11 / LA NOSTRA GUERRA / ATINA, BERSAGLIO PRIVILEGIATO.
Atina. Macerie in via San Nicola.
Per tre volte, nello spazio di sette giorni (5, 9 e 12 novembre), Atina è bersaglio delle bombe alleate. Del resto, anche ad Atina c’è un ponte, quello sul Melfa, che agli alleati non garba molto. Quando accade la prima volta, solo all’incirca le 10,30 del mattino. Ricorda Michele Tamburrini: «All’improvviso sentimmo il rombo degli aerei ma, essendo adusi al loro passaggio, non pensavamo che fossero destinati al bombardamento di Atina». Sbucano dalla Torretta di Cancello e sono ancora lontani dal centro urbano quando incominciano a bombardare: quasi un avvertimento; appena il tempo, comunque, per consentire, a chi è nella possibilità di farlo, di cercarsi un rifugio. Una grossa bomba, forse la più grande di quelle che vengono sganciate, colpisce in pieno l’asilo infantile “Beatrice”, una istituzione a suo tempo voluta dal senatore Alfonso Visocchi e dalla moglie Angelina Vecchiarelli, polverizzando tutto il lato destro dell’edificio fino al pianterreno. Riferisce Pietro Vassalli: «Erano ricoverate nell’Asilo quindici suore, le quali, dopo le pratiche religiose, attendevano alle proprie mansioni. La superiora, suora Donaziana Bianchi, ottantenne, ancora terrorizzata, volle subito assicurarsi della sorte delle consorelle. Pallida, tremante, coadiuvata dalla decana suor Nicodema, constatò che poche rispondevano all’appello: se ne presentarono alcune con abiti laceri ed ustionate ed ancora spaventate. Dal dott. Goffredo Massache era accorso, furono apprestate le prime cure a tre suore gravemente ferite che giacevano a terra, insanguinate, prive di sensi. Di queste, suora Teresa Costantiniera orribilmente ferita alla mascella inferiore; suora Maria Rosaria, sfollata da Santa Maria C.V., ricevuti i Sacramenti, fu inviata moribonda all’Ospedale di Sora. Dopo intenso e faticoso lavoro furono estratti dalle macerie i cadaveri deformati di due povere suore, Adalberta Capoccie Giustina Ferrante, sfollate dall’Asilo ‘Duchessa d’Aosta’ di Fuorigrotta, Napoli; affezionate compagne in vita, unite nella morte.»
I danni provocati dal bombardamento non sono naturalmente circoscritti al solo asilo infantile: ne subiscono, di gravi, soprattutto le abitazioni circostanti, alcune delle quali sono rese inabitabili.
Saltano i pali del telegrafo e quelli della corrente elettrica e salta anche l’acquedotto con il quale l’acqua di San Biagio Saracinisco arrivava ad Atina costruito appena otto anni prima dal podestà Luigi Marrazza. Così, commenta amaramente Pietro Vassalli, «Atina rimase, nello stesso giorno, senza luce e senza acqua.»
Ma non ci si è ancora ripresi da quello spavento che arrivano altre bombe. Ne è testimoneLuigi Giuseppe Bastianelli: «Eravamo saliti su a casa nostra io, mia moglie e mia madre, quel mattino del 9 novembre, per fare alcune cosette, quando all’improvviso comparve su Atina una squadriglia di caccia bombardieri che, seguendo il capo pattuglia, virò verso la valle di Cancello ed in picchiata cominciò a sganciare bombe: da notare che al Pozzello, nella villa di proprietà Visocchi, non lontano da casa mia, si era installato il comando tedesco. Ci rannicchiammo in un angolo ed un fischio assordante come una sirena si fece sentire: era una bomba, scoppiata a ridosso della strada che da Atina porta a Capodichina, a pochi metri da casa. Su questa si riversò del materiale, che mandò in frantumi il tetto. Cercammo di fuggire in mezzo ad una nuvola di fumo e di polvere, e girandomi, ad un tratto vidi del sangue sulla camicetta di mia moglie: era ferita alla testa, sia pure leggermente, e con lei anch’io avevo riportato la stessa ferita, forse provocata da cocci di tegole piovuteci in testa; mia madre, invece, era rimasta incolume poiché si era infilata sotto al suo lettino.»
Passano appena tre giorni ed Atina è di nuovo bersaglio degli aerei alleati nel corso di due incursioni intervallate tra loro di alcune ore. Quella mattina, racconta sempre Pietro Vassalli, «il cielo era misto di sereno e di grandi nuvole abbaglianti, l’aria di un tepore primaverile. Verso le undici apparirono nel cielo che sovrasta la città, due ricognitori alleati che fecero alcune segnalazioni fumogene; poco dopo giunsero alcuni apparecchi da bombardamento. Io mi trovavo nel mio studio quando i familiari, gridando, mi dissero di scendere subito nel ricovero; non feci in tempo perché il bombardamento era già incominciato.
«Così fui costretto a fermarmi a metà via, sotto un’arco tra il primo ed il secondo piano, dietro una porta, come se questa e l’arco avessero potuto preservarmi dal pericolo. Mi accovacciai tra i gradini della scalinata ed in tale posizione mi trovai tra gli scoppi delle bombe sganciatemi, davanti, a via Terrappio e quelle sganciate a tergo, a via del Vento. Ero solo, ammutolito, pervaso da grande spavento; il cuore mi batteva forte, la terra tremava, come scossa da un violento terremoto. Sentivo, atterrito, le formidabili esplosioni, il crollo dei fabbricati, il cadere delle pietre già volate in aria, il fragore delle tegole e dei vetri infranti.»
