IL MULINO DELLA FORMA DI CAIRO

IL MULINO DELLA FORMA DI CAIRO

Ciò che res­ta del­l’an­ti­co muli­no del­la For­ma di Cairo.

E’ il 3 luglio del 1835 quan­do don Pasquale Cavacece, un grosso pro­pri­etario ter­riero di Pied­i­monte San Ger­mano, riv­olge doman­da (in bol­lo, da grana 6) all’intendente del­la provin­cia di Ter­ra di Lavoro per ottenere l’autorizzazione a riat­ti­vare un muli­no già appartenu­to all’ex Duca di Sora[1]. Ubi­ca­to sel­la “Mon­tagna di Cay­ro in ten­i­men­to del Comune di Colle San Mag­no”esso era “ani­ma­to dalle acque che sor­gono in un fon­do di Don Lui­gi Giov­inazzi, le quali inter­se­can­do una stra­da pub­bli­ca, si get­tano in un fon­do di Ange­lo Paolozzi, ove trovasi il fab­bri­ca­to per uso di det­to Moli­no”. Riat­ti­van­do “tale macchi­na”, fa notare Cavacece, si “porterebbe som­mo van­tag­gio ai Comu­ni di Colle e Terelle non che agli abi­tan­ti di quelle con­trade, essendo ora i medes­i­mi obbli­gati di andare a macinare nel­la dis­tan­za di più miglia”.

Nonos­tante l’apparente bon­tà del fine dell’iniziativa pro­pos­ta da Cavacece, il sin­da­co di Colle San Mag­no, don Vin­cen­zo Cen­ci, las­cia inten­dere, però, di essere di diver­so avvi­so in quan­to, a suo dire, le acque in ques­tione “servir deb­bono per uso pub­bli­co”.

Solo un pretesto”, rib­at­te Cavacece. E aggiunge che il sin­da­co agirebbe non “pel bene pub­bli­co ma per fini pri­vati”. D’altro can­to lui “vor­rebbe far uso delle acque in paro­la sen­za pun­to deviar­le dall’attuale cor­so (…) ed affinché la stra­da, sul­la quale pas­sano le acque riman­er pos­sa lib­era al pas­sag­gio, si obbli­ga”, addirit­tura, “di farvi un ponte a pro­prie spese”.

In prosieguo, però, Cavacece deve ved­er­sela più che con quel­lo di Colle San Mag­no con il comune di Palaz­zo­lo che su quelle acque che lui intende uti­liz­zare accam­perebbe addirit­tura dei dirit­ti. Tant’è che il sot­to inten­dente di Sora, infor­man­do del prob­le­ma l’intendente del­la provin­cia di Ter­ra di Lavoro (25 luglio 1835), ritiene che “con­ver­rebbe aver pre­sen­ti i titoli di acquis­to di col­oro che com­prarono tali beni dall’ex Sta­to di Sora per conoscere se mai quel locale una vol­ta ad uso di moli­no fos­se sta­to incar­di­na­to ad uno dei  fon­di con vici­ni oppure, per­ché inven­du­to, dal Comune si fos­se reclam­a­to”.

Nat­u­ral­mente Colle San Mag­no non sta a guardare. Infat­ti, il suo decu­ri­on­a­to, il 3 set­tem­bre, dopo aver dis­cus­so sul tema affer­ma sul pro­prio ter­ri­to­rio comu­nale “niuno de’ lim­itrofi Comu­ni vi van­ta de’ dirit­ti (…) poiché l’intiero nos­tro Ten­i­men­to ogni dirit­to pos­ses­so­ri­ale fu ven­du­to ed asseg­na­to al nos­tro Comune dall’Ill.ma Sig.ra March­esa di Pescara nell’anno mil­lecinque­cen­to­quar­an­tot­to” sul­la base di un “tito­lo aut­en­ti­co anco­ra con­ser­va­to fra i nos­tri doc­u­men­ti e con cui spes­so ci opponi­amo alla ingordi­gia degl’agenti de’ Comu­ni lim­itrofi. I mon­ti adunque, le acque flu­en­ti, ed ogni edi­fi­cio anti­co esistente nel nos­tro ten­i­men­to apparten­gono tut­ti al nos­tro Comune, come com­pro­vasi dal tito­lo aut­en­ti­co, dell’epoca men­zion­a­ta, cioè dall’istrumento di ven­di­ta e ces­sione del­la loda­ta Sig.ra March­esa”.

