26 / LA NOSTRA GUERRA / LE STRADE DELLESODO

26 / LA NOSTRA GUERRA / LE STRADE DELLESODO


Ad Aquino, dove se già non si è andati via, ad esem­pio sulle pen­di­ci del monte Cairo, i più “vivono” o in cam­pagna o nelle grotte al di sot­to di quel­lo stra­pi­om­bo local­mente det­to “Pen­time” — cui la topono­mas­ti­ca autostradale ha dato noto­ri­età per cos­ti­tuire l’angolo pù carat­ter­is­ti­co del “Val­lone d’Aquino” — l’ordine di sgombero arri­va saba­to 8 gennaio.

Con la lin­ea del fronte ormai den­tro casa, la con­dizione di sfol­la­to si estende ad una fas­cia sem­pre mag­giore di per­sone dan­do luo­go qua­si ad eso­do che ha come pun­ti di rifer­i­men­to tal­vol­ta Fiug­gi, tal­vol­ta Ala­tri ma, soprat­tut­to, Fer­enti­no. Che sono, però, solo sedi di tap­pa. Il tra­guar­do finale si tro­va, infat­ti, al nord d’Italia. Ma anche più a nord ancora.

Quel­la mat­ti­na, don Inno­cen­zo Quagliozzioffi­cia in cat­te­drale i funer­ali di Gio­van­ni Ripa, ucciso due giorni pri­ma pres­so la sor­gente dell’acqua sul­furea. Pro­prio men­tre si svolge il sacro rito, i tedeschi dan­no inizio allo sfol­la­men­to proce­den­do da local­ità Rav­i­celle ver­so Val­li, Zam­marel­li e poi Val­lar­ia, quest’ultima, però, in ter­ri­to­rio di Pontecorvo.

Don Inno­cen­zo Quagliozzi, che all’epoca abi­ta in con­tra­da Val­li, in un locale “di for­tu­na” attiguo la chieset­ta, mi ha rac­con­ta­to: «Nelle prim­is­sime ore del pomerig­gio di quel giorno feci ritorno ‘a  asa’ ma non trovai nes­suno dei miei famil­iari e conviventi. 

«Da qual­cuno del­la zona sfug­gi­to alle SS sep­pi che tut­ti i miei era­no sta­ti por­tati via dai tedeschi ver­so Val­lar­ia di Pon­tecor­vo. Per cui mi incam­mi­nai ver­so quel­la località».

Ma è solo a tar­da sera che don Inno­cen­zo rius­cirà a ricon­giunger­si ai suoi, for­tunosa­mente rin­trac­ciati ad Iso­let­ta di Arce men­tre sta­vano per essere trasfer­i­ti a Ferentino.

Per i 250 sfol­lati di Pico, ammas­sati sug­li auto­car­ri il 10 gen­naio, la des­ti­nazione imme­di­a­ta è, invece, Priver­no. Molti fug­gono durante il per­cor­so; altri riescono a far­lo a Roma. I più, invece, ven­gono trasfer­i­ti in Emil­ia Romagna, a Poviglio ed a Reggiolo.

Il 10 gen­naio l’ordine di evac­uazione arri­va anche per Vil­la Lati­na e per Sant’Elia Fiumer­api­do: in quest’ultimo cen­tro, per attuar­lo, ven­gono con­ces­si tre giorni. Solo che, pro­prio in quei giorni, l’azione bel­li­ca s’intensifica tal­mente — Sant’Elia ver­rà lib­er­a­ta il 15 — che per i tedeschi non c’è più il tem­po di pen­sare a certe cose. E, poi, ognuno ha già provve­du­to per pro­prio con­to a fug­gire da quell’inferno ver­so local­ità meno esposte o che si riten­gono più sicure. Tut­tavia, in ques­ta fase di sfol­la­men­to, che viene attua­ta dagli alleati, si ver­i­fi­ca un grave inci­dente: vuoi per la stra­da diss­es­ta­ta vuoi per il mas­s­ic­cio fuo­co dei tedeschi che, nonos­tante tut­to, con­trol­lano anco­ra il ter­ri­to­rio, uno dei camion carichi di sfol­lati che con gli altri si avvia ver­so Vallero­ton­da giun­to all’altezza del­la “log­gia di Portel­la” pre­cipi­ta nel­la sot­tostante valle dell’Inferno: alcu­ni sfol­lati, sep­pur fer­i­ti, si sal­vano; in molti, invece, muoiono. Pare che sia il 18 gennaio.

