IL PRINCIPE DEL COLLE

Napoleone Bonaparte, nel conferire il 5 giugno 1806 la sovranità su Pontecorvo al maresciallo Giovanni Battista Bernadotte[1] lo sollecitava a prendere al più presto possesso del principato pur essendo consapevole che l’iniziativa non poteva essere attuata dal neo principe in prima persona essendo a quel tempo governatore militare ad Ausbach, in Baviera. Sarà il caso, allora, suggerì Napoleone al cugino, di affidare l’incarico ad una persona di fiducia. E Bernadotte così fece delegando l’incombenza al suo aiutante di campo, un «ufficiale della Legion d’onore» di nome Gault, il quale, presumibilmente agli inizi di settembre del 1806 giunse a Pontecorvo dove, con un proclama a stampa, immediatamente ragguagliò gli abitanti del principato e sullo scopo della sua missione e su quelli che erano gli intenti sia dell’Imperatore che dello stesso Bernadotte.
Per quanto tempo Gault rimase a Pontecorvo non è dato sapere. E’ da presumere, comunque, che si sia trattenuto il tempo necessario per rendersi conto della situazione anche se non si esclude che il suo soggiorno pontecorvese sia stato probabilmente prolungato, suo malgrado, sino al mese di novembre, o giù di lì, per via di una incursione nel territorio prossimo al principato del mitico Frà Diavolo. Appena può, comunque, Gault raggiunge Bernadotte in Polonia, dove questi era ora impegnato nella campagna di Russia, e lo ragguaglia con un dettagliato rapporto sullo stato degli uomini e delle cose del principato suggerendogli anche il nome di chi avrebbe potuto meglio rappresentarlo in loco come governatore: Giulio Nota, ovvero Giulio Cesare Nota.
Ed è a costui, infatti, che il giorno di Natale del 1806 da Thorn, in Polonia, appunto, Bernadotte invia la nomina ufficiale a governatore di Pontecorvo, nomina cui sono allegate le linee guida per la gestione del Principato[2] dalla cui lettura si deduce che Gault, nel suo comunque breve soggiorno pontecorvese, si sia molto bene reso conto della realtà locale.
Ma chi è Giulio Nota, ovvero Giulio Cesare Nota, in entrambi i modi chiamato da Bernadotte nella lettera a lui indirizzata? Secondo Angelo Nicosia[3] il suo «nome corretto e completo doveva essere Giulio Cesare di Nota o de Nota così [come] ricorre generalmente nei documenti (…). Che i Di Nota fossero di Pontecorvo lo dimostra l’esistenza nella prima metà dell’800 di almeno due rami di questa famiglia abitanti nelle giurisdizioni parrocchiali di S. Nicola e di S. Marco» come risulterebbe «dai libri dei nati fino al 1861 di queste chiese conservati presso l’ufficio Anagrafe del Comune di Pontecorvo».
In realtà, però, le cose potrebbero anche non stare in questi termini ed il Giulio Nota, o Giulio Cesare Nota, ovvero Giulio Cesare Di Nota o De Nota che dir si voglia, potrebbe addirittura non essere un cittadino di Pontecorvo.
Pasquale Cayro, lo studioso di San Giovanni Incarico che nelle sue pubblicazioni sul territorio ci ha fornito non solo informazioni di carattere storico ma anche alcune notizie a lui coeve, nella sua opera sicuramente più nota, la Storia sacra e profana d’Aquino e sua Diocesi, a pagina 96 del secondo volume, a proposito di Pontecorvo, accenna naturalmente al suo «Vice Principe», il «Dottor D. Giulio Cesare di Nota» nome che, però, non pone tra i cittadini «Privilegiati, e Profeffori» della città. Lo troviamo, invece, questo nome, «D. Giulio Cesare di Nota Dottor in legge» tra i cittadini «Privilegiati, e Profeffori del Colle San Magno», a pagina 54 dello stesso libro.
Che possa trattarsi di un caso di omonimia, è a dir poco scontato. Del resto, ancor oggi, sia i «Di Nota» che i «Nota» sono presenti sia a Pontecorvo che a Colle San Magno. A far pendere, però, il piatto a favore della seconda località è un documento dell’epoca, ovvero dei primi anni del 1800, in cui si parla della richiesta avanzata alle autorità competenti da un cittadino di Colle San Magno, un Giulio Cesare di Nota, appunto, per la costruzione di un mulino in un fondo di proprietà posto «in tenimento» di Roccasecca e quindi «animarlo colle acque del torrente detto Melfi, che bagna il suddetto fondo»[4].
La prima conferma all’ipotesi che il «D. Giulio Cesare di Nota Dottor in legge» che compare tra i cittadini «Privilegiati, e Pofeffori del Colle San Magno» possa essere il vice principe di Pontecorvo viene dalla datazione della richiesta iniziale, datata appunto «Pontecorvo, 22 Agosto 1810». Ma è anche significativo un passaggio della stessa lettera, che è indirizzata al duca d’Alanno, intendente della provincia di Terra di Lavoro, in cui Di Nota scrive: «Mi prendo la libertà di ricorrere al Fonte Vivo, cioè alla Bontà di V. E. supplicandola degnarsi farmi intendere la vera disposizione delle leggi di codesto Regno su tale oggetto, perché qui», a Pontecorvo, cioè, «come diverso dominio, non sono direttamente note».
Ma è in prosieguo della pratica che la certezza si sostituisce alla supposizione iniziale. Quando, cioè, il duca d’Alanno gira la richiesta di Di Nota al ministero dell’Interno (Capua, 11 dicembre 1810) e scrive testualmente «Principe di Pontecorvo Sig. Giulio Cesare (di) Nota di Colle San Magno». E non sarà l’unica volta.
Il ruolo occupato dal richiedente non facilita certo l’iter della pratica che, a onor del vero, ha un corso in linea con gli standard del tempo, incontrando, oltretutto, qualche difficoltà per via del fatto che la costruzione del nuovo mulino dovrebbe avvenire alla distanza di un miglio circa al di sotto di quello di Casa Reale, la cui rendita, inevitabilmente, ne risulterebbe intaccata.
Riflessi negativi, poi, deriverebbero anche all’utilizzo delle acque per via del fatto, fa notare il sotto intendente di Sora all’intendente di Caserta[5], che «il Comune di Roccasecca, per sollevare la popolazione oppressa dalla miseria cinque anni sono convenne con gli Agenti del passato Governo di pender l’acque dal gran canale dei Regi Molini mediante un moderatore in fabbrica nel mezzo di esso per irrigare le campagne ne tempi estivi di tre ampie contrade denominate Starze, Pescopana e S. Vito mediante il pagamento di annui ducati trentacinque in beneficio dell’Amministrazione dello Stato di Sora, ora della Casa del Re a carico de Proprietari de Fondi irrigabili».
Poi, però, questi ostacoli vengono evidentemente superati se il 3 giugno 1811 Gioacchino Napoleone, Re delle Due Sicilie, firma il decreto che autorizza Giulio Cesare «de» Nota a costruire il mulino sulle sponde del Melfa.
Per l’accettazione delle condizioni previste[6], di Nota dovrebbe recarsi a Capua, all’epoca capoluogo della provincia di Terra di Lavoro. Ma essendone impedito per motivi che non vengono citati nomina suo procuratore speciale certo Andrea Ajello. L’atto, redatto in Aquino il 20 giugno 1811, dove, scrive di Nota, «mi trovo di passaggio», è munito del sigillo del notaio Alessandro Iadecola, ed ha come testimoni il canonico Vincenzo Stravati e Gregorio di Brango, probabilmente lo stesso che qualche anno prima era stato sindaco della città.
Ammesso, e non concesso, che le cose stiano così come sono state proposte, a proposito dell’incarico di vice principe di Pontecorvo conferito a Giulio Cesare di Nota direttamente da Giovanni Battista Bernadotte, come prima cosa viene da chiedersi il perché di questa scelta a beneficio di un cittadino non di Pontecorvo. E’ da supporre, allora, che il Nota risiedesse abitualmente nel principato dove Gault avrebbe avuto occasione di conoscerlo e di apprezzarne pregi e qualità ritenendolo dunque in grado di poter essere investito dell’importante incarico.
Quanto allo specifico ufficio, invece, si ritiene che di Nota ne abbia preso possesso già nel mese di gennaio del 1807 e che da subito se la sia dovuto vedere con le dettagliate disposizioni ricevute da Bernadotte tra cui, evidenzia Angelo Nicosia, al cui scritto si rimanda per eventuali approfondimenti, il dimezzamento delle parrocchie: a Pontecorvo, infatti, a fronte di un popolazione che si ritiene fosse nel 1782 di 5.766 abitanti e di 6.030 nel 1816 vi erano una ventina di chiese e ben sei parrocchie[7]. Insomma, scrive Bernadotte, non essendo le chiese sufficientemente «frequentate per essere il loro numero molto considerevole relativamente alla Popolazione» sarà il caso, allora, di diminuirle, lasciando in funzione come parrocchie la Cattedrale e le collegiate di Santa Maria di Porta e di San Nicola[8].
Non sembra, però, che alle dettagliate disposizioni ricevute sia seguita la loro pratica attuazione tant’è, ad esempio, che nonostante le specifiche leggi sulla soppressione degli ordini religiosi, pare che Pontecorvo fosse divenuto un importante riferimento per i padri Passionisti che qui venivano a cercarvi ospitalità da mezza Italia trovando consona accoglienza non solo presso le famiglie più altolocate ma avendo addirittura «uno straordinario protettore» nello stesso governatore, ovvero il vice principe di Nota, che, scrive Nicosia, «li difese strenuamente anche dall’ingerenza di commissari esterni»[9].
Quando il 20 agosto 1810 la Dieta svedese designò Bernadotte principe ereditario di Svezia, Pontecorvo venne unito all’Impero francese e, appena dopo, nel mese di gennaio 1811, un commissario imperiale venne a prenderne possesso, che fine fece di Nota?
C’è da supporre che egli abbia conservato il suo incarico anche se, ritiene Nicosia, «per le proteste dei cittadini filo-francesi (e/o per la presenza del commissario?) dovette rettificare, almeno formalmente, il suo atteggiamento nei confronti degli ecclesiastici»[10]. E’ da precisare, peraltro, che queste “proteste” non erano generate dalla presenza in Pontecorvo di un «forte ‘partito giacobino’» bensì dal malumore della gente comune la cui esasperazione era provocata dalla pura e semplice «constatazione che i religiosi, il cui numero andava sempre aumentando, non solo non pagavano tasse (secondo le imposizioni napoleoniche) ma il Governatore li provvedeva ‘ora in roba ora in denaro’, pubblico, naturalmente»[11].
Ma a creare maggiore scompiglio fu soprattutto il parziale riversamento del tributo dovuto al demanio imperiale. A seguito di ciò, infatti, nel mese di gennaio del 1812 giunse a Pontecorvo direttamente da Parigi un commissario incaricato di vederci chiaro sulla cresta fatta sui tributi. Fu evidentemente in questa circostanza che i cittadini pontecorvesi ebbero occasione di manifestare il loro disappunto sulla gestione amministrativa del principato cosa, questa, che provocò la venuta a Pontecorvo di un altro commissario con il compito specifico di indagare su Di Nota. Il quale, però, riuscì a venirne fuori in maniera talmente pulita che il 5 luglio 1812 fu riconfermato nell’incarico.
Poi, poco più di un anno dopo, a seguito del crollo del dominio napoleonico conseguente la battaglia di Lipsia (ottobre 1813), cessò anche la gestione di Giulio Cesare di Nota: quando fu destituito era il 21 febbraio 1814, il giorno in cui un non meglio identificato «cavaliere Ferri» occupò il principato di Pontecorvo per conto di Gioacchino Murat e ne divenne commissario.
© Costantino Jadecola, 2003
[1] La notizia fu pubblicata dal giornale Moniteur il 6 giugno 1806.
[2] Il testo è in appendice all’articolo di Angelo NICOSIA, “‘La costituzione’ di Bernadotte per il principato napoleonico di Pontecorvo (1806–1815)” pubblicato in “Quaderni n. 2” del Museo Civico di Pontecorvo a cura dell’Associazione Culturale ‘Liris’ nel 1982.
[3] Op. cit., p. 35n.
[4] A. S. C., Intendenza borbonica, Affari Comunali, Colle San Magno. B. 2520.
[5] La lettera è del primo dicembre 1810.
[6] Art. 2. Quante volte il cennato Molino debba demolirsi per essere di ostacolo allo stabilimento de’ pubblici ponti, strate, acquidotti o canali navigabili, il Governo non sarà tenuto ad indennizzo alcuno”.
[7] Nella lettera inviata a Di Nota da Bernadotte (Archivio di Stato di Roma, Camerale III, busta 1694), a p. 41, si legge che le sei parrocchie sono la “Cattedrale, le due Collegiate, la Parrocchia di S: Marco, quella di S: Biagio e quella di S: Marco [e che] oltre di queste sei Parrocchie esistono ancora trè case di Religiose, e molte Cappelle”.
[8] Lettera citata p. 42
[9] Angelo Nicosia, op. cit., p. 38.
[10] Idem, op. cit., p. 41.
[11] Idem c.s.