Non la pen­sano così a Palaz­zo­lo dove il decu­ri­on­a­to, sin­da­co a quel tem­po è Lui­gi Mar­ragony, il 20 set­tem­bre, a propos­i­to del muli­no che Cavacece intende riat­ti­vare, rib­adisce che esso si tro­va sì “in ten­i­men­to di Colle San Mag­no” ma “in un fon­do in cui van­ta dirit­to questo Comune”, cioè Palaz­zo­lo. Del resto, si affer­ma, le acque che si vor­reb­bero uti­liz­zare sono le stesse che, “per mez­zo di un acque­dot­to in fab­bri­ca di antichissi­ma data, ali­men­tano l’unica fontana che som­min­is­tra le acque a ques­ta popo­lazione, essendo in luo­go assai prossi­mo all’abitato”, trovan­dosi, infat­ti, quel­la fontana, det­ta Pis­cia­rel­lonel­la zona di vil­la Euche­lia, esat­ta­mente dove ter­mi­na la stra­da che costeggia il  Monaca­to e, un tem­po, ave­va inizio il trat­turo che sali­va alla For­ma di Cairo.

Ma, aggiunge il sin­da­co Mar­ragony, “se per poco si volesse sec­on­dare le mire di esso Cavacece, questi nat­u­rali sareb­bero costret­ti a servir­si di acque rifi­u­tate da un muli­no, e per­ciò cor­rotte, e nocive alla pub­bli­ca salute, cosa strana a solo vol­er pen­sare ed ammet­tere, che per­ciò da ora si protes­ta di adire la gius­tizia penale per qualunque pic­co­la novità che l’aspirante abu­si­va­mente potesse com­met­tere su det­to acque­dot­to, in pregiudizio di questi nat­u­rali”.

Due anni dopo la ques­tione è anco­ra aper­ta. Anche se, sec­on­do Cavacece, a Palaz­zo­lo non dovreb­bero pre­oc­cu­par­si più di tan­to per­ché le acque non subireb­bero alter­azione alcu­na. Anzi. “La loro fontana resterà perenne nel­lo sta­to attuale, e le acque che bevono, che ora son lorde e cor­rotte pel traf­fi­co degli uomi­ni e degli ani­mali per l’uso di lavare ed abbev­er­are si ren­der­an­no pulite col­la costruzione di det­to muli­no”. Ad inter­es­sarsene è ora il con­siglio d’intendenza del­la provin­cia di Ter­ra di lavoro al quale Cavacece rib­adisce più det­tagli­ata­mente le pro­prie ragioni che si basano soprat­tut­to sul fat­to che egli non intende costru­ire un nuo­vo muli­no ben­sì “va ad ani­mare uno anti­co dell’ex Duca di Sora e ciò si dimostra da una Botte di Fab­bri­ca cir­co­scrit­ta da grosse mura, la quale ser­vi­va per rac­cogliere le acque del­la sor­gente denom­i­na­ta For­ma per mez­zo di un acque­dot­to, che si scar­i­ca nel­la sud­det­ta. Quin­di non una novità ma un eser­cizio di antichi dirit­ti che per mez­zo de’ pas­sag­gi da padrone a padrone dal cita­to ex Duca di Sora si sono trasmes­si ai fratel­li sig­nori Ange­lo e Pietro Paolozzi i quali a me han­no pien­amente cedu­ti, come risul­ta da istru­men­to da noi stip­u­la­to nel dì ven­tuno aprile milleot­to­cen­totrentadue, reg­is­tra­to in San Ger­mano il ven­tot­to det­to al pro­gres­si­vo 998”.

Ma Cavacece fa anche notare che un “tal moli­no, che si desidera immen­sa­mente da tut­ti gli abi­tan­ti spar­si sul monte Cay­ro e dei Comu­ni di Terelle e Colle appor­ta un como­do sig­nif­i­cante col risparmio dei mezzi di trasporto, essendo pre­sen­te­mente obbli­gati quel­li di Terelle diriger­si in San Ger­mano per una stra­da malagev­ole di cir­ca sette miglia e gli altri di Colle, e del monte Cay­ro pre­sen­te­mente si ser­vono di quel­lo di Roc­casec­ca per la dis­tan­za di cir­ca quat­tro miglia pari­men­ti inco­mo­da”. L’antico muli­no era ani­ma­to, come “si osser­va con chiarez­za”, scrive Cavacece, “dal­la sor­gente di acqua denom­i­na­ta la For­ma che il Comune di Palaz­zo­lo non ha mai posse­du­to, né pre­sen­te­mente possiede, che abu­si­va­mente han­no pre­sa dal­la sud­det­ta anti­ca botte aven­done for­ma­to il canale su di un muro di essa”. Ciò nonos­tante, lui però s’impegna a con­sen­tire l’uso delle acque al comune di Palaz­zo­lo “sen­za alter­are la peren­nità, né la purez­za, volen­do con delle opere di arte rac­cogliere tutte le acque che si dis­per­dono ed ani­mare la sua macchi­na las­cian­do libero il cor­so di quel­la quan­tità di acque che al pre­sente si rac­coglie dal comune di Palaz­zo­lo per assi­cu­rare la pub­bli­ca fonte”; così come “gli usi, che han­no gli abi­tan­ti di quei d’intorni di abbev­er­are e di lavare nelle acque del­la For­ma, pre­cisa­mente nel sito ove esiste una Tor­ret­ta di fab­bri­ca, saran­no rispet­tati; anzi miglio­rati col­la riat­tazione di esso Moli­no con delle opere da servire in pari tem­po a miglio­rare l’acquedotto, che mena l’acqua alla botte”

Insom­ma non è pro­prio il caso di allar­mar­si più di tan­to. Per cui, con­clude Cavacece, la posizione assun­ta dal comune di Palaz­zo­lo per esser­si oppos­to alla riat­ti­vazione del muli­no altro non ha fat­to che procu­rare dan­ni “non solo in pregiudizio del pub­bli­co bene ma benanche dei miei inter­es­si pei quali mi è dovu­ta la cor­rispon­dente inden­niz­zazione di tutte le spese sof­ferte nel rip­ulire la botte rip­i­ena di pietre e ter­ra ed altro per l’impedimento rice­vu­to”.

Nel mese di novem­bre 1837, il decu­ri­on­a­to di Palaz­zo­lo si riu­nisce per bene tre volte nel­lo spazio di una set­ti­mana per via del fat­to che l’ingegnere “di acque e strade” del­la provin­cia, Sal­va­tore Belli­no, è sta­to incar­i­ca­to dall’intendente di com­piere un sopral­lu­o­go alle sor­gen­ti del­la Forma. 

A Palaz­zo­lo, però, non con­di­vi­dono l’iniziativa tan­to che il decu­ri­on­a­to, si legge nel ver­bale del 15 novem­bre, “per niun con­to intende divenire a ric­og­nizione del sito su dette sor­give giac­ché è con­vin­to che tut­to ciò che pre­tende esso Cavacece sia sem­pre pregiudiziev­ole alli dirit­ti che questo Comune van­ta  su dette acque [le] quali sono le uniche, ed antichissime, che ali­men­tano ques­ta popo­lazione”, ram­men­tan­do che per “qualunque pic­co­la novità, ed atten­ta­to, ch’esso Cavacece si per­me­ttesse di fare sopra dette acque, o acque­dot­ti”, non si esiterebbe un solo istante adire le vie legali. Nel­la suc­ces­si­va riu­nione del 16, il decu­ri­on­a­to si dice invece propen­so ad un sopral­lu­o­go con l’intervento, però, delle par­ti, “onde pos­sano far­si i seguen­ti rilievi: 1) che l’acquedotto che parte dal­la nos­tra Fontana det­ta Pis­cia­rel­lo sia di anti­ca data, e nell’intero cor­so di cir­ca due miglia fino alla sor­gi­va det­ta la For­ma, tut­to cover­to, e chiu­so, costru­ito espres­sa­mente per ali­menta­re l’anzidetta Fontana; 2) che nel locale det­to la For­ma, l’enunciato acque­dot­to si divide in due rami per allac­cia­re, e riu­nire le acque, che ivi si dis­perde­vano; qual fon­do non si appar­tiene ad esso Cavacece ma ben­sì ad altri par­ti­co­lari dal che si ril­e­va essere state dette acque di ambedue i con­dot­ti ser­ven­ti al solo uso di ali­menta­re det­ta Fontana, e non altri­men­ti”. E, oltre questi due rilievi speci­fi­ci, quant’altri ne dovessero emerg­ere nel cor­so del sopralluogo.

Ma nel­la terza riu­nione, quel­la del 21 novem­bre, il decu­ri­on­a­to cam­bia anco­ra una vol­ta parere e delib­era sta­vol­ta che, trat­tan­dosi di cosa estrema­mente seria, al sopral­lu­o­go inter­ven­ga “l’intero Cor­po Munic­i­pale affinché cias­cuno pos­sa fare quelle osser­vazioni che crede nec­es­sarie”. Ed oltre ai due rilievi evi­den­ziati nel­la prece­dente delib­era, nel­la nuo­va, oltre a rib­adire l’antichissimo pos­ses­so delle acque ed il ricor­so alla gius­tizia penale anche per la benché min­i­ma vari­azione, si pre­cisa  anche “che in quel locale vi esiste una pic­co­la pia­nu­ra, e sopra di essa una col­li­na, al di sot­to del­la quale vi sono costru­ire varie grotte (opera ques­ta fat­ta arti­fi­cial­mente dai nos­tri mag­giori da tem­po immem­o­ra­bile) ed in queste vi si osser­va l’uscita di molti meati i quali rac­col­go­no le acque che sca­tur­iscono al di sot­to di quell’intero locale det­to la For­ma le quali ven­gono riu­nite per mez­zo di due meati e questi riu­nis­con­si in uno che è appun­to quel­lo che con­duce le acque all’unica Fontana di questo Comune denom­i­na­ta Pis­cia­rel­lo”.

La relazione dell’ing. Belli­no sull’esito del sopral­lu­o­go, cui è alle­ga­ta una inter­es­sante “pianta geo­met­ri­ca” dal­lo stes­so “all’oggetto lev­a­ta”, è del 24 aprile 1838. In essa, tra l’altro, si legge che il muli­no che Cavacece intende riat­ti­vare era già “in azione” anti­ca­mente: ciò viene “assi­cu­ra­to, in pre­sen­za degli inter­es­sati, da diver­si nat­u­rali di Colle S. Mag­no e di Palaz­zuo­lo, per avervi essi osser­vate, per lo addi­etro, le pietre molari ivi deposi­tate”. Ciò, per­al­tro, è anche con­fer­ma­to dal­la pre­sen­za del­la “botte di fab­bri­ca” che “a quest’uso fu costru­i­ta ril­e­van­dosi ciò dal­la sua for­ma e dal foro di esi­to sot­to­cor­rente rivesti­to di pietre cal­cari lavo­rate ed aste di fer­ro sit­u­ate in sen­so ver­ti­cale fra esse. Ques­ta botte è tut­ta sit­u­a­ta nel fon­do dei sig­nori Paolozzi di Colle, ed attual­mente in potere di Don Pasquale Cavacece…”. Quan­to al comune di Palaz­zo­lo, “al pre­sente”, riferisce Belli­no, esso “trovasi in pos­ses­so di una porzione delle acque di dette sor­gen­ti, mer­cé di un canale, anche cover­to, innes­ta­to oppor­tu­na­mente in quel­lo che un tem­po dirige­va le acque nel­la botte, e pro­gre­den­do sot­to­cor­rente sul­la cres­ta delle sue mura si dirige fin fuori l’abitato, dove ani­ma il pub­bli­co fonte denom­i­na­to Pis­cia­rel­lo. Sif­fat­to canale trovasi guas­to in diver­si siti dal det­to innesto all’incontro del fonte, per lo che le acque si dis­per­dono lun­go il suo cam­mi­no, e poche ne giun­gono agli usi di quegli abitanti.

Un tale abu­si­vo pos­ses­so, abbenché sia di anti­ca data, non inter­rot­to da veruna oppo­sizione per parte del legit­ti­mo padrone suc­ce­du­to all’ex Duca di Sora, non può dis­trug­gere il dominio van­ta­to dal sign­or Cavacece attuale pos­ses­sore del fon­do di lib­era­mente far uso delle sor­gen­ti denom­i­nate la For­ma, a con­dizione però di non pot­er né togliere al Comune di Palaz­zuo­lo la peren­nità né la dovu­ta net­tez­za delle cen­nate acque pota­bili per doppio aspet­to: 1) per­ché il pri­va­to deve cedere all’utile pub­bli­co; 2) per aver il Comune, con delle opere d’arte, rac­col­ta una quan­tità di acqua nel­la parte sopra cor­rente del­lo innesto per aumentare il vol­ume, come ril­evasi dal­lo esi­to nel ver­bale di sedu­ta Decu­ri­onale de’ 21 novem­bre 1827, riconosci­u­to anche da me sul luo­go. [La] quale oper­azione pari­men­ti non fu con­tro­ver­ti­ta (contestata‑N.d.A.) dal legit­ti­mo Padrone durante la sua palese ese­cuzione ed in con­seguen­za ne venne accor­da­ta una taci­ta ade­sione. Sif­fat­to pro­cedere però non può al cer­to, in ricom­pen­sa, mer­itare una pri­vazione totale degli antichi dirit­ti van­tati”.

