VITTORIO, ORGOGLIO DI SORA.
Sora, 1951. Vittorio De Sica, la sua balia, Pasqua Carnevale (a destra), e il Sindaco del tempo, il notaio Francesco Savona (a sinistra). (Foto da Vittorio De Sica. Immagini della vita. Centro di Studi Sorani ‘V. Patriarca’, Sora, 1984).
Agli inizi di questo secolo, Sora e il capoluogo di una vasta regione della provincia di Terra di Lavoro, quella parte della Valle del Liri già nota anche come «Valle delle industrie» o «Manchester del Napoletano».
Secondo le cronache del tempo, la cittadina è «ricca di palazzi, di negozi comuni e di lusso, di chiese, di officine e di fabbriche di produzione»; è sede, inoltre, di Sottoprefettura — il capoluogo di provincia è Caserta — e, tra l’altro, anche di una filiale della Banca d’Italia.
E proprio presso la filiale sorana dell’istituto di emissione che un bel giorno, in una data comunque non precisata dalle fonti, viene trasferito, da quella di Reggio Calabria, l’impiegato Umberto De Sica.
Umberto De Sica e la moglie, Teresa Manfredi, lui cagliaritano, lei romana, arrivano dunque a Sora dove, non sappiamo se con difficoltà o meno, riescono a trovare alloggio in una caratteristica stradina del centro storico, via Cittadella, nel cuore medievale della città.
La coppia ha già due figli. Maria ed Elena, ed è in attesa di un terzo: tanto la signora Teresa che il signor Umberto sperano tanto che questa volta due non faccia necessariamente tre e che sia finalmente la volta buona per un figlio maschio. Il signor Umberto deve tenerci in modo particolare se, addirittura, compone una marcia, Tarullo Tarallino, per la banda cittadina, da suonarsi nel caso in cui il suo desiderio si fosse avverato.
Come in effetti si avvera alle ore 11 del 7 luglio 1901 quando gli angusti vicoli della cittadella medievale sorana vengono allietati dai vagiti di un paffuto bambino: era nato Vittorio De Sica.
A dieci anni dalla scomparsa del grande attore e regista, avvenuta il 13 novembre 1974 a Neuilly sur Seine (Francia), tra le altre iniziative e le molte rievocazioni, con le quali si è voluta ricordare la figura e l’opera dell’artista, non possono tacersi quelle che Sora ha voluto dedicargli. Tutte manifestazioni di alto livello tra le quali, riteniamo, meriti particolare attenzione una pubblicazione che, più che libro, può definirsi un «album di famiglia» le cui pagine, come ogni album che si rispetti, «raccolgono affetti e ricordi».
Vittorio De Sica. Immagini della vita: questo il titolo della pubblicazione, edita dal Centro di Studi Sorani “Vincenzo Patriarca”. Vi si parla, ovviamente, di De Sica attore e di De Sica regista. E ne parlano, con competenza, il critico Orio Caldiron (De Sica uno e multiplo) e Padre Angelo Arpa (Divagazioni sull’immagine di De Sica).
Ma vi si parla, soprattutto, di un De Sica intimo attraverso una testimonianza fotografica che non tralascia alcuno dei momenti più significativi della vita dell’uomo sino ad incontrarsi e ad incrociarsi, ad un certo punto, con la vita dell’artista, «di un artista che, poeta nell’animo», come puntualizza Luigi Gulia nella presentazione, «è riuscito a comunicare con platee e generazioni di uomini, di donne e di bambini, per rimanere tra i protagonisti della storia del cinema e del teatro».
Oltre le foto, per lo più fornite da Maria Mercader, la moglie, e dalla figlia Emi, le testimonianze dei familiari.
Maria Mercader ricorda taluni episodi dell’infanzia: «Vittorio mi raccontava che quando andava all’asilo aveva sempre i geloni alle mani ed ai piedi. A Sora d’inverno fa molto freddo (…). Mille volte mi ha descritto la sua prima infanzia durante i 34 anni che gli sono stata vicina. (…) La prima volta che mi portò a Sora ero in attesa di un figlio: Manuel. Era il 1948. Voleva farmi vedere la casa dove egli era nato e mi fece conoscere la sua balia, Pasqua Carnevale».
Un ritorno, per lui superstizioso, quasi propiziatorio.
La figlia Emi ne difende la memoria. «L’hanno descritto da commediante svagato, da galante rubacuori, da dannato del tavolo verde. Non è assolutamente vero: del resto, io direi che è stato il regista dei bambini, tanto è sempre stato attento alla psicologia infantile. Bastava il turbamento di un suo giovane interprete, per angustiarlo. Dal set deLa Ciociara mi raccontò: ‘Ieri ho dovuto lottare un po’ con la piccola Eleonora perché non voleva assolutamente scoprire le gambe. La sceneggiatura dice, inoltre: “La camicetta è strappata e lascia scoprire il piccolo seno”. Una simile inquadratura è stata impossibile. Alla mia insistente richiesta, Eleonora ha cominciato a fare con la bocca il mestolo che fanno i bambini di tre anni. Ho desistito. Se vedo un bambino piangere, mi vanno via le forze’».
A dare una certa sistemazione organica alle tappe più significative della vita di Vittorio De Sica provvede Michele Ferri che è talmente pignolo da segnalare non solo l’orario esatto della nascita ma facendoci anche sapere che i genitori gli fecero portare dietro, per tutta la vita, oltre Vittorio, anche i nomi di Domenico, Stanislao, Gaetano, e dulcis in fundo, Sorano: un omaggio certamente originale ma di profondo affetto, da parte di Umberto e Teresa De Sica, verso la città in cui ha visto la luce il tanto atteso figlio maschio e dove lo stesso viene battezzato, il 27 luglio, presso la Parrocchia di San Giovanni Battista, padrini i sorani Alfonso e Cristina Giannuzzi.
Luigi Gulia ci ricorda che Vittorio «trascorse i primi anni, quelli dell’infanzia, tra i vicoli dell’antica Cittadella, che da sola significa il cuore medioevale di Sora. Apprese a parlare il dialetto della riviera del Liri tra i passaggi angusti, tutti risalenti alla Cittadella verso la porta di Cancéglie o in alto alla roccia di Sant’Antóne (la chiesetta dell’Abate eremita, che un accento acuto distingue dal più invocato Sant’Antònie ‘padovano’)».
Poi, nel 1906, la famiglia De Sica si trasferisce a Napoli, in Vicolo Martiri d’Otranto.
Ma il legame con Sora non si spezza. Vittorio vi torna, che è ormai maggiorenne, nel 1922. E prende parte, lui che già ha debuttato, come cantante, nel 1915, in una compagnia di dilettanti che si esibiva per i soldati e i feriti di guerra, e, come attore, nel 1918, nel film Il processo (o l’affare) Clémenceaudi Edoardo Bencivenga, con Francesca Bertini e Gustavo Serena, ad una recita organizzata per raccogliere i fondi occorrenti a completare il monumento ai Caduti della Grande Guerra: accompagnato al pianoforte dal padre, «recita» la Canzone del Piave.
Di lì a qualche anno per Vittorio De Sica sarà finalmente il successo come attore. Ed anche nell’ascesa in tale attività, la sua città natale non sarà estranea: nel 1923, infatti, presentato dall’attore Gino Sabatini, suo amico, e raccomandato dall’architetto scenografo Antonio Valente, di Sora, Vittorio «entra nella compagnia teatrale di Tatjana Pavlova e recita la parte di cameriere nel Sogno d’amoredi Kossorotov».
Torna a Sora, almeno ufficialmente, nel 1951, per un servizio di Epoca, e nel 1953, accompagnato da Maria Mercader. In entrambe le circostanze viene accolto con calore ed affetto e, «come un politico, raccoglie desideri e richieste».
Ma «i vicoli non si spensero». Li rivide più volte a Napoli, forse ancora più immuni e animati.
© Costantino Jadecola, 1985.