18 / LA NOSTRA GUERRA / EMIGRAZIONE SPONTANEA ED ESODO IMPOSTO

18 / LA NOSTRA GUERRA / EMIGRAZIONE SPONTANEA ED ESODO IMPOSTO

All’emigrazione “spon­tanea” ver­so luoghi a due pas­si da casa ritenu­ti più tran­quil­li o, comunque, meno esposti di quel­li dove si vive abit­ual­mente, spes­so fa segui­to l’emigrazione impos­ta: l’esodo. Ovvero, per dirla con un ter­mine molto in voga in quei giorni di guer­ra, lo sfollamento.

Per attuar­lo, c’è un piano con­corda­to tra autorità ital­iane e tedesche che prevede, tra l’altro, l’evacuazione di mille per­sone al giorno dai rispet­tivi luoghi di res­i­den­za — in prat­i­ca tut­ti i comu­ni del­la fas­cia merid­ionale del­la provin­cia — ed il loro trasfer­i­men­to pri­ma al cen­tro di rac­col­ta e di smis­ta­men­to di Cepra­no e poi ai cen­tri di assis­ten­za di Fer­enti­no e di Ala­tri la cui isti­tuzione sarebbe sta­ta cura­ta dal­la prefet­tura d’intesa con il min­is­tero dell’Interno e con la col­lab­o­razione delle autorità locali.

L’accordo prevede, inoltre, che le “provvi­den­ze assis­ten­ziali” sareb­bero state a cari­co degli ital­iani men­tre i tedeschi avreb­bero provve­du­to al trasfer­i­men­to del­la popo­lazione con pro­pri automezzi, che il capo del­la provin­cia avrebbe vis­i­ta­to i cen­tri da evac­uare, even­tual­mente facen­do opera di per­sua­sione e di con­vinci­men­to e che, infine, le autorità tedesche avreb­bero preavver­ti­to gli ital­iani sulle inizia­tive di evac­uazione che sareb­bero state prese.

Ma pare che questi accor­di siano rimasti sul­la car­ta. Infat­ti, intorno alla metà di novem­bre i tedeschi, sen­za avver­tire nes­suno, attuano una pri­ma fase di sfol­la­men­to avvian­do almeno 10.000 per­sone non solo ver­so i cen­tri sta­bil­i­ti ma anche in altri comu­ni. C’è una reazione da parte ital­iana e quin­di una sospen­sione dell’iniziativa, pre­sa autono­ma­mente dai tedeschi, che con­sente alla prefet­tura di pot­er orga­niz­zare almeno il cen­tro di Fer­enti­no pres­so il col­le­gio “Mar­ti­no Fileti­co”, che poi, in prat­i­ca, res­ta l’unico, per­ché quel­lo di Cepra­no viene sop­pres­so essendo la zona sot­to­pos­ta a ripetu­ti bom­bar­da­men­ti da parte degli aerei alleati e così pure quel­lo di Ala­tri, ma per altri motivi.

La pausa, pare di capire, non dura più di tan­to ed a Fer­enti­no con­tin­u­ano ad ammas­sar­si sfol­lati il cui ulte­ri­ore trasfer­i­men­to al nord Italia, per­al­tro, è reso pre­cario dalle fre­quen­ti inter­ruzioni provo­cate dai bom­bar­da­men­ti che han­no come obi­et­ti­vo la fer­rovia Roma-Cassino-Napoli.

A Cepra­no, il cen­tro di assis­ten­za viene isti­tu­ito pres­so il con­ven­to dei Carmeli­tani dove il 14 novem­bre arri­va il pri­mo grup­po di sfol­lati; ma è tra il 17 ed il 26 di quel­lo stes­so mese che si ha la mas­si­ma affluenza.

Ma vedi­amo ora alcune vicende legate e agli sfol­la­men­ti veri e pro­pri e all’emigrazione “spon­tanea” ancorché forza­ta come quel­la attua­ta ad Espe­ria appe­na dopo il bom­bar­da­men­to del 30 settembre.

ScriveBruno D’Epiro: «Spe­cial­mente Fam­mera, Pol­le­ca, Fraile, Faggete, S. Mar­ti­no, Fontanelle, Cal­vo, Lago, diven­nero, per il momen­to, il rifu­gio più sicuro per gli Espe­ri­ani. Anche la popo­lazione di Mon­ti­cel­li tro­vò rifu­gio a Cereso­la, a Poli­ta, a Mor­rone, a S. Nico­la, a Chiuselle, a Mar­roncelle, a Potine, ad Arve, a monte Rev­ole, a Pol­le­ca, a S. Mar­ti­no. Le local­ità Vaglie, Usco, Bis­cian­drone Vallepi­ana era­no ris­chiose per la vic­i­nan­za al cen­tro abi­ta­to, dove più numerosa era la trup­pa tedesca. Ogni famiglia cer­cò di por­tar­si dietro quan­to più pote­va: mat­eras­si, cop­erte, biancheria e generi ali­men­ta­ri di pri­ma neces­sità, las­cian­do altra roba nascos­ta nelle can­tine e nei luoghi più recon­di­ti del­la pro­pria abitazione. Più di qual­cuno pen­sò di uti­liz­zare gli arma­di a muro, inter­ca­pe­di­ni, cis­terne, cami­ni, per riporvi quan­to ave­va di più caro, di più prezioso con la sper­an­za di ritrovar­lo quan­do sarebbe tor­na­to. In mon­tagna la vita tornò allo sta­to prim­i­ti­vo. Le famiglie si sis­temarono nelle capanne e nelle poche costruzioni in muratu­ra. Molti si costru­irono nuove capanne usan­do mate­ri­ale reper­i­to in loco». Tut­to questo, però, dura fino a quan­do, ver­so la metà di dicem­bre, i tedeschi non impon­gono lo sfol­la­men­to: dopo una pri­ma tap­pa a Fer­enti­no, dove muore Lui­gi De Ange­lis, c’è chi riesce a “fer­mar­si” a Roma, chi viene depor­ta­to «alla Bre­da» e chi, invece, è costret­to a salire al nord.

A Pied­i­monte San Ger­mano l’ordine di sgombero viene dato nelle prime ore del 27 novem­bre: il paese si riem­pie di auto­car­ri e tor­pe­doni dai quali scen­dono, riferisce Raf­faele Nar­doian­ni, «le ter­ri­bili squadre SS. Era­no dei gio­vani alti, robusti, dai capel­li e dal viso ross­ic­ci, i quali por­ta­vano degli sti­val­oni ed un col­lare di met­al­lo con grande plac­ca che scen­de­va sul pet­to. Era­no armati di pis­to­la e por­ta­vano per mano uno scud­is­cio. L’aspetto era minac­cioso, ter­ri­bile. In un baleno quei sol­dat­ac­ci invasero tutte le vie del paese, entran­do in ogni casa. Dove trova­vano la por­ta chiusa, non bus­sa­vano, ma, con poderosi cal­ci, l’aprivano. Nes­suna por­ta pote­va resistere a quei cal­ci! Alla popo­lazione atter­ri­ta, quelle fac­ciac­ce ingiun­sero di uscire subito dalle abitazioni per rag­giun­gere gli auto­trasporti nel­la piaz­za e par­tire per igno­ta des­ti­nazione. (…) A sera il paese era deser­to, tetro, pau­roso. I sol­dati diven­nero i padroni asso­lu­ti di tutte le cose che cos­ti­tu­iv­ano il frut­to del lavoro e dei sac­ri­fi­ci di tante gen­er­azioni. Il viag­gio dei poveri depor­tati si con­cluse parte ad Ala­tri, parte a Fiug­gi, parte a Fer­enti­no per il pros­egui­men­to a Roma nel grande sta­bil­i­men­to del­la Bre­da, luo­go di malat­tie, di fame e di morte; e parte, infine, a Cesano. Parec­chi di quegli sven­tu­rati furono fat­ti pros­eguire per l’Italia set­ten­tri­onale; chi nel Vene­to, chi nel­la Lom­bar­dia; e pochi in Ger­ma­nia fino all’Alta Sle­sia, com­pi­en­do il viag­gio su car­ri fer­roviari ermeti­ca­mente chiusi e pigiati come acciughe».

A Fontana Liri, scrive Gen­eroso Pis­til­li, «la popo­lazione civile, per non cor­rere il ris­chio di ras­trel­la­men­ti e soprat­tut­to per le incur­sioni aeree, sfol­lò ver­so Fontana Liri Supe­ri­ore e la zona mon­tu­osa ai con­fi­ni con Arpino, San­topadre e Roc­cadarce, come era avvenu­to cir­ca mille anni pri­ma, quan­do ave­va abban­do­na­to la piana per sfug­gire alle inva­sioni bar­bariche. «In quelle zone non c’era casa, anche umile, che non ospi­tasse i nos­tri sfol­lati e quel­li prove­ni­en­ti dal­la piana di Arce. Per lo più si cuci­na­va e si dormi­va nei locali dov’era ricov­er­a­to anche il bes­ti­ame, nel­la sper­an­za di sal­var­lo dalle razz­ie delle truppe tedesche».

Anche per i monaci Pas­sion­isti del con­ven­to di San Sosio in Fal­vater­ra — trasfor­ma­to in ospedale dai tedeschi — si pone il prob­le­ma di cer­care luoghi meno esposti. Infat­ti, come si legge in un loro diario, temen­do «uno sfol­la­men­to obbli­ga­to­rio da parte dei tedeschi come ave­vano fat­to in tut­ti i pae­si oltre il Liri, il Ret­tore si pre­oc­cupò di col­lo­care in luoghi più sicuri alcu­ni reli­giosi las­cian­do loro una cer­ta lib­ertà nel­la scelta. Il P. Alessan­dro, pre­ga­to, andò a stare nel­la famiglia Sol­li di Cas­tro, nos­tra Bene­fat­trice; il Fr. Vin­cen­zo si portò a Boville nel­la famiglia Tritony e fu trat­ta­to con squisi­ta car­ità. Così pure il Fr. Francesco a Veroli pres­so il Sig. Avv. Del Nero. Il Fr. Giov. Bat­tista andò in famiglia negli Abruzzi. Da notar­si che colà gli fu ruba­ta una mulet­ta che, ven­du­ta a Roma e pas­sa­ta per diver­si padroni, fu riconosci­u­ta ad Arce. Dopo alcune peripezie si poté ria­vere. Gli stu­den­ti si por­tarono in Cam­poli Appen­ni­no dove furono aiu­tati molto da quel­la buona popo­lazione che insieme al Con­ven­to di S. Sosio li sostenne nei 7 mesi di per­ma­nen­za. Insieme agli stu­den­ti andarono il P. Gugliel­mo Vic­ario ed il Fr. Giac­in­to (…). Il P. Rai­mon­do, Cons. Prov., ed il P. Ignazio, tim­o­rosi per i bom­bar­da­men­ti, rag­giun­sero gli stu­den­ti di Pon­tecor­vo nel­la piana di Pas­te­na ove furono soc­cor­si tan­to dal­la buona popo­lazione. Il P. Luca del­la Vergine di Pom­pei, Cons. ad hon­orem, si rifugiò in Fal­vater­ra pres­so la famiglia Ian­nuc­ci che amorevol­mente lo assis­tette; il P. Bonaven­tu­ra si portò in Sora dove era anda­to anche il P. Tom­ma­so; il P. Mar­ti­no stette alcu­ni mesi a Cec­ca­no ma poi tornò a S. Sosio. Da notare che alcu­ni reli­giosi di Pon­tecor­vo furono accolti in questo Con­ven­to di S. Sosio e poi si trasferirono a Roma, rima­nen­do soltan­to il P. Anto­nio di Ceprano».

A Roc­casec­ca, scrive Pasquali­no Ric­car­di, «la popo­lazione rimase nelle pro­prie abitazioni fino alla metà di novem­bre, suben­do quo­tid­i­ana­mente i dis­a­gi e la pau­ra dei bom­bar­da­men­ti aerei e delle improvvise apparizioni e retate delle SS in cer­ca di uomi­ni des­ti­nati a svol­gere lavori quan­to mai peri­colosi per la costruzione, nelle imme­di­ate vic­i­nanze del­la lin­ea del fronte, di trincee, spi­azzi per l’installazione di postazioni anti­aeree, case­mat­te, bunker sot­ter­ranei, nel­la pre­vi­sione dell’Alto Coman­do Tedesco di inchio­dare gli anglo-amer­i­cani a Cassi­no. Alla fine di novem­bre la popo­lazione del cen­tro di Roc­casec­ca, in gran parte allar­ma­ta dai con­tinui ras­trel­la­men­ti effet­tuati dalle truppe tedesche, dai fre­quen­ti bom­bar­da­men­ti che las­ci­a­vano chiara­mente capire l’imminente coin­vol­gi­men­to del­la zona nel vor­tice del­la battaglia di Cassi­no, abban­donò il paese per rifu­gia­r­si nelle mon­tagne vicin­iori di Colle San Mag­no, trasfer­en­dosi nelle local­ità Ian­nole, Occhio, La Cupa, Settare. Un sicuro, capace rifu­gio per la popo­lazione fu la pro­fon­da cav­er­na sca­v­a­ta nel­la mon­tagna, a ridos­so del paese, per l’estrazione dell’asfalto avvenu­ta sino a qualche anno pri­ma del­la guer­ra. La gente di Caprile e del­la sot­tostante cam­pagna si trasferì nelle grotte nat­u­rali esisten­ti nel­la parte merid­ionale del Monte S. Ange­lo in Aspra­no e del Monte Castrocielo».

Ma è intorno alle Mainarde che la guer­ra si accan­isce mag­gior­mente nell’ultimo scor­cio del 1943. Ed a pagar­ne le con­seguen­ze in pri­ma bat­tuta sono le popo­lazioni di Venafro, Pozzil­li, Fil­ig­nano, Vallero­ton­da, San Bia­gio Saracinis­co, Acqua­fon­da­ta, Viti­cu­so. Ver­so la metà di otto­bre, Con­ca­casale viene evac­u­a­ta: attra­ver­so la mulat­tiera per Val­leven­dit­ti e per San­tianne, gli sfol­lati rag­giun­gono Viti­cu­so. Una pro­ces­sione com­pos­ta non solo dagli abi­tan­ti di Con­ca­casale ma anche da moltissime per­sone rifu­giate­si in ques­ta local­ità per­ché ritenu­ta sicu­ra. «In effet­ti così era», assi­cu­ra Anto­nio Ian­net­ta. Ma pare che i tedeschi avessero deciso l’evacuazione del vil­lag­gio cer­ti del­la pre­sen­za, tra i boschi del­la zona, di spie, ovvero di sol­dati alleati fug­gi­ti dopo l’8 set­tem­bre dai campi di concentramento. 

A Viti­cu­so, invece, lo sfol­la­men­to viene attua­to tra il 19 ed il 23 novem­bre, anche non sono pochi col­oro che riescono ad evitarlo.

Infine, l’evacuazione di San Bia­gio Saracinis­co che viene dis­pos­ta il giorno dell’Immacolata con des­ti­nazione dap­pri­ma Fer­enti­no e poi la provin­cia di Cre­mona. Ma alla frazione Gal­lo ci fu anche chi riuscì a sfug­gire ai ras­trel­la­men­ti tedeschi e, una vol­ta pla­cate­si le acque, si far per dire, a pas­sare la lin­ea del fronte e ad essere “dirot­ta­to” in Cal­abria dagli alleati (18, con­tin­ua).

© Costan­ti­no Jadeco­la, 1993

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