D’accordo, dice, insom­ma l’ing. Belli­no: Palaz­zo­lo ha fat­to ciò che ha fat­to ma non per questo è venu­to del tut­to a ces­sare “il dominio van­ta­to dal sign­or Cavacece”. Dal che ne con­segue, dicono a Palaz­zo­lo, che il con­siglio d’intendenza si veda autor­iz­za­to a met­tere “a dis­po­sizione del Cavacece la pro­pri­età dei Palazze­le­si”. Ciò, ovvi­a­mente, scate­na le ire di quest’ultimi i quali, attra­ver­so sot­to­scrizioni  popo­lari, anche se di fat­to lim­i­tate ai mag­gioren­ti del paese, recla­ma i suoi dirit­ti pres­so l’intendente di Ter­ra di Lavoro, pres­so“il Seg­re­tario di Sta­to, Min­istro degli affari Interni” e, addirit­tura, pres­so “Sua Sacra Real Maestà” che al tem­po è Fer­di­nan­do II di Borbone.

Nei con­tenu­ti di questi recla­mi non man­ca qualche pas­sag­gio anche molto “pic­cante”: ad esem­pio, dell’ing. Belli­no si dice che egli “crede che l’oro di Cavacece fac­cia zit­tire le Leg­gi”, con ciò facen­do sup­porre che pos­sa essere sta­to ben­e­fi­cia­rio di una “bustarel­la” da parte di Cavacece. 

Anal­o­go con­cet­to, anche se in ter­mi­ni meno “bru­tali”, viene ripro­pos­to nel reclamo al re dove, tra l’altro, si legge: “Le leg­gi veg­lianti pro­teggen­ti non solo il sacro dirit­to delle Popo­lazioni sulle pro­prie acque, e che obbligano pur anche i par­ti­co­lari a ced­er­le, medi­ante com­pen­so, ove il bisog­no lo richieg­ga sonosi vio­late. A sostenere però una lite non vale il Comune pri­vo di ren­dite, i cit­ta­di­ni schi­ac­ciati da’ pesi Comu­nali, essendo l’avversario facoltoso. Avve­du­ta­mente si è sot­trat­ta la deci­sione del­la con­tes­tazione dal potere Giudiziario affinché riesca più facile coi maneg­gi ingannare il potere Ammin­is­tra­ti­vo facen­do riferire a piacere dai Sub­al­terni, come si sta operan­do”

Una curiosità, infine: nel reclamo al re, quel­lo che è sta­to sem­pre nom­i­na­to Pis­cia­rel­lo, diviene, forse per una sor­ta di pudi­cizia, “fonte S. Ange­lo”. Almeno così ritene­vo finché da altre carte del­la stes­sa epoca non ho appre­so che a Palaz­zo­lo esiste­va anche una fontana di questo nome, nome che evi­den­te­mente deriva­va da quel­lo di una cap­pel­la inti­to­la­ta a Sant’Angelo, cui era prossi­ma, la stes­sa che, sec­on­do lo stori­co Pasquale Cay­ro[2], si trova­va “sot­to lo scoglio del­la mon­tagna, quan­do si cala da Cas­tro Cielo” ed era sta­ta dona­ta a Mon­te­cassi­no dal giu­dice Gri­moal­do di Aquino sul finire del pri­mo millennio.

In realtà cap­pel­la e fontana — la cap­pel­la è sta­ta rasa al suo­lo tra gli ulti­mi anni Cinquan­ta e i pri­mi anni Ses­san­ta del sec­o­lo appe­na pas­sato — era­no sul­la stra­da che sale alla parte alta dell’attuale abi­ta­to di Cas­tro­cielo e dunque anche a vil­la Euche­lia, e si trova­vano, esat­ta­mente, sul ciglio del­la stra­da anti­s­tante l’inizio del­la scali­na­ta che con­sente di abbre­viare l’accesso alla cita­ta vil­la e, dunque, a non mol­ta dis­tan­za dal Pis­cia­rel­lo — forse un paio di centi­na­ia di metri — facen­do così sup­porre che fontana Sant’Angelo era evi­den­te­mente ali­men­ta­ta da un pro­l­unga­men­to del­la stes­sa con­dot­ta che ani­ma­va il Pisciarello.

Dalle nuove carte, che datano novem­bre 1835 e gen­naio 1836, emerge, però, che in questo caso le acque proveni­vano da un poz­zo esistente in “con­tra­da via di Vona”, in ten­i­men­to di Colle San Mag­no, a sua vol­ta ani­ma­to “dalle acque di alcune pic­ci­ole fontane che han­no la di loro orig­ine nel­la parte merid­ionale del­la mon­tagna di Cairo e che sono cir­ca quarant’anni (quin­di dal 1796 — N.d.A.) che ven­nero riu­nite e incanalate in una for­ma cop­er­ta dai nat­u­rali di Colle San Mag­no e di Palaz­zo­lo” fino al poz­zo real­iz­za­to, appun­to, in con­tra­da via di Vona. 

Accade che, non si sa se “coll’aratro, o per dis­pet­to” il “meato” ven­ga rot­to cos­ic­ché dall’utilizzo, a monte, delle acque, anche per lavarvi i pan­ni o farvi “altre cose immonde”, ne con­segue che esse giungano a Palaz­zo­lo non pro­prio pulite e dunque in pregiudizio di chi avrebbe dovu­to “usar­le per i bisog­ni del­la vita”. Ne con­segue che alcu­ni incar­i­cati del comune di Palaz­zo­lo provvedano ad elim­inare i lava­toi nati “spon­tanea­mente” alla For­ma ed a rico­prire “la boc­ca del poz­zo con una grossa tego­la di pietra”.

E’ pro­prio ques­ta intro­mis­sione di quel­li di Palaz­zo­lo in ter­ri­to­rio del comune di Colle San Mag­no — si par­la, infat­ti, “di alcu­ni abusi di potere affac­ciati dal Sin­da­co di Palaz­zo­lo” — ad aprire un con­tenzioso che, però, sem­bra chi­ud­er­si nel vol­gere di breve tem­po con l’intesa che ove una cosa del genere fos­se tor­na­ta a ripeter­si non avrebbe dovu­to esser­ci intro­mis­sione in ter­ri­to­rio altrui; sem­mai, un ricor­so alle autorità superiori.

Una sto­ria, dunque, qua­si analo­ga e, comunque, par­al­lela a quel­la ali­men­ta­ta dalle pretese di don Pasquale Cavacece di vol­er riat­ti­vare l’ex muli­no ducale. 

Come ques­ta vada a finire, purtrop­po lo si igno­ra dal momen­to che even­tu­ali “carte” rel­a­tive al prosieguo del­la vicen­da non sono state reperite. Ma da un’indagine com­pi­u­ta sul ter­ri­to­rio a propos­i­to del­la pre­sen­za di un muli­no alla For­ma di Cairo si è avu­to, da parte dei più anziani, un ricor­do molto, molto sbia­di­to di una tale pre­sen­za: d’altro can­to, sem­mai esso fos­se sta­to riat­ti­va­to da Cavacece sarebbe pas­sato molto più di un sec­o­lo e mez­zo; in caso con­trario, oltre due sec­oli addirit­tura fis­san­do al pri­mo set­tem­bre 1796 la fine del suo pos­ses­so da parte del duca di Sora. 

Comunque, con­sideran­do il potere che Cas­tro­cielo ave­va nell’Ottocento nel ter­ri­to­rio c’è da sup­porre che don Pasquale Cavavece non sia rius­ci­to nel suo inten­to di riat­ti­var­lo. Ma è solo una ipote­si. La sper­an­za è, invece, quel­la di pot­er­si imbat­tere in ulte­ri­ori carte dalle quali pot­er risalire alla con­clu­sione del­la vicen­da. Per ripar­larne, a Dio pia­cen­do, la prossi­ma estate.

© Costan­ti­no Jadeco­la, 2002.


[1] Archiv­io di Sta­to di Caser­ta, Inten­den­za bor­bon­i­ca — Affari comu­nali, Colle San Mag­no. Bus­ta 2521.

[2] Pasquale CAYROSto­ria sacra e pro­fana di Aquino e sua dio­ce­si. Pres­so Vin­cen­zo Orsi­no. Napoli, 1808 (I vol.); 1811(II vol.). Ristam­pa: Sto­ria civile e reli­giosa del­la dio­ce­si di Aquino a cura dell’Associazione Arche­o­log­i­ca — Museo Civi­co di Pon­tecor­vo. 1981. II, pag. 61.

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