelesi. Sappiamo che gli agricoltori del Medio Evo lavoravano in pianura e la sera si ritiravano su a Castrocielo; ebbene anche oggi (fino a pochi anni dietro lo facevano tutti) molti, sul far della sera, compiuta la giornata di lavoro in pianura, ascendono l’erta faticosa per ritirarsi in paese, salvo tornare nuovamente la dimane in piano.»
© Costantino Jadecola, 1978.
One Reply to “PER QUALCHE BRANDELLO DI TERRA”
Molto interessante. Mi piace molto questo interesse coltoe profondo sulla storia passata del proprio luogo di nascita