Sono due formazioni per un totale di diciotto aerei quelle che, per quindici interminabili minuti, vomitano tutto il loro micidiale carico: tre bombe distruggono alcuni edifici tra via San Carlo e via Terrappio, altre cadono tra via del Vento e largo Trastevere, dove vengono distrutti due fabbricati di proprietà dell’ing. Guglielmo Visocchi, altre ancora in via Planco presso la porta di Santa Maria. Subisce gravi danni anche la piccola chiesa di Sant’Antonio.
La seconda incursione avviene nel pomeriggio. Altre, numerose bombe cadono sul centro urbano, ridotto ormai ad un ammasso di macerie. Ma anche la periferia non viene risparmiata: da Cancello a Fontana l’Assecca, da Capodichino a contrada Caira, dove s’incendia e poi salta in aria un deposito di munizioni.
Dopo questo secondo, violento bombardamento, anche chi, nonostante quanto è già accaduto, ha resistito nella sua permanenza ad Atina, semmai deciso a non abbandonarla mai, è costretto a fare i bagagli.
Scrive Pietro Vassalli: «raccolte frettolosamente poche indispensabili masserizie fuggirono atterriti verso le colline di Melfi, di Mollarino, di Valle Giordana e sul monte Prato.»
Nella dolorosa e tragica situazione in cui Atina viene a trovarsi, emerge la figura di monsignor Arturo Di Cosmo, che è il parroco della cattedrale, il quale, riferisce Vassalli, «aprì al pubblico la casa parrocchiale, ove era un buon ricovero; consolava gli afflitti, soccorreva i miseri e leniva tante sventure. Sprezzante dei pericoli, accorreva dove lo chiamava il suo ministero.»
Anche nel mese di novembre l’aviazione alleata non resta inoperosa. Anzi. Non solo intensifica i suoi interventi ma non esita a ritornare dove già ha provocato vittime, dolori e distruzioni.
Oltre Atina, è anche il caso di Pontecorvo che, dopo la violentissima incursione del giorno di tutti i Santi, è oggetto di ulteriori attenzioni il giorno 15.
Ma andiamo con ordine. Il giorno dei morti, il 2 di novembre, è San Biagio Saracinisco il bersaglio dell’aviazione alleata. La sua ubicazione sulla statale della Vandra, ovvero la Roccasecca — Isernia, e l’immediata vicinanza alle due linee difensive tedesche, la “Reinhard” e la “Gustav”, che da quelle parti “viaggiano” quasi affiancate, costituiscono molto di più di un valido motivo per giustificare quella azione.
Scrive Italo Fortuna che «le bombe fecero saltare il ponte di Cerasuolo ed i tedeschi si diedero da fare per reperire e rastrellare i civili italiani per il lavoro di trasbordo, nel tratto di strada interrotto, delle munizioni e degli altri rifornimenti destinati alle truppe combattenti sulla linea di difesa già ricordata.»
Poi, l’11 novembre, arrivano le prime granate. Riferisce sempre Fortuna che «a Valle Trotta, proprio sotto le Mainarde, molti membri di una famiglia furono colpiti dalle schegge di una granata e feriti. A Pratola, invece, un ragazzo, Pomponio Francesco, fu gravemente ferito da un’altra cannonata e morì poco dopo.»
Anche stavolta è un lunedì, cioè il 15 novembre, quando gli alleati tornano a bombardare Pontecorvo. Don Tommaso De Bernardis annota: «Il Palazzo di Città, gioiello di arte romanica, crolla sotto le raffiche violente che scendono dal cielo in un panorama straziante da visione apocalittica; la Chiesa ‘canonica’ dell’Immacolata, sacrario di pitture e di tradizione, il Palazzo Episcopale, i maggiori Edifici Pubblici e gli Istituti Scolastici vengono presi di mira; gli ultimi solai, il resto di altre abitazioni ancora illese, gli alberi e persino i luoghi di rifugio sono raggiunti da bombe di alta efficacia con la collaborazione di indomite bocche di fuoco; aumenta il cumulo delle rovine; sale il numero delle vittime.» Ma anche stavolta il ponte curvo sul Liri non viene nemmeno scalfito. E, probabilmente, era il vero ed unico obiettivo di quel bombardamento.
L’incursione su Ferentino del 12 novembre non ha, invece, alcuna conseguenza negativa per le persone: gli aerei mitragliano e lanciano alcuni spezzoni provocando, comunque, panico e tanta paura.
Anche nel cielo di Anagni compaiono, di tanto in tanto, aerei alleati e padre Igino Basiliciè sempre puntuale ad annotare nel suo diario tutto ciò che accade. Cosicché sappiamo che il 4 novembre «tra i tedeschi che occupano la zona di Preturi ci sono morti e feriti a causa di una incursione di quattro aerei inglesi, che il giorno 11 «un aereo inglese viene abbattuto sulla Casilina» e che il 26, nel mitragliamento e bombardamento della stazione di Sgurgola con 5 morti (uno di Anagni), 7 feriti e una casa crollata.» Sempre a Sgurgola, ma esattamente dieci giorni prima, alcune fortezze volanti, intercettate ed in difficoltà, sono costrette a sganciare il loro carico di bombe sul paese. Colpiscono soprattutto il rione San Giovanni dove provocano gravi danni, morti e feriti.
Come il ponte sul Liri a Pontecorvo, un altro ponte che ossessiona gli alleati è quello sul Melfa, giù ad Atina. Verso la fine di novembre, racconta Giorgio Gargaro, «quasi tutti i giorni squadriglie di bombardieri solcavano il cielo di Villa Latina e picchiavano sul ponte Melfa ma, non essendo precisi, molte bombe cadevano in vari punti della zona, con grande paura degli abitanti. I tedeschi avevano una contraerea potentissima ed al primo rombo degli aerