44 / LA NOSTRA GUERRA / L’AVANZATA: UN’ECATOMBE
A Castro dei Volsci è un’ecatombe anche il 26 maggio: muoiono il prof. Federico Palattae la nipote Teresa Polidori Palatta e, ancora, Anna D’Itri,Francesco D’Itrie Antonio Solli. Le altre vittime di quel giorno sono Domenico Gaffini, Angelo Marchetti, Caterina D’Ambrosi, Antonio Polidori(morirà all’ospedale di Aversa il 21 giugno), Domenica Polidori, Giuseppe Marchettie Nicola Peronti.
Da Giuliano di Roma, riferisce don Alvaro Pietrantoni, si udivano «continui cannoneggiamenti nella vicina Amaseno. Nel pomeriggio colpi di cannone caddero nella vicina Villa S. Stefano e più tardi anche nelle campagne di Giuliano, nelle località Valcatora e Colli, uccidendo un civile, Biagio Pagliei. Intanto, truppe di colore avevano già occupato Amaseno e passando attraverso il monte Siserno si dirigevano minacciose verso Villa S. Stefano e Giuliano di Roma.»
Angelo Sacchetti Sassettisegnala «bombe a grappolo di cui due alla stazione di Collepardo e una alla Torretta» mentre Ferentino continua ad essere un obiettivo “privilegiato” dell’aviazione alleata: beneficia, infatti, di un’adeguata razione di bombe sia il 25 che il 26 maggio come pure Villa Santo Stefano dove viene danneggiato il ponte sull’Amaseno, poi definitivamente crollato dopo il «minamento» operato dai tedeschi durante la ritirata; a Paliano, il crollo di un edificio bombardato provoca la morte di un’intera famiglia.
A Ceprano, scrive Roberto Jacovacci, «per due giorni si combatté aspramente, nuove distruzioni finirono di lacerare la città. I tedeschi, con dinamite, fecero saltare i due ponti sul Liri, con gli edifici attigui, costantemente mancati dai precedenti bombardamenti dell’aviazione alleata. Così pure fu rasa al suolo la Chiesa parrocchiale di San Rocco, con l’annesso campanile, per rendere impraticabile, con le macerie, la strada verso Roma. L’altra chiesa parrocchiale, la collegiata di S. Maria Maggiore, era già stata gravemente rovinata e resa inofficiabile dai bombardamenti aerei.»
Intanto, l’avanzata alleata nella valle del Liri continua ad essere contrastata dall’accanita resistenza tedesca che, tuttavia, non riesce ad evitare che l’VIII armata costituisca una testa di ponte oltre il torrente Melfa.
In valle di Comino, i tedeschi minano Gallinaro ma, per fortuna, i pochissimi abitanti rimasti in paese, scrive Domenico Celestino, «vennero a patti con i genieri e li convinsero a ridurre il potenziale delle mine e a far brillare soltanto quelle meno dannose per gli edifici.»
27 maggio. Quel giorno, scrive Pietro Vassalli, ci furono crolli anche a «San Donato V. C., dove fu distrutto il molino, lungo la strada per Pescasseroli; gravemente danneggiato fu il molino di Alvito; saltarono in aria due delle tre luci del ponte sul Melfi, il ponte di S. Giuliano, il ponte dei fratelli Palombo, il ponte su Riomolle, i ponti di S. Giuseppe e di S. Antonio, verso Picinisco, e molti ponti minori. Altri potenti scoppi di mine si notarono nell’abitato di Atina verso Capodichino e verso Casalattico, Casalvieri, Fontechiari (…). Erano i guastatori che compivano la nefasta loro opera.»
A Castro dei Volsci, anche il 27 maggio è tra «le giornate più tristi. Agli orrori della guerra se ne aggiungono altri: il paese è stato liberato ed il vasto territorio viene rastrellato dalle truppe francesi e marocchine che, in massima, si danno al saccheggio ed alla violazione delle donne. La popolazione doppiamente allarmata fugge disordinatamente e le vittime di ogni specie si moltiplicano.» Tra le altre, Rocco Matassa, Ferdinando Perfili, Ermenegildo Rossie Giuseppe Bellini; a contrada Farneta c’è la «prima martire dell’onore»: Elisabetta Rossi, 54 anni.
Verso mezzogiorno il primo colpo di cannone cade su Giuliano di Roma: i pochi abitanti rimasti in paese vanno a rifugiarsi nelle grotte e nei sotterranei; a Ceccano, per tutta la giornata, la zona del Castellone, in contrada Fiano, è martellata da un fuoco di artiglieria proveniente dall’altra parte di monte Siserno dove vivono molti sfollati.
Il 28 maggio le truppe alleate compiono ulteriori progressi nelle valli del Liri e del Sacco: nelle ultime 48 ore hanno occupato Ceprano e poi Castro dei Volsci e Villa Santo Stefano; Arce, poi, è a meno di due chilometri dalle avanguardie alleate che avanzano da Roccasecca e da Ceprano.
Intanto, truppe neo zelandesi si sono portate nelle montagne più a nord occupando Belmonte Castello e via via gli altri comuni della valle di Comino: a Gallinaro, però, l’ultimo giorno di occupazione è funestato dall’uccisione di Cleto Cairae di Gerardo Arpino. Picinisco e Villa Latina vengono liberati, però, dagli uomini del Corpo Italiano di Liberazione agli ordini del capitano Antonio Gagliardi. Ad Isola Liri saltano in aria le cartiere Boimond, Mancini e Meridionali mentre a Ceprano, scrive padre Angelico D’Arpino, «affluiva vertiginosamente uno stragrande numero di carri armati anglo-americani.» A Ripi il fuoco dell’artiglieria uccide Augusto Concetti; a Ferentino, invece, si segnala la morte di Pietro Segneri; Marco De Santis, Lorenzo Moroe Rosario Rossiin territorio di Castro dei Volsci e Umberto Luzi in territorio di Giuliano di Roma sono i nomi di alcune delle vittime dei marocchini che all’alba del 28 maggio arrivano anche a Ceccano dove, quello stesso giorno, i tedeschi uccidono, per motivi rimasti ignoti, i fratelli Giovanbattistae Giacinto Capoccetta, abitanti in località Cantinella; a Serrone, sempre i tedeschi, uccidono Carlo Roazzi.
Il 29 maggio, cioè proprio lo stesso giorno in cui si festeggia Sant’Eleuterio, che è il patrono della città, viene liberata Arce. Mario Corsettisi chiede: «Coincidenza, caso fortuito o grazia?»
I genieri tedeschi, dal canto loro, continuano a demolire tutto ciò che capita loro a portata di mano per tentare di bloccare l’avanzata alleata che, sebbene lentamente, tuttavia prosegue in direzione di Frosinone; da qui, però, la ritirata tedesca procede con un ritmo più accentuato.
Le truppe francesi provenienti dai monti Ausoni occupano Ceccano e la oltrepassano; quelle neozelandesi, inseguendo una colonna nemica verso nord, sulla strada statale della valle del Liri, sono a meno di quattro chilometri da Sora; su questa città, proveniente da sud-est punta anche un’altra colonna dell’VIII armata.
Strangolagalli, Fontana Liri e Arpino sono già in mano alleata.
L’elenco delle vittime si allunga: a Ripi, il tiro dell’artiglieria alleata uccide Andrea Sementillie Gaetano Venditti; i tedeschi, invece, uccidono a Carnello, Ernesto Taglione, ad Alvito, Giovanni Rosati mentre ad Arpino compiono quella che passerà alla storia come la strage di Collecarino di cui sono vittime Giuseppe Pozzuoli, Dante Rea, Loreta Rea, Enrico Pantanella, Alfonso Mastroianni,Ugo Rosati, GiacintoQuaglieri, Lino Iafratee due sfollati di Villa Latina, uno dei quali potrebbe essere Marianna Menghella, detta Mariangela.
Il 30 maggio è una giornata nera per Ripi. Si registrano, infatti, almeno 9 morti: Domenico Zangrilli, Gabriella Viri, Albino Antonelli, Angela Silvestri, Assunta Venditti, Arcangela Fargnoli, Annunziata Cortina, Antonia Baucoed Enrico Bauco.
A Giuliano di Roma una scheggia colpisce ed uccide Cataldo Faralloa contrada Fontana del Prete mentre a contrada Calciano, in un sanguinoso scontro alla baionetta, restano uccisi 14 tedeschi e 6 marocchini. A Patrica, la fine di maggio è vissuta ancora nel terrore per due giorni di cannoneggiamento che provoca 6 morti e il crollo di alcune case; a Pescosolido muoiono Giuseppe Tersignied uno sfollato di Sora con due bambini.
Arriviamo così all’ultimo giorno di maggio.
Don Luigi De Benedetti scrive nel diario di Casamari: «Corre voce che gli inglesi sono a Isola Liri, a Monte San Giovanni Campano, a Fontana Liri, ad Arpino e a Ripi. Già un pezzo del ponte nuovo è saltato in aria. Intanto hanno minato (i tedeschi, nda) anche il ponte romano per farli saltare in aria ambedue al momento opportuno. Don Gregorio è intervenuto perché risparmiassero almeno il ponte romano. Gli è stato risposto che hanno ordine di minare tutti i ponti per impedire l’avanzata del nemico.»
Per quanto riguarda Frosinone, padre Francesco Tatarelliriferisce che «tra il 30 e il 31 maggio erano apparse sulle alture di S. Liberatore le avanguardie alleate; gruppi di canadesi e inglesi che si trovavano con i loro carri armati, senza nessuna fretta di avanzare e senza impressionarsi per alcuni tedeschi che scorazzavano a qualche centinaio di metri da loro.» Questi, intanto, «negli ultimi giorni di guerra, avevano installato nel bosco del nostro convento, una batteria a cinque canne, di una precisione di fuoco sorprendente. Non avendo più ricognitori aerei, avevano steso un filo telefonico da campo, che collegava la batteria con un militare, nascosto fra il fogliame di un albero sulle pendici di S. Liberatore. Ad ogni carro armato nemico che appariva nel valico del bivio di Torrice, il soldato vedetta dava il segnale, e immediatamente la batteria entrava in azione, centrando e bloccando il potente mezzo bellico. Subito dopo la scarica, compariva nel cielo un ricognitore alleato, che ronzava rabbiosamente in cerca della batteria nemica. Ma i tedeschi tacevano protetti dal
bosco in pieno rigoglio primaverile, pronti però a ricominciare non appena il ricognitore scompariva lontano. Furono tante le vittime del valico fatale, che a un lato di esso fu costruito un piccolo cimitero di guerra. Le salme però furono più tardi levate e portate forse al cimitero militare di Anzio.»
A Ceccano, annota Angelo Loffredi, «la guerra è passata da tre giorni e gli americani portano da mangiare ai piccoli, quando improvvisamente arriva, sulla zona Castellone, una cannonata. È una sola e non si saprà mai da dove è partita: il fatto è che il conseguente spostamento di aria, scaraventa lontano una bambina di quattro anni, Giacinta Cicciarelli, uccidendola contro un masso.»
A Patrica, il 31 giungono i francesi con i marocchini, che nel paese non compiono atrocità: alcuni fatti «esecrandi» sono segnalati solo nelle campagne. Ai marocchini, peraltro, vengono consegnati alcuni polacchi che si erano sganciati dai tedeschi per arrendersi: ne uccidono uno, pare per equivoco.
Su Morolo, all’alba e prim’ancora, piovono granate. Ma, scrive don Antonio Biondi, «i tiri una volta giunti alla località Fosso Sant’Antonio allo sbocco della via di Supino, non salirono oltre. Si volle così salvare il nostro paesello.»
Gli ultimi tre giorni di maggio, riferisce Giuseppe Coppotelli, «Ferentino diviene bersaglio dei cannoneggiamenti. Vengono ripetutamente colpiti gli edifici posti nella zona alta della città. Trascorrono le ore e nelle campagne si vedono, sparsi qua e là, soldati tedeschi stanchi e dimessi. Nei loro volti c’è solo rassegnazione e paura.» Il Vescovo di Alatri, Facchini, scrive Angelo Sacchetti Sassetti, «chiamato a Trisulti per provvedere soccorsi agli affamati, corre rischio d’essere fucilato, come spia, dai tedeschi.»
A Monte San Giovanni Campano, riferisce, invece, Pio Valeriani, «il 31 maggio 1944 un altro nostro concittadino, Vristi Romolo, sacrificava la sua vita mentre, pur consapevole del grave pericolo cui si esponeva, indicava ad una pattuglia alleata la posizione dei tedeschi sulle balze del Colle San Marco. Una raffica di mitragliatrice ne troncava inesorabilmente la vita.»
A Sora, nella notte tra il 30 e il 31, i tedeschi in ritirata fanno saltare con la dinamite il «ponte di ferro», ovvero «di San Lorenzo» e l’altro, detto «di Napoli»; quelli di Isola Liri, invece, subiscono analoga sorte nella notte tra il 31 maggio ed il primo giugno.
Da registrare, infine, la liberazione di San Biagio Saracinisco, Settefrati e Atina negli ultimi giorni di maggio (44, continua).
© Costantino Jadecola, 1994.