9 / LA NOSTRA GUERRA / STILLICIDIO DI BOMBE. “ALLEATE”.
Roccasecca. La stazione e zone circostanti dopo il bombardamento.
Anche ad ottobre è quasi uno stillicidio per le bombe che cadono un po’ dappertutto. Ceprano, per via dei suoi due ponti sul Liri, è uno dei bersagli più appetitosi. C’è, in tal senso, una dettagliata testimonianza nel diario del locale convento dei Carmelitani redatto da padre Angelico D’Arpinoil quale segnala un primo bombardamento il 5 ottobre. Ma, più che un bombardamento, è un duello. Egli scrive, infatti, che «verso le ore 8,30 sul cielo del nostro Convento si è svolto un combattimento aereo tra aeroplani Inglesi ed alcuni ‘caccia’ Germanici. È stato constatato che i bombardieri Inglesi hanno gettato in questa zona nove bombe. Una di esse è caduta a circa quattro metri a sinistra di chi scende la nuova strada. Sul posto ha escavato una fossa di circa 4 metri di diametro stroncando molti alberi di quercia, qualche pino e spezzando i fili della luce elettrica. Al nostro fabbricato ha provocato la rottura di quasi tutti i vetri artistici della Chiesa; lo sfondamento della Bussola. Nell’abitazione ha prodotto la rottura della massima parte dei vetri delle finestre; ha sconquassato una diecina di porte delle camere; ha danneggiato quasi tutta la rete metallica dei corridoi e camere dello studentato; ha lesionato diverse pareti di camere sia del secondo che dell’ultimo piano. In portineria, oltre ad aver sconquassato la parete che divide la clausura ha fatto cadere un bassorilievo della B. V. del Carmine situato sulla stessa porta: è andato in frantumi. La parete in parola dovrà essere demolita perché pericolante. Anche il garage sito nel vicino nodo stradale è andato distrutto.»
Il 14, un attacco aereo alleato sulla stazione di Anagni uccide due donne che stanno seminando in un terreno vicino alla ferrovia e provoca una decina di feriti; dieci giorni dopo, alla stazione di Sgurgola va in fumo un deposito di benzina.
Ad Ausonia, il 18, i tedeschi ordinano, tempo tre giorni, lo sgombero del paese. Ma non passano nemmeno ventiquattro ore che gli alleati si fanno vivi con un bombardamento che consiglia ai più di anticipare l’esodo.
Suor Maria Natività Tarquini, una religiosa che si trova al santuario della Madonna del Piano, non lontano da Ausonia, annota nel suo diario: «A mezzanotte, un apparecchio che da tempo ci volteggia sulla testa, sgancia: vetri in frantumi, calcinacci ovunque, spavento enorme. Ci rifugiamo terrorizzate in portineria.
«Il mattino sapremo dei primi due morti e 2 feriti. È il primo bombardamento; d’ora in poi ne avremo quasi ogni giorno». Le vittime sono Maria De Simone, 48 anni, e Antonia Di Nardo, 33, uccise in contrada Panserta.
Quello stesso giorno, è anche la volta di Alvito quando, racconta Luciano Santoro, «fu centrato il campanile della Chiesa dell’Oratorio e numerose caddero le bombe nella campagna circostante.»
A Frosinone, racconta padre Francesco Tatarelli, che «la notte del 22 ottobre, verso le ore tre, alcune bombe di grosso calibro caddero nell’orto dell’Avv. Gizzi presso la Via Quintino Sella.
«La casa del Sig. Calicchia Antonio, che si affacciava sull’orto, ne fu sconquassata. Lo spostamento d’aria sfondò le finestre per le quali penetrarono nella camera a pianterreno, ove la famiglia dormiva, schegge enormi. Al padre fu amputata di netto la gamba sinistra; la figlia Severina ebbe il petto trapassato da parte a parte; mentre la mamma rimase illesa. La povera donna, impazzita dal dolore e dallo spavento, corse alla caserma per chiedere aiuto ai tedeschi che trasportarono i feriti ad Alatri. Corse anche D. Luigi Minottiper portare i conforti spirituali. Purtroppo ogni aiuto fu inutile: Calicchia Antonio morì dissanguato durante il tragitto; la figlia Severina si estinse il giorno seguente all’ospedale di Alatri.»
Prima che il mese finisca, Frosinone viene bombardata altre due volte dagli alleati: alle 11,30 del 25 ottobre l’obiettivo è la stazione ferroviaria. Il bilancio, secondo quanto riferisce padre Tatarelli, è di una trentina di morti e di molti danni alle abitazioni civili. Nel bombardamento del 30, invece, «tre ondate di aerei anglo-americani» colpiscono il centro della città e “l’osteria De Matthaeis”», provocando il crollo della scuola elementare e quattro, forse cinque morti.
Ad Isola del Liri, anche qui ci sono un paio di ponti sul Liri, «la previsione del pericolo diventa certezza», scrive Vincenzina Pinelli, la notte del 23 ottobre, quando un fragore orrendo ci fa sobbalzare sul letto. L’aviazione alleata ha sganciato su Isola tre bombe: una ha colpito l’ex feltrificio Pisani vicino la Cascata, una è caduta nel bosco alle spalle di Villa Mangoni e la terza, tagliando di traverso una cantonata dell’attuale palazzo della farmacia centrale, si è conficcata sotto terra senza esplodere. Tutti gli abitanti si riversano terrorizzati nelle strade e molti, a turno, sostano ignari a curiosare intorno a quella piccola voragine scavata nel centro del paese. Poi ognuno rientra in casa; solo gli inquilini del palazzo colpito e i dirimpettai si rifugiano altrove.
«Dopo circa due ore dal primo scoppio, la bomba sotterranea esplode con tutta la sua potenza. I fabbricati del centro storico hanno un tremendo sussulto, i vetri cadono in frantumi e dai portoni, allora sempre aperti, irrompe una polvere fitta che invade tutto il vano delle scale. L’intero caseggiato precedentemente ferito e una parte di quello di fronte si sono trasformati in un cumulo di macerie che ostruiscono il passaggio nel Corso Roma; le pietre sono state scaraventate in un raggio di cento metri e i fili della corrente elettrica sono a terra. Per fortuna non si contano vittime; ma se l’esplosione fosse avvenuta un’ora prima avrebbe decimato buona parte della popolazione.
«Il paese passa il resto della notte insonne e allo spuntar del giorno avviene l’esodo in massa. Solo le famiglie brutalmente private delle loro case sono lì, su quell’ammasso informe di sassi e detriti, a scavare con il pianto nel cuore nel tentativo di recuperare un oggetto, una memoria, una speranza.
«E mentre alcuni aerei volteggiano nell’aria rincorrendosi e mitragliandosi, gli Isolani imboccano sentieri e mulattiere portandosi dietro poche masserizie, su una bicicletta, su un carretto o sul dorso di un asino.»
Arduino Carboneaggiunge che anche «le invetriate della chiesa di S. Lorenzo subirono danni. Il parroco cercò di mettere in salvo quadri, arredi e suppellettili, murandoli nella cappellina della Madonna di Loreto e nella vecchia tomba che si apriva al di sotto del pavimento della cappella della Natività.»
Ma la chiesa resta aperta al culto e, scrive Vincenzina Pinelli, «serve d’incoraggiamento a quelle persone che, dopo i primi spaventi e la parvenza di una certa calma, sono tornate in paese. Ma è solo un intervallo.»
Roccasecca. ‘Scoppia’ la stazione.
Il pomeriggio del 23 ottobre l’aviazione alleata bombarda la stazione di Roccasecca. Quella mattina aerei alleati avevano lanciato degli spezzoni incendiari sulla stazione ma senza provocare danni. È nel pomeriggio, invece, che accade il finimondo.