Il 14 gen­naio, intan­to, bisogna sfol­lare da Val­leluce, frazione di Sant’Elia Fiumer­api­do, men­tre, nel tar­do pomerig­gio del 15, dopo che quel­la mat­ti­na, per il quar­to giorno con­sec­u­ti­vo è sta­to bom­barda­to  dagli alleati, i tedeschi emet­tono ordine di sfol­la­men­to per Picinis­co, tem­po ventiquattr’ore. Ma s’incomincia già da quel­la sera.

Vin­cen­zo Arcari, che quan­tifi­ca in 40.000 le per­sone via via rifu­giate­si nel­la valle di Comi­no, rite­nen­dola lon­tana da ogni peri­co­lo — ma non è l’unico ad indi­care questo dato — scrive che «la impo­nente mas­sa degli sfol­lati di Picinis­co e dei pae­si vici­ni si river­sò in Gal­li­naro, Alvi­to, Vicalvi, Pos­ta Fibreno, Casalat­ti­co, Fontechiari, Sora, Arpino, Cam­poli Appen­ni­no, Pescosoli­do, Veroli, Ripi, Palest­ri­na, Roma».

Ma, scrive Domeni­co Celesti­no, rifer­en­dosi a Gal­li­naro, «mitraglia­men­ti e can­nonate di intoller­a­bile fre­quen­za spopo­larono grad­ual­mente il paese. Alla fine di mag­gio, quan­do i Tedeschi in riti­ra­ta decis­ero di far saltare Gal­li­naro con le mine per inter­rompere la stra­da non c’erano rimasti più di cinquan­ta abitanti».

La dis­po­sizione di sgombero viene ripro­pos­ta il 23 anche a Bel­monte Castel­lo, Ati­na e Vil­la Lati­na ed ha come des­ti­natari, ovvi­a­mente, col­oro che non si sono anco­ra allon­ta­nati dal­la zona.

Per­al­tro, l’accesso sia a questi comu­ni che a Picinis­co viene preclu­so. Riferisce Pietro Vas­sal­li che «era sev­era­mente proibito recar­si alle sud­dette local­ità, pena l’immediata fucilazione; l’emblema del­la morte era al Ponte Nuo­vo, che non si pote­va oltrepassare.

«In segui­to a queste rig­orose dis­po­sizioni, nuovi sfol­lati rag­giun­sero i precedenti (…). 

«In breve, la nos­tra casa sul Pianoro, da undi­ci per­sone, ne ospitò trentanove; nei din­torni, quelle di Anto­nio ed Enri­co Leonar­di ne accolsero quar­antac­inque, quel­la ospi­talis­si­ma di Lore­to Ric­ci ne rag­giunse ses­san­ta, e man mano tutte le numerose case rurali rig­ur­gi­tarono di nuovi profughi».

Il 17 gen­naio, quan­do ha inizio la pri­ma battaglia di Cassi­no e scop­pia, dal mare di Minturno e lun­go tut­to il Garigliano ed oltre, un vero e pro­prio uragano di guer­ra, ad Auso­nia, dice Michele Tomas, «si ha la con­vinzione che da un momen­to all’altro sareb­bero arrivati gli alleati: infat­ti, i tedeschi incom­in­cia­rono a riti­rar­si men­tre molte per­sone attra­ver­sa­vano il fronte…».

Invece, non è per niente così. E per chi non ha già scel­to di pro­pria inizia­ti­va è lo sfol­la­men­to. Al cam­po Bre­da o a Cesano, cioè vici­no a Roma. O al nord.

Nel con­testo di questo incon­trol­la­to ed incon­trol­la­bile movi­men­to deve seg­nalar­si la pre­sen­za di per­son­ag­gi di una qualche noto­ri­età anch’essi costret­ti, al pari degli altri, a quel­la sorte impos­ta dagli even­ti, ovvero inten­zionati a super­are la lin­ea del fronte e scen­dere al sud.

E’ ciò che, ad esem­pio, inten­dono fare il gen­erale Ezio Garibal­di, la cui pre­sen­za è seg­nala­ta a Sant’Elia Fiumer­api­do e che poi riesce nell’impresa, o l’altro gen­erale Ange­lo Odd­one e l’esponente del­la Democrazia Cris­tiana Domeni­co Ravaioli, arrivati non oltre Gal­li­naro e così costret­ti a tornare a Roma con un auto­car­ro tedesco gra­zie agli inter­posti uffi­ci del papà del dott. Domeni­co Celesti­no che «chiese ed ottenne da un uffi­ciale un pas­sag­gio per ‘due anziani zii’».

A Picinis­co, rac­con­ta Vin­cen­zo Arcari, «nel gen­naio 1944 i tedeschi arrestarono come sospet­to di spi­onag­gio il sig. Hen­ry Moulin, acca­d­e­mi­co di Fran­cia e pit­tore di rino­ma­ta fama, il quale era sfol­la­to a Col­li al Volturno. Il canon­i­co Boni ed il podestà Pelosi si pre­mu­rarono per­ché venisse rilas­ci­a­to. Ciò fu con­ces­so a con­dizione che il Moulin avesse ese­gui­to qualche pit­tura per il coman­do tedesco ed il Moulin dovette sot­tostare a tale ordine».

Intan­to, il 9 feb­braio, si legge nel diario del con­ven­to dei Carmeli­tani di Cepra­no, «per ordine del Gen­erale tedesco del­la zona di Frosi­none, Haup­maun, e del Prefet­to è sta­to nuo­va­mente isti­tu­ito nel nos­tro Con­ven­to un uffi­cio di smis­ta­men­to per gli sfol­lati di Pon­tecor­vo, Aquino, Formia, S. Gior­gio, Valle­maio, S. Apol­linare, ecc.

«Ques­ta vol­ta l’andamento eco­nom­i­co e dis­ci­pli­nare del movi­men­to è sta­to affida­to ad una squadra tedesca di dod­i­ci sol­dati con a capo un Ser­gente e un Mares­cial­lo occu­pan­do per se stes­si le camere del Provin­ciale e l’altra vici­no al Cam­panile nonché le due camere del­la Por­te­ria. Per gli sfol­lati sono state ris­er­vate tutte le altre camere del Cor­ri­doio dei Padri e del­lo stu­den­ta­to non ostante che siano danneggiatissime.

«E’ da notare che in questo sec­on­do turno di sfol­la­men­to vi è sta­to mag­gior ordine. Ordi­nar­i­a­mente è sta­to som­min­is­tra­to il caf­fè la mat­ti­na, un buon mine­strone a mez­zo­giorno e una pic­co­la cena alle ore 19. E’ sta­to pure effet­ti­va­mente provve­du­to ogni giorno allo smis­ta­men­to per mez­zo di mac­chine tedesche. In con­seguen­za, il numero mas­si­mo che ha sosta­to con­tem­po­ranea­mente nel Con­ven­to si cal­co­la sia sta­to quat­tro­cen­to. In totale sono sta­ti smis­ta­ti cir­ca ottomi­la sfol­lati. Le autorità civili ques­ta vol­ta sono state com­ple­ta­mente assenti».

In realtà, queste, pur essendo ben cosci­en­ti del­la situ­azione, nul­la pos­sono per porvi mano, non aven­do a dis­po­sizione mezzi idonei. E’ sig­ni­fica­ti­va, a propos­i­to del “piano di sfol­la­men­to”, ques­ta comu­ni­cazione del capo del­la provin­cia Arturo Roc­chi al min­istro dell’Interno dell’11 feb­braio: «…infor­mo che il Coman­do Ger­man­i­co ha in questi ulti­mi giorni dis­pos­to il ras­trel­la­men­to degli evac­uati anco­ra dimoran­ti nei comu­ni cen­trali del­la Provin­cia ed il loro avvi­a­men­to a pie­di al cen­tro di rac­col­ta recen­te­mente isti­tu­ito nel­la provin­cia di Roma pres­so gli sta­bil­i­men­ti Bre­da siti sul­la via Casilina.

«Gli evac­uati ras­trel­lati a cura del­la Guardia Nazionale Repub­bli­cana dovreb­bero rag­giun­gere a tappe, con la scor­ta del­la Guardia stes­sa, la det­ta local­ità, non essendo in gra­do il Coman­do Ger­man­i­co di fornire in questo momen­to gli automezzi occor­ren­ti per sif­fat­ti trasporti.

«Al trasporto dai luoghi di res­i­den­za e sino alla local­ità di Piom­bi­na­ra (Colle­fer­ro) ed alle rel­a­tive provvi­den­ze assis­ten­ziali dovrebbe provvede ques­ta Prefet­tura, men­tre è ris­er­va­to anal­o­go com­pi­to a quel­la di Roma per il tragit­to Piom­bi­na­ra-Sta­bil­i­men­to Breda.

«Poiché la deci­sione del Coman­do Ger­man­i­co si pre­sen­ta­va par­ti­co­lar­mente gravosa per gli evac­uati, in ispe­cial modo per i bam­bi­ni, per i vec­chi e per le donne, costret­ti anco­ra, dopo la perdi­ta dei loro beni, delle loro case e dopo tante sop­por­tate sof­feren­ze fisiche e morali, a viag­gia­re forzata­mente a pie­di, ho chiesto con osti­na­ta pre­sa di posizione che almeno mi si autor­iz­zasse a prel­e­vare dai deposi­ti dell’A.G.I.P. di Roma la ben­z­i­na, pre­sen­te­mente ris­er­va­ta alle sole Forze mil­i­tari Ger­maniche, suf­fi­ciente per pot­er effet­tuare a mez­zo auto­car­ri il trasporto stesso.

«Dopo asso­lu­ti e ripetu­ti dinieghi, ho ottenu­to in via del tut­to eccezionale la richi­es­ta autor­iz­zazione, cos­ic­ché sono in gra­do di assi­cu­rarvi, Eccel­len­za, che gli evac­uati affluiran­no con gli automezzi  che fornirà ques­ta Prefet­tura al Cen­tro di rac­col­ta pres­so gli sta­bil­i­men­ti Breda».

Intan­to, una delle mete più “ambite”, per quan­to con­cerne l’esodo “spon­ta­neo”, con­tin­ua ad essere il monte di Cassi­no per la grande fidu­cia ripos­ta nel­la pro­tezione di San Benedet­to. Ma quel­la mon­tagna diviene, ogni giorno di più, bersaglio di guer­ra per cui, specie saba­to 5 feb­braio, il ter­rore è tale che alcune decine di donne bus­sano dis­per­ata­mente al por­tone del monastero. 

Don Euse­bio Gros­set­tie don Mar­ti­no Matrono­lascrivono nel loro Diario: «Piangen­do implo­ra­vano asi­lo e anche minac­cian­do. Il P. Abate per sal­vare vite umane ha fat­to aprire loro. Ma dietro a loro si è river­sa­ta una quan­tità enorme di gente. Lo scalone è sta­to lib­er­a­to del­la mag­gior parte degli ogget­ti ivi deposi­tati, che sono sta­ti ripor­tati nell’antido vici­no ai fine­stroni: noi stes­si abbi­amo lavo­ra­to, assieme a volen­terosi, per sal­vare le masser­izie dei nos­tri coloni e dipen­den­ti, e anche delle per­sone di Cassi­no: vi ha trova­to asi­lo una quan­tità di gente. I viveri che ivi si trova­vano sono sta­ti mes­si nel­la Tor­ret­ta. La faleg­name­ria, ossia l’ambiente sot­to la Bib­liote­ca Mon­u­men­tale, ne ha accol­ta mol­ta altra; così pure le sale del­la portine­r­ia, la Pos­ta, il cor­ri­doio del­la Curia. Fra tan­ti rifu­giati vi sono, purtrop­po, anche delle per­sone di dub­bia fama e sac­cheg­gia­tori. Che Dio ce la man­di buona! Ci siamo sgo­lati per far capire a ques­ta gente che qui non era­no al sicuro, e che asso­lu­ta­mente non dove­vano girare per i chiostri. Fia­to spre­ca­to!» (26, con­tin­ua).

© Costan­ti­no Jadeco­la, 1994.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *