4 / LA NOSTRA GUERRA / SETTEMBRE NERO: BOMBE SU CASSINO E FROSINONE
È un mese decisamente nero, quel settembre del ’43. Infatti, come se non bastasse già l’occupazione tedesca, ci si mettono anche i nuovi alleati dell’Italia, intensificando i bombardamenti aerei. Non passa giorno che non ce ne sia qualcuno: gli obiettivi sono strade, scali ferroviari, aeroporti, concentramenti di truppe, autocolonne. Ma chi poi alla fine ci rimette realmente è solo la popolazione civile.
La prima volta per Cassino…
La prima volta, a Cassino, accade appena due giorni dopo l’armistizio: alle 10,30 di venerdì 10 settembre, infatti, trentasei quadrimotori la bombardano in due successive ondate.
L’avv.Giuseppe Margiotta ricorda che «sino a quella data la città aveva vissuto la sonnacchiosa esistenza di un centro di provincia cui conferivano l’importanza che potevano un tribunale, un liceo-ginnasio e un bel teatrino e le cui risorse economiche eran costituite da un mercato settimanale nel quale i suoi abitanti e quelli dei molti paesi e paesini limitrofi si rifornivano di beni per i loro magri consumi, spendendovi il ricavato dai prodotti di un’attività agricola sudatissima ma primitiva e quindi assai poco remunerante.»
L’avv.Luigi Colella testimonia, invece, che quella mattina «i cittadini di Cassino erano nelle strade, negli uffici, nei giardini: i loro volti esprimevano la letizia degli ‘scampati’ agli orrori della guerra. Due giorni prima era stato firmato l’armistizio e la notizia li aveva consolati e rafforzati nella fede di un benigno destino di salvezza. Durante tre anni di conflitto la città non aveva mai udito urli di sirene né s’era cacciata in rifugi; soltanto negli ultimi tempi, il materno richiamo della campana maggiore della Cattedrale l’aveva avvertita, senza spaventarla o turbare la sua placida quotidianità, di lontani fragori che rompevano la quiete del suo cielo».
All’improvviso, panico, grida, pianti. Si corre senza sapere dove. Si contano i primi morti.
Anni or sono, il rag. Pietro Cornacchia, all’epoca presidente della sezione di Cassino dei carristi d’Italia, mi raccontò che il fratello, «brancolando tra le prime rovine incontrò un povero fanciullo spaventato che piangeva ed invocava la madre. Presolo con sé‚ lo conduceva per mano cercando scampo. Ad un certo punto, accortosi che il fanciullo non lo seguiva più, si arrestò volgendo lo sguardo indietro ma senza riuscire a vederlo. Mentre era intento a gettare un ultimo sguardo tra le macerie, si accorse che un braccio del bimbo gli penzolava tra le mani. La furia del bombardamento aveva fatto scempio del piccolo corpo lasciando in mano a mio fratello un ricordo che resterà indelebile nella sua mente. Chi era quel bambino? Solo Iddio lo sa!»
Altre due testimonianze di quel bombardamento. La prima è dell’avv. Tancredi Grossi: «In via Napoli vi fu un caso estremamente pietoso. In un palazzo abitava una famiglia composta del padre, della madre e di sei figli, tutti e sei in tenera età. Il padre era partito la mattina presto, la madre era uscita per la spesa giornaliera e aveva lasciato i sei bambini a giocare con altre tre creature appartenenti a una famiglia amica e vicina di casa. Quel palazzo fu colpito in pieno: i nove bambini precipitarono sotto le macerie. Fu una ecatombe di anime pure, il martirio della candida innocenza.»
L’altra testimonianza è dell’avv. Luigi Colella: «Un bimbo e un adolescente tra le prime vittime: Antonio e Bruno. Il bimbo giocava dinanzi alla sua casa, in una piazzetta della quale la memoria è perduta; la madre lo raccolse rantolante in un lago di sangue. Morì il mattino seguente; dov’era, dov’è la squallida stanza ove tenere, pietose mani chiusero i suoi occhi stupiti?
«L’adolescente fu visto, già trapassato e deposto su una carretta stancamente spinta dal dolore dell’anziano padre; e si udì lo straziante lamento della sua voce rauca: ‘È giunto per i padri il tempo di seppellire i figli!’.
Quel 10 settembre, scrive ancora l’avv. Giuseppe Margiotta, «Cassino era completamente indifesa. Il bombardamento attinse solo la sua periferia verso oriente. E tuttavia vi furono 105 vittime di cui solo tre tedesche. E fu l’inizio di una vicenda, horrendi carminis, in cui la Morte delle anime e delle cose regnò spaventosamente sovrana.
«La città fu abbandonata subito dai suoi terrorizzati abitanti. Solo pochissimi (tra cui l’avv. Gaetano Di Biasioe il pietosissimo abate Don Gregorio Diamare) recarono un qualche soccorso.
«Il primo rifugio furono la campagna e le colline circostanti. Famiglie intere, uomini e donne, vecchi e giovani, sani e malati, e bambini, tanti bambini, nati e nascituri, su mezzi di fortuna, ché le automobili eran prive di gomme, andavano e venivano come formiche impazzite alla ricerca di un luogo dove star sicuri ad attendere quel che si diceva ‘passaggio della guerra’ sperato vicinissimo. E ognuno trascinava con se le sue cose più care, quello che poteva, nel modo che poteva, le sue precauzioni, dolori e stenti e nessuno intendeva la cosa enorme che gli stava sul capo e la imminenza del pericolo e — fosse la cieca speranza e l’odio al regime e l’attaccamento alla terra sua e dei suoi padri — nessuno pensava di andarsene lontano verso il nord anche quando si riseppe, notizia cui nessuno volle credere, che i tedeschi stavano organizzando proprio in Cassino una loro linea di difesa che fu poi la Linea Gustav».
…E per Frosinone
Frosinone, i tedeschi la occupano tre giorni dopo l’armistizio. Ma per il capoluogo ciociaro non è l’unica sorpresa di quel sabato 11 settembre. Saranno state circa le 22, quando le sirene infrangono il silenzio della notte: aerei alleati stanno per sorvolare la città che, intanto, viene illuminata a giorno da centinaia di razzi che creano un’atmosfera irreale ed allucinante.
La contraerea tedesca, prima con le batterie poste all’aeroporto e poi con quelle sparse in altre parti della città, non si fa attendere, divenendo, però, ben presto il bersaglio preferito degli aerei.
Le bombe, infatti, cadono un po’ dappertutto colpendo, più o meno gravemente, l’abitato: dal liceo-ginnasio, letteralmente sventrato, al convento delle suore di Sant’Agostino in via Cavour, ridotto ad un mucchio di rovine, all’ospedale, che si trovava allora «sul punto più alto di via Diamanti», di cui fu risparmiata la farmacia, qualche locale dei piani superiori e tutto il piano inferiore ma dove, comunque, non si registrano nè morti né feriti.
I danni, invece, sono ingenti al quartiere San Martino. Alla fine del bombardamento i morti saranno circa una ventina; imprecisato, al contrario, il numero dei feriti.
Ma solo alle prime ore del giorno successivo ci si rende realmente conto dei danni provocati dal bombardamento.
Padre Francesco Tatarelli, che di questi avvenimenti è testimone oculare, racconta «che la città appariva qua e là aperta da vuoti paurosi, aperti dalle bombe. Ogni tanto lo scoppio ritardato di qualche bomba rintronava sinistro e faceva crollare altre case, innalzando al cielo nuvole di polvere e rinnovando il terrore degli abitanti.» molti dei quali erano andati già via appena dopo l’armistizio nel timore di una rappresaglia tedesca.
Nel corso della giornata di domenica, altri cittadini ancora abbandonano Frosinone per località che si ritengono meno esposte anche perché‚ verso mezzogiorno, al bombardamento della notte precedente se ne aggiunge un altro che ha come obiettivo, però, il solo aeroporto: le attrezzature subiscono danni ingenti e pare che sono circa una settantina i soldati tedeschi che restano uccisi. I degenti dell’ospedale, che resta così abbandonato a se stesso, vengono trasferiti parte a Veroli e parte ad Alatri.
Non tutti, comunque, fuori di Frosinone hanno precisi punti di riferimento in grado di garantire una tranquillità anche approssimativa. Cosicché, alcuni di quelli che restano vanno a rifugiarsi nel tunnel dove passava il trenino per Alatri.
Racconta padre Francesco Tatarelli che esso «fu completamente invaso e divenne la casa di qualche centinaio di persone per tutto il tempo dell’occupazione tedesca, con quali condizioni igienico sanitarie è facile immaginare. Le mura trasudavano abbondantemente umidità; i piedi si muovevano in una mota viscida ed incredibilmente sudicia; il fumo dei fuochi accesi per cuocere cibi, non avendo uno sbocco nell’aria libera, si addensava nell’ambiente basso, rendeva l’aria irrespirabile e bruciava agli occhi. Bisognava riparare perfino i letti e i giacigli improvvisati dalle colate di acqua non propriamente limpida che veniva dalla volta.
«Ci siamo avventurati più di una volta in quel cunicolo fumoso e maleodorante per consolare i rifugiati. E insieme a un senso di carità immensa per quegli infelici abbiamo anche provato profonda ammirazione per tanti nostri fratelli che subivano quella tristissima sorte con serenità e rassegnazione cristiana.»
Oltre ai padri redentoristi che, tra l’altro, a turno si recano quasi ogni giorno alla chiesetta della SS. Trinità, presso Torrice, dove officiano la messa ed amministrano i Sacramenti per i molti frusinati che si sono rifugiati in quella zona, l’unico sacerdote che è rimasto è don Luigi Minotti il quale si prodiga tutto il giorno nell’assistenza, trovando rifugio, la notte, presso il palazzo del Genio Civile.
Intanto, nella città ormai quasi del tutto deserta, sconvolta giorno e notte dall’urlo delle sirene, entrano in azione gli sciacalli che depredano tutto ciò che si è salvato dai bombardamenti. (4, continua)
© Costantino Jadecola, 1993.