Secondo alcuni il vero obiettivo è il ponte sul fiume Melfa. Ma non si capisce bene se quello della ferrovia o quello della Casilina; secondo altri, invece, è esclusivamente la stazione. Sta di fatto che sono circa le 16,30 quando gli aerei, che provengono da dietro monte Cairo, ad ondate successive incominciano a mitragliare ed a bombardare.
In stazione c’è un convoglio carico di paglia accanto al quale ne è stato “parcheggiato” uno carico di munizioni arrivato in mattinata. Dal convoglio carico di paglia, per quanto i soldati tedeschi si diano da fare per spostarlo, le fiamme si estendono a quello carico di munizioni. Che prende fuoco ed esplode.
Testimonia Quirino Giannitelli: «L’edificio della stazione venne letteralmente rovesciato e pezzi di vagone finirono a quasi due chilometri di distanza dal luogo dell’esplosione.»
Pasqualino Riccardiscrive: «Si alzò nel cielo una gigantesca palla di fuoco emanante un calore infernale mentre una pioggia di pezzi di vagoni, di spezzoni di rotaie, di proiettili, s’irradiò sinistramente in un vasto raggio nel territorio circostante.»
Don Crescenzo Marsella, parroco di Settefrati, annota: «Colonne di denso fumo si elevano al cielo in direzione di Roccasecca, si sentono detonazioni formidabili. Un treno di proiettili, come si seppe dopo, scoppiava in quella stazione.»
Altre testimonianze sono state raccolte daMario Canciani, che ha curato una specifica pubblicazione. Tra le altre, riprendiamo quella di Antonio Evangelistache aveva allora 15 anni: «Era un pomeriggio di sole. Con i miei familiari e alcuni amici di sventura eravamo rifugiati sulle montagne di Colle S. Magno, e precisamente sul monte Occhio. Poiché il pomeriggio di quel giorno era assolato, eravamo seduti tra il sole e l’ombra intenti a toglierci di dosso i pidocchi, allora molto diffusi. Ad un tratto, aerei americani ci sorvolarono sganciando bombe che sembravano venirci addosso e, invece, (…) cadevano a grappoli sulla Stazione di Roccasecca. Tra uno scoppio e l’altro si determinò un incendio di vasta portata dal quale si elevava una lingua di fuoco che, salendo in alto, assumeva la forma di un grande fungo che si ingrandiva sempre di più: ad un tratto un grande boato. Ricordo che lo spostamento d’aria mi scaraventò contro un muro a secco che si trovava alle mie spalle a qualche metro.»
Tommaso Di Cioccio, capo stazione dall’ultimo dicembre, afferma che lo scalo di Roccasecca era diventato un vero e proprio deposito di munizioni, dove ogni notte arrivavano treni carichi di armi: «alcuni venivano fermati sui tredici binari che facevano parte della stazione e molti venivano messi sulla linea Roccasecca-Sora. Di quel bombardamento del 23 ottobre, Di Cioccio ricorda che «lo scoppio delle munizioni sui carri continuò per due giorni.» Infatti, testimonia Tommaso Vano, «il terzo giorno, quando non vi era più pericolo di scoppi, mio padre mi pregò di andare a casa, situata quasi di fronte alla stazione, per vedere se lo spostamento d’aria aveva procurato danni. (…) Arrivato al Casale ‘Bagano’ cominciai a guardare avanti, ma la stazione non la vedevo più: c’erano carri ferroviari ormai ridotti ad un ammasso di ferro, contorti ed ammucchiati per tutta la campagna circostante. (…) Non esisteva più un muro, era un paesaggio lunare. Non riuscii a localizzare nemmeno più il luogo della mia casa.»
Le vittime? Nessuno ha avuto il tempo di contarle ma sicuramente non saranno state solo i due tedeschi, Tommaso Fraioli e l’ostetrica Maria Gargiulo- quest’ultima, però, rimasta gravemente ferita — di cui rende testimonianza Tommaso Di Cioccio.
(9, continua)
© Costantino Jadecola, 1993.