30 / LA NOSTRA STORIA / CIVILI NEL MIRINO
Anche a febbraio episodi di violenza continuano a verificarsi un po’ dappertutto mentre la guerra, dal canto suo, continua ad incalzare ed a dare il suo consistente contributo alla tragedia in corso.
A Villa Santo Stefano, il 4 febbraio, tre soldati tedeschi avvinazzati uccidono una donna; quello stesso giorno a Ruscito, una contrada di Piedimonte San Germano, i tedeschi irrompono nel ‘ricovero’ della famiglia di Benedetto Sambucciche si era trasferita in questa zona dall’originaria contrada Strumbolo, ritenendola più sicura. Vanno alla ricerca del giovane Domenicoche, a detta di qualcuno, farebbe parte di un gruppo partigiano: il giovane tenta disperatamente di fuggire, ma viene raggiunto da una raffica di mitra. Quindici giorni dopo, il 19 febbraio, un’altra tragedia si abbatte sulla famiglia Sambucci: un fratello di Domenico, il diciannovenne Emidio, viene ucciso da un proiettile di artiglieria.
La mattina del 6 febbraio, a Sant’Andrea Garigliano, due soldati tedeschi si dirigono dalla sede del loro comando a contrada Case Rinelli in località Pontiera. Poiché‚ anche per loro la fame era quella che era, non c’è nulla di strano nel fatto che, notate un paio di mucche in una stalla, essi tentino di portarsele via, come, del resto, già altre volte era avvenuto.
Ma i due non si rendono conto che nella stessa stalla sono nascosti sei, sette uomini i quali, come hanno sentore delle intenzioni dei due tedeschi li assalgono, pestandoli in malo modo; uno dei due, anzi, viene gravemente ferito al collo.
Nonostante ciò, tuttavia, essi riescono ugualmente a guadagnare la sede del loro comando, a palazzo Fargnoli, in località Cardito, dando l’allarme.
La pattuglia che si reca a Case Rinelli, però, sbaglia destinazione e, invece di andare laddove si era verificato l’incidente, finisce nell’altra casa, quella dirimpetto. Inevitabilmente si trovano al cospetto di gente che, prim’ancora di essere terrorizzata, è molto sorpresa. Ma è una sorpresa che non fanno nemmeno in tempo a dar da vedere che inizia la carneficina. Uno dopo l’altro cadono a terra, uccisi all’istante,Emilio Pontiero(38 anni), Domenico Pontiero(54), Carmine Rossi(71) e Raffaele Mazzarella(22). Ma non si esclude che possa esserci stato almeno un altro morto.
Casalvieri, 7 febbraio. Angelina Recchiae la figlia Benedettavengono svegliate nel cuore della notte dai violenti colpi battuti sulla porta di casa da un paio di tedeschi totalmente ubriachi. E poiché nessuno apre i due, dopo aver sparati alcuni colpi contro la serratura, entrano nell’abitazione. Un altro colpo, invece, ferisce Angelina ad una gamba. Accorre la gente della contrada ed accorrono anche alcuni soldati tedeschi che caricano la donna su un loro automezzo e si dirigono verso un posto di pronto soccorso. Ma Angelina cessa di vivere per strada: la pallottola ha probabilmente leso un’arteria vitale. I due colpevoli vengono processati a Rocca di Papa: si difendono affermando che erano stati costretti ad agire in quel modo poiché le due donne avevano tentato di rubare nel magazzino tedesco. Benedetta, invece, diede la reale versione dei fatti. Ma, scrive Italo Fortuna, che riferisce l’episodio, nessuno ha mai conosciuto l’esito di quel processo.
A Ripi — sono circa le ore 11 dell’8 febbraio — Alessandro Rezzolinicon il figlio Michele,Ernesto Mollicae Giovanni Viselli stanno lavorando su un terreno di proprietà di quest’ultimo in via Campo Milano dove i tedeschi, qualche giorno prima, hanno fatto esercitazione di tiro. Michele, che non ha ancora compiuto i 14 anni, trova una bomba a mano, la raccoglie e la mostra agli altri tre: «era un ordigno che non conoscevano, ma si resero conto che era pericoloso. Alessandro inavvertitamente la fece esplodere». Per le molte schegge gli viene amputato un braccio; ma chi ha la peggio è il figlio: colpito alla gola, muore dissanguato. Mollica viene ferito ad un piede mentre Viselli resta incolume.
Ancora l’8 febbraio, ancora Piedimonte San Germano. Su quel che accade riferisce Raffaele Nardoianni: «Un aereo, dopo di avere fatto qualche giro sulla zona montagnosa, lanciò una bomba su di una casa situata nella località ‘Oliveto Peccarrone’ colpendola in pieno. La casa, di vecchia costruzione, formata di un semplice pianterreno, era occupata, da qualche giorno, da quattordici persone facenti parte di tre famiglie. Esse si ritenevano di essere sicure dai pericoli dei bombardamenti perché la casa era isolata e perché disponevano di un ricovero che era nelle immediate vicinanze. Lo scoppio fu formidabile e ne risentì la montagna: il maresciallo capo dei carabinieri Terrizzi Antonino, la moglie Carmela Le Donne, insegnante, e i due figli Angelinodi anni 12 e Mariucciadi anni 7 rimasero orribilmente massacrati.
«La stessa morte orrenda toccò alla guardia municipale Urbano Giuseppe, alla moglie e a cinque figli; nonché a Cavacece Ferdinando, alla moglie e al figliastro Costa Federico.
«Gli infelici furono tutti ridotti a brandelli».
Alle 10 del mattino dell’8 febbraio è Veroli a trovarsi sotto le bombe di una dozzina di apparecchi alleati che, dopo aver compiuto vari giri sul centro abitato, sganciano tutta una serie di bombe, di cui una sola a scoppio immediato che provoca la distruzione di un fabbricato in via Gracilia e, per fortuna, solo feriti. Guai seri e vittime le procurano, invece, 23 bombe a scoppio ritardato. In una relazione del commissario prefettizio Furor Viscaindirizzata il 19 febbraio al capo della provincia si legge che «alle 18,30 si verificò lo scoppio di una bomba in via Terribile, la quale causò la caduta di numerosi fabbricati dalle cui macerie furono estratti 4 morti. Durante lo scoppio della stessa bomba rimasero feriti gravemente una bambina di due anni, deceduta in seguito all’ospedale civile, ed una donna. Il giorno successivo un’altra bomba scoppiò in via Cavour, ferendo gravemente una donna deceduta poche ore dopo nell’ospedale. Per effetto delle varie esplosioni delle bombe, parecchie famiglie sono rimaste senza abitazione con perdita completa di mobili, oggetti di vestiario, generi alimentari, ecc… Oltre i fabbricati caduti, ve ne sono moltissimi fortemente danneggiati, tanto da essere dichiarati inabitabili. I danni arrecati all’incursione possono aggirarsi sul milione di lire».
Non si salva nemmeno la zona intorno a Casamari dove «dodici apparecchi caccia inglesi» effettuano una incursione che dura «circa quattro ore: dalle 11 a mezzogiorno e dalle 2 alle 4,30». Don Luigi De Benedettiscrive: «Gli apparecchi avevano il compito di rovinare la strada onde impedire il traffico e mitragliare le macchine e i depositi di benzina. L’effetto di tale mitragliamento e bombardamento è stato considerevole. In tutto, circa una quindicina di macchine mitragliate, incendiate e danneggiate sulla strada di Scifelli, in contrada Campoli, alle Quattro strade, alle Carpinette. Dinanzi alla chiesola di Santa Filomena la macchina incendiandosi ha dato fuoco anche alla porta e finestrina della Cappella per cui non potremo più andare a celebrare la Santa Messa le domeniche essendo nostra Cappellania. (…) Numerose bombe, per colpire gli automezzi e rovinare la strada, sono state gettate a Reggimento (2 bombe), a Porrino 5, di cui una non esplosa, a Casino Spani 3, vicino alle Quattro Strade, a Campoli, a Veroli. Vari soldati tedeschi sono stati feriti. Trasportati dalla Croce Rossa nell’ospedale nel Collegio sono stati medicati e ricoverati. A Porrino è stata ferita leggermente al braccio anche una donna. Sono stati anche incendiati dei depositi di benzina a Sant’Onofrio. (…) Il monastero non è stato affatto toccato ma la comunità è intimorita e per precauzione si è messa nei locali interni e nella cantina».
Gli aerei alleati si danno da fare anche a nord della provincia. Infatti quello stesso 8 febbraio padre Igino Basilici nel suo diario segnala «alle 11,30 bombe e mitragliamento su Acuto e Prato».e che «alle 12 circa 10 aerei alleati piombano all’improvviso su Anagni e bombardano le campagne tra le Casarene ed il casale Mazzocchi, la Cantina Sociale e La Noce; una bomba cade anche vicino alla Consolazione, provocando un morto (Ranzani) e vari feriti leggeri».
Intanto, intorno a Casamari, a seguito del «disastroso mitragliamento e bombardamento» i tedeschi piazzano postazioni contraeree presso Monte San Giovanni ed alle ‘Quattro Strade’, «ove hanno allo scopo tagliato molti alberi di ulivo perché non fosse ostacolata la visuale». Appena in tempo, comunque, per far fuori, intorno a mezzogiorno del giorno 10, almeno tre aerei di una consistente formazione, uno dei quali «è caduto a Chiaiamari, fracassandosi». Scrive don Luigi De Benedetti: «Il pilota, gettatosi col paracadute, è stato lasciato ardere dai tedeschi i quali hanno impedito ai contadini accorsi con acqua di spegnere le fiamme appiccate ai suoi vestiti. Un altro apparecchio, caduto fra Castelliri ed Isola Liri, ha appiccato il fuoco ad un deposito di benzina sul quale era andato a finire».
Ancora ad Anagni, il 14 febbraio, riferisce sempre padreBasilici, «un aereo alleato, colpito, va a cadere tra le Casarene e Graziani, ma il pilota si salva lanciandosi col paracadute»; a Frosinone, invece, quello stesso 14 febbraio, si registrano «due bombardamenti bestiali», come li definisce padre Francesco Tatarelli: «il primo prese di mira la zona della piazza del Popolo (oggi P. Valchera), facendo crollare i pochi muri rimasti ancora in piedi; il secondo si riversò nella zona dell’Osteria De Matthaeis, rovinando in parte il ponte posto all’imboccatura del tunnel».
Il 13, a contrada Santa Lucia di Giuliano di Roma, due soldati tedeschi ubriachi tentano di violentare una giovane sfollata di Frosinone. Ma, scrive don Alvaro Pietrantoni, «questa li respinse e cercò di fuggire; pieni di rabbia i soldati le spararono contro, ma fortunatamente non la colpirono perché l’ubriachezza rese imprecisa la mira».
Ausonia. Michele Tomasricorda: «La mattina del 17 febbraio 1944, in compagnia di mia sorella Mariadi tredici anni, di un ragazzo di 10 anni (Carlo Malinconico) e di un paio di bambine, con un macinino di caffè cercavo di macinare qualche chilo di grano per fare delle pizzette alla brace perché erano ormai parecchi giorni che non mangiavamo un po’ di pane. Dopo qualche ora di lavoro, stanchi e sfiniti dalla fame, ci fermammo: mia sorella e i ragazzi si sedettero al sole insieme ad altre persone; io presi un foglio di carta e mi misi a disegnare. Ad un tratto si udì un grande scoppio subito seguito da grida disperate. Davanti ai miei occhi apparve uno spettacolo allucinante: mia sorella Maria ed un mio nipotino, Antonio, erano morti sul colpo, dilaniati dalle schegge; il ragazzo, colpito alla schiena, barcollando ed invocando il nome della madre, le va incontro morendogli tra le braccia. Anche una bambina, Alessandra, muore poco dopo tra le braccia della madre. Mia cognata, Maria Zegarelli, dilaniata in tutto il corpo muore dopo qualche ora».
Ad Anagni, l’ultimo giorno di Carnevale (22 febbraio) si conclude tragicamente. Padre Igino Basilici scrive, infatti, che «nei pressi di Porta Cerere. ‘Giotto’ (cioè Luigi Ponza), noto fascista, ha dato fastidio a ‘Turiddu’ De Francisco, rifugiato siciliano, sparandogli contro e ferendolo ad un piede; il siciliano ha reagito ed ha ucciso ‘Giotto’, con grande soddisfazione di molti. Ancora non si sa bene come siano andate le cose ma si dice che la sorella di ‘Giotto’ abbia detto sul corpo del fratello morente: ‘Frate meo, te lo dicevo ie de levatte sa muta! Esso, le vidi, la fine che si fatto’; Ponza non ha avuto funerali religiosi perché concubino. (…) il siciliano che ha ucciso ‘Giotto’ ha finto di impazzire (forse su esplicito consiglio di chi voleva salvarlo)».
Quello stesso 22 febbraio è anche la volta di Fumone dove viene bombardata la zona Piè del Monte-Fraschette: rimangono uccisi Pasqua Scarsellettaed il figlio Emilio Buccittidi 15 anni.
All’alba del 24 febbraio, nella zona di Rotondoli, ad Ausonia, i tedeschi attuano una violenta rappresaglia perché uno di loro, il giorno prima, è stato ucciso. Ne fanno le spese in tre: Benedetta Di Giorgio, 20 anni, Michele Cappelli(56) e Maria Cristina Castelli(47), tutti e tre fucilati. Quest’ultima, davanti la porta di casa, dopo che le è stato strappato il bambino dalle braccia (30, continua).
© Costantino Jadecola, 1994.