28 / LA NOSTRA GUERRA / IL BOMBARDAMENTO DI MONTECASSINO

28 / LA NOSTRA GUERRA / IL BOMBARDAMENTO DI MONTECASSINO

Vit­to­rio Miele, Testimonianza.


Quel mart­edì 15 feb­braio a Mon­te­cassi­no ci si sveg­lia per tem­po. Come al soli­to, del resto. Ed alcu­ni minu­ti pri­ma delle 5 don Mar­ti­no Matrono­laè già dall’abate «per chiedere le ultime istruzioni e la benedi­zione». Intan­to, l’ufficiale tedesco che don Mar­ti­no avrebbe dovu­to incon­trare fuori del monas­tero è lui stes­so a recar­si dall’abate, accom­pa­g­na­to da un solda­to arma­to. Si trat­ta del tenente Deiber al quale viene subito mostra­to il volan­ti­no che l’ufficiale definisce, sen­za esi­tazione, mez­zo di pro­pa­gan­da e di intim­i­dazione. Poi affer­ma di aver intrat­tenu­to durante la notte il suo coman­dante sul­la grave situ­azione del monas­tero rifer­en­do che questi ave­va dis­pos­to, dal­la mez­zan­otte alle 5 del giorno seguente, l’apertura del­la mulat­tiera che scende sul­la Casili­na attra­ver­so S. Rachisio-Colloquio.

Don Mar­ti­no fa osser­vare all’ufficiale che pote­va essere un errore il pro­cras­tinare al giorno dopo ciò che pote­va far­si benis­si­mo già allo­ra. Ma Deiber rib­at­te che quelle sono le dis­po­sizioni ricevute.

Grosso modo alla stes­sa ora in cui Deiber las­cia Mon­te­cassi­no, dici­amo cir­ca le sei, alla base aerea amer­i­cana ad est di Fog­gia l’ufficiale che impar­tisce istruzioni al 2 grup­po di bom­bardieri comu­ni­ca agli inter­es­sati che la mis­sione del giorno ha come obi­et­ti­vo il monas­tero benedet­ti­no di Mon­te­cassi­no. Scrive il mag­giore Brad­ford A. Evans, coman­dante del 96mo squadrone bom­bardieri e respon­s­abile del­la mis­sione, che, appe­na dopo, «una cap­pa di silen­zio corse per tut­ta la lunghez­za del­la grot­ta di tufo usa­ta dal 2 grup­po bom­bardieri per istruzioni sulle mis­sioni. Ma il silen­zio fu breve, poiché le reazioni dell’equipaggio bom­bardieri ripor­tarono alla realtà. La natu­ra sen­si­bile e reli­giosa del bersaglio fu ulte­ri­or­mente atten­u­a­ta quan­do l’ufficiale istrut­tore del grup­po fece la sua sti­ma del­la situazione».

Quel­la mat­ti­na, a Mon­te­cassi­no, tut­ti i monaci cel­e­bra­no nel rifu­gio dal quale solo qual­cuno di loro si azzar­da ad uscire.

Alla base amer­i­cana di Fog­gia, intan­to, si con­tin­u­ano a definire nei min­i­mi par­ti­co­lari i det­tagli dell’operazione: la rot­ta e i pun­ti di rifer­i­men­to del­la rot­ta, direzione e veloc­ità dei ven­ti alle varie alti­tu­di­ni, par­ti­co­lari sull’identificazione del bersaglio e ripetute rac­co­man­dazioni sull’assoluta neces­sità di una accu­ra­ta pre­ci­sione del bom­bar­da­men­to e per procu­rare il mas­si­mo del­la dis­truzione e per min­i­miz­zare il peri­co­lo di colpire le truppe alleate che da ter­ra stan­no dan­do l’assalto al monas­tero. Intan­to, durante la notte, ogni bom­bardiere è sta­to rifor­ni­to di 12 bombe da 500 lib­bre cias­cu­na come pure ognuno degli 11 can­noni cal­i­bro 50 in dotazione a cias­cun vei­co­lo è sta­to rifor­ni­to di munizioni.

Alle 7 in pun­to il pri­mo aereo, un 666, las­cia il ricovero per guadagnare la pista di rul­lag­gio; a seguire, anche gli altri fan­no la stes­sa cosa. Pas­sano appe­na dieci minu­ti ed inizia «un decol­lo che dove­va fare storia».

Nem­meno due ore e mez­za dopo, il sacro edi­fi­cio viene inquadra­to nell’ottica del miri­no del pri­mo bom­bardiere che è affida­to al tenente James W. Harbin selezion­a­to per tale del­i­ca­to incar­i­co a segui­to dei “suc­ces­si” ripor­tati in prece­den­ti espe­rien­ze del genere. Riferisce il coman­dante Evans: «Due indi­ci nel miri­no com­in­ciano a muover­si l’uno ver­so l’altro e quan­do s’incroceranno le bombe ver­ran­no sgan­ci­ate. Ma il bom­bardiere non si rilas­cia pri­ma che gli indi­ci si incro­ciano poiché è sem­pre pos­si­bile che l’aereo ven­ga scos­so da una raf­fi­ca di aria o da un colpo anti­aereo. For­tu­nata­mente oggi l’aria è cal­ma e nes­sun colpo è cap­i­ta­to. Man mano che gli indi­ci avan­zano l’uno ver­so l’altro, le mac­chine fotogra­fiche aeree ven­gono ori­en­tate per ripren­dere auto­mati­ca­mente il lan­cio e l’impatto delle bombe.

«Tra pochi sec­on­di il 96.mo storno, quel­lo dei ‘Diavoli rossi’, guida­to dal migliore 666, scaten­erà l’inizio di un bom­bar­da­men­to che si riv­el­erà il più grande mai diret­to ad un solo edi­fi­cio nel­la sec­on­da guer­ra mon­di­ale, cre­an­do uno dei prob­le­mi più con­tro­ver­si del­la guer­ra e che rimane tale al giorno d’oggi.

«Il 666 improvvisa­mente vac­il­lò in su ed il prover­biale ‘via le bombe’ fu udi­to sul sis­tema inter­fon­i­co. Il pilota chiese che le porte del con­teni­tore delle bombe rimanessero aperte poiché egli pas­sa­va il con­trol­lo dell’aereo al sec­on­do pilota. Tenen­do in mano una bot­tiglia por­tatile di ossigeno dal­la for­ma di una sal­ci­c­cia, il coman­dante andò ver­so la sti­va delle bombe da cui potesse osser­vare l’impatto iniziale delle 12 bombe del suo aereo e quelle del suc­ces­si­vo aereo una frazione di sec­on­do più tardi.

«Subito un pic­co­lo sbuf­fo di fumo apparve nel­la parte sud-ovest del Monas­tero, che era l’esplosione delle 12 bombe e poi ebbe luo­go una gigan­tesca esplo­sione che coprì l’intera Abbazia.

«In un’altra frazione di sec­on­di le bombe sgan­ci­ate dalle altre squadriglie del sec­on­do grup­po aggiun­sero il loro peso al fatale colpo, ma da questo momen­to fumo, pol­vere e detri­ti era­no così den­si che coprirono la col­li­na di Mon­te­cassi­no e impedirono ulte­ri­ori osservazioni».

Evans com­men­ta: «Erava­mo sul bersaglio e la mon­tagna sem­bra­va sbuf­fare come un vulcano».

Al coman­do del­la VII briga­ta indi­ana, la notizia che sta­vano per bom­bar­dare Mon­te­cassi­no arrivò solo alle 9,30 di mart­edì 15 feb­braio. Il brigadiere Lovettne prese atto. E fu l’unica cosa che poté fare. Dal can­to suo, il colon­nel­lo Glen­nie, coman­dante il Roy­al Sus­sex, si spinse un tan­ti­no oltre, sin­te­tiz­zan­do il suo malu­more in poche battute:

-Lo han­no det­to ai monaci. Lo han­no det­to al nemi­co. Ma non lo han­no det­to a noi!

Che, in realtà, avreb­bero dovu­to essere i pri­mi a sapere di quel bom­bar­da­men­to che sta­va per iniziare. Sem­bra­va la cosa più log­i­ca di questo mon­do: si trova­vano, infat­ti, a qualche centi­na­ia di metri dall’abbazia, sui cos­toni di monte Cal­vario, a quo­ta 593. Ma dal coman­do alleato dimen­ti­carono di avvertirli.

Nel monas­tero, intan­to, cosa accade?

Dalle 8,30, scrive don Mar­ti­no Matrono­la, «reciti­amo Pri­ma, Terza e Mes­sa con­ven­tuale de Octa­va nel­la stanzetta adibi­ta a cap­pel­la. Dopo ci rechi­amo nel­la stanzetta del P. Abate a dire Ses­ta e Nona. Men­tre reciti­amo in ginoc­chio l’antifona finale del­la Madon­na, ‘Et pro nobis Chris­tum exo­ra’, atter­ri­ti sen­ti­amo una vio­len­ta esplo­sione. Ad esse seguono altre sen­za numero, sono le 9,45 circa».

I monaci si rac­col­go­no in ginoc­chio in un ango­lo del­la stanzetta attorno all’abate Dia­mareche res­ta dirit­to in pie­di. Rac­con­ta anco­ra don Mar­ti­no: «Egli ci dà l’assoluzione. Dici­amo giac­u­la­to­rie per il gran pas­so. Le esplo­sioni ci scuotono forte­mente: met­ti­amo ovat­ta nelle orec­chie. Le spesse mura del rifu­gio, con tut­to l’ambiente, sus­sul­tano in modo spaven­toso. Dalle strette finestre entra pol­vere e fumo e si vedono le fiamme di quelle bombe che cadono sul fian­co del Col­le­gio. Non so quan­to dura questo infer­no, cer­to ci appare molto lungo».

Vit­to­rio Mielecosa ricor­da di quell’inferno?

«- Ricor­do, come adesso, la figu­ra di mio padre. Lo vedo di spalle appog­gia­to ad una delle due estrem­ità dell’ingresso del­la por­ta. Il suo sguar­do era riv­olto ver­so l’esterno. Ricor­do la mam­ma sedu­ta per ter­ra, al mio fian­co, che tene­va tra le brac­cia la mia sorel­li­na Iolan­da di due anni, tre­mante e con­suma­ta dal­la fame. Ricor­do i miei fratelli­ni che le era­no intorno. Non ricor­do l’ora esat­ta del pri­mo bom­bar­da­men­to: il tem­po, per noi, si era fer­ma­to da un pez­zo. Ricor­do, invece, esat­ta­mente le ultime ed uniche parole di mio padre: ‘Si sentono gli aero­plani. Stan­no arrivan­do. Forse pas­sano soltan­to’. In quell’istante tut­to crol­lò. Davan­ti ai miei occhi scom­parve la figu­ra di mio padre. La grot­ta cedette e fu la tom­ba di tut­ti noi».

Il bom­bar­da­men­to è anco­ra in cor­so quan­do entra nel­la stan­za dove sono i monaci con l’abate Giuseppe Cian­ci, un sor­do­mu­to. Don Matrono­la riferisce che è «stra­volto e tut­to bian­co: si inginoc­chia con noi e indi­ca la medaglia che ha sul pet­to, facen­do capire che lo ha sal­va­to. Il poveret­to era in chiesa quan­do fu sor­pre­so improvvisa­mente dal bom­bar­da­men­to. Con rac­capric­cio ci fa capire che la chiesa è distrutta».

Ver­so le 11,15 il bom­bar­da­men­to ces­sa. «Il P. Abate vuole uscire: l’accompagno fuori, al chiostro del Bra­mante», rac­con­ta don Matrono­la. E ci si rende con­to dei dan­ni sia alle per­sone che alle cose.

Si sentono «le gri­da dis­per­ate di qual­cuno rimas­to pri­gion­iero nelle mac­erie, gli urli dei fer­i­ti e di col­oro che era­no impazz­i­ti dal terrore».

Don Mar­ti­no, che segue come un’ombra don Gre­go­rio Dia­mare, mette un pò d’ordine nel­la stanzetta dell’abate per ospitare il San­tis­si­mo che don Agosti­no Sac­co­man­noè anda­to a pren­dere nel­la cap­pel­la del­la Pietà, alla Torretta.

Ma una venti­na di minu­ti dopo le tredi­ci il bom­bar­da­men­to riprende, van­i­f­i­can­do l’iniziativa di col­oro i quali cer­cano di soc­cor­rere chi è fer­i­to o sepolto tra le mac­erie. Le bombe pros­eguono nel­la loro opera dis­trut­trice e riprende l’orrendo mas­sacro. Sta­vol­ta dura all’incirca mezz’ora: l’operazione è com­pi­u­ta da ven­ti B‑26 decol­lati tre minu­ti pri­ma delle 11 da Dec­i­mo­man­nu, in Sardegna.

Don Gre­go­rio Dia­mare e i monaci che sono con lui la fan­no fran­ca anche se i locali in cui si trovano ven­gono in parte dan­neg­giati, costrin­gen­do lo stes­so padre abate ad arrampi­car­si su un muro per uscire dal rifu­gio. «Uno spet­ta­co­lo tris­tis­si­mo ci si pre­sen­ta dinanzi agli occhi: tut­to è scon­volto», è la reazione a cal­do di don Mar­ti­no Matronola.

Dopo quel­la per mano dei Lon­go­b­ar­di alla fine del ses­to sec­o­lo, dei Saraceni nell’883, del ter­re­mo­to del 1349, la quar­ta dis­truzione del­la casa di San Benedet­to è cosa fatta.

Per com­pier­la, gli alleati han­no uti­liz­za­to 239 bom­bardieri fra pesan­ti e medi che, in cir­ca quat­tro ore di bom­bar­da­men­to effet­ti­vo, in otto ondate han­no sgan­ci­a­to ben 453 ton­nel­late e mez­za di bombe di cui cir­ca 67 incen­di­arie. Men­tre i monaci trovano riparo nel­la cap­pel­la del­la Pietà, quan­ti altri si sono sal­vati dal bom­bar­da­men­to pren­dono la via del­la vallata.

Non tut­ti, però. Infat­ti, sono molti col­oro i quali che, nascosti negli anfrat­ti del­la col­li­na e let­teral­mente trau­ma­tiz­za­ti dal lun­go bom­bar­da­men­to, non si ren­dono con­to che quelle tragiche ore sono ormai passate.

A sera, ver­so le ven­ti, tor­na a Mon­te­cassi­no il tenente Deiber che comu­ni­ca a don Gre­go­rio Dia­mare l’intenzione dei tedeschi — «su richi­es­ta del Papa» — di sol­lecitare un peri­o­do di tregua agli alleati per­ché egli «con i monaci e tut­ti i civili pos­sa sgom­brare da Mon­te­cassi­no»; chiede poi all’abate se è dis­pos­to a rilas­cia­re una dichiarazione attes­tante che nel Monas­tero, al momen­to del bom­bar­da­men­to, non vi era­no sol­dati tedeschi.

L’abate  Dia­mare non ha dif­fi­coltà ad aderire alla richi­es­ta e sot­to­scrive la dichiarazione sull’altare del­la Pietà. Essa dice tes­tual­mente: «Attesto per la ver­ità che nel recin­to di questo sacro Monas­tero di Mon­te­cassi­no non vi sono sta­ti mai sol­dati tedeschi. Vi furono soltan­to per un cer­to tem­po tre gen­dar­mi al solo scopo di far rispettare la zona neu­trale che si era sta­bili­ta intorno al Monas­tero; ma questi da cir­ca ven­ti giorni furono riti­rati». Il doc­u­men­to è data­to ‘Mon­te­cassi­no, 15 feb­braio 1944’ ed è fir­ma­to ‘+ Gre­go­rio Dia­mare, Vesco­vo Abate di Montecassino’.

Ma quante vit­time ci sono, a causa di quel bom­bar­da­men­to, tra le centi­na­ia di per­sone salite a Mon­te­cassi­no per cer­care pro­tezione nel monastero?

Pare che un dato del genere non sia sta­to mai elab­o­ra­to, anche per­ché, date le cir­costanze, era molto impos­si­bile arrivare ad una cifra che potesse avere un riscon­tro se non reale almeno approssi­ma­ti­vo. E’ cer­to, tut­tavia, che di vit­time ce ne furono, che esse furono moltissime e che sicu­ra­mente non furono lim­i­tate alle 148 per­sone i cui teschi ven­nero ritrovati, dopo la guer­ra, tra le macerie.

L’unico dato pos­i­ti­vo, se così può dirsi, che da una cir­costan­za del genere emerge è che, quante esse siano state, tutte, vit­time note e vit­time ignote, cre­den­ti e non cre­den­ti, dal­la sacral­ità del luo­go han­no comunque potu­to ben­e­fi­cia­re dell’eterno riposo in luo­go con­sacra­to (28, con­tin­ua).

© Costan­ti­no Jadeco­la, 1994

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *