FONTECHIARI, SPERANZE E VECCHI MERLETTI

FONTECHIARI, SPERANZE E VECCHI MERLETTI

Come un’isola in un immen­so mare di verde ci appare Fontechiari sal­en­do da Casalvieri per una stra­da stret­ta e tor­tu­osa che si las­cia però per­donare per la grade­v­ole fres­cu­ra che benevol­mente con­cede la rigogliosa veg­e­tazione nel tor­ri­do e insop­porta­bile pomerig­gio d’estate. E nell’immenso mare di verde affogano prossi­mi e più remoti clam­orosi episo­di di cui a suo tem­po si inter­es­sarono oltre le cronache dei gior­nali anche le aule dei tri­bunali: sono l’unico dato di  fat­to nuo­vo che potrebbe inter­es­sare il cro­nista – se a ciò, nat­u­ral­mente, fos­se inter­es­sato – essendo per il resto le cose più o meno come negli altri cen­tri del­la valle. 

La sper­an­za più prossi­ma, o, almeno, che ci si augu­ra sia tale, è la sospi­ra­ta super­stra­da Sora-Ati­na-Cassi­no. Come altrove, dunque. Ma temi­amo sia una sper­an­za des­ti­na­ta a restare tale anco­ra per diver­so tem­po essendo non del tut­to ottimistiche le più recen­ti notizie che cir­colano sul­la costru­en­da arte­ria per la quale ci sarebbe un ulte­ri­ore riman­do per via dei soli­ti intral­ci buro­crati­ci, pur essendo già sta­ti com­ple­tati i sondag­gi preliminari.

 L’attesa dunque con­tin­ua, non gravosa, del resto, per chi vi è abit­u­a­to. Per Fontechiari in spe­cial modo, para­dos­salmente chia­ma­ta sino a cen­to anni fa Schi­avi. «… Schi­avi, bor­go del Reg­no di Napoli – si legge da qualche parte – in provin­cia di Ter­ra di Lavoro, dis­tret­to ad una lega e mez­za a S. E. di Sora e can­tone ad una Lega e un quar­to a N. E. di Arpino, sorge sopra una col­li­na, in buon’aria. Possiede un ospedale e con­ta 1.500 abi­tan­ti. Vuol­si che avesse pre­sa la sua denom­i­nazione dall’avere ivi Mario Arpinate tenu­to i suoi schi­avi….» Poi, però, una delib­er­azione del Con­siglio comu­nale de l4 set­tem­bre 1862, in con­for­mità ad un Regio decre­to del­lo Sta­to Ital­iano che con­sen­ti­va ad alcu­ni comu­ni di Ter­ra di Lavoro di mutare la loro denom­i­nazione, var­iò il nome in quel­lo attuale. 

L’economia del paese è essen­zial­mente agri­co­la ed un cer­to pre­gio ha l’allevamento del bes­ti­ame, in par­ti­co­lare maiali e tac­chi­ni all­e­vati in gran numero per le feste natalizie.

 Ma, come scrive Costan­ti­no De Car­o­lis, il più accred­i­ta­to stori­co locale, «l’eccessiva fram­men­tazione del­la pro­pri­età agri­co­la ha causato il grave fenom­e­no dell’esodo dal­la cam­pagna» pro­muoven­do anche qui una copiosa emi­grazione. Oggi il paese, che vent’anni fa, arriva­va a duemi­lac­inque­cen­to abi­tan­ti toc­ca a mala pena i mille, men­tre si è sem­pre più infit­ti­ta la colo­nia di fontechiare­si all’estero tra i quali non pochi han­no rag­giun­to posizioni preminenti.

Forse per questo fat­to a un fontechiarese, Pasquale Bianchi, è venu­ta in mente l’idea di inter­es­sar­si, oltre tut­to, anche con un gior­nale, agli emi­grati  ai loro prob­le­mi, pro­muoven­do la pub­bli­cazione di una riv­ista, L’eco del Lazio, che è forse l’unico gior­nale al mon­do che può avvaler­si di una sede redazionale estrema­mente lon­tana dai clam­ori del modo. Ce la indi­cano come non molto dis­tante dal paese. E, invece, per rag­giunger­la occorre mezz’ora buona di macchi­na per un stra­da, asfal­ta­ta sino a un cer­to pun­to, che sale sino agli otto­cen­to metri dai 375 di Fontechiari. Ma vale la pena. Se non altro per la squisi­ta corte­sia del padrone di casa che si fa in quat­tro per met­ter­ti a tuo agio e fat­ti gustare un vinel­lo di sua pro­duzione, farebbe la gioia di Lui­gi Veronel­li, men­tre nat­u­ral­mente ti illus­tra la sua inizia­ti­va edi­to­ri­ale, gius­ti­f­i­can­do con la pace e la tran­quil­lità del luo­go la orig­i­nale sede del giornale.

E il fat­to nuo­vo di Fontechiari. Per il resto, per­ché ripetersi.

© Costan­ti­no Jadeco­la (G.C.), 1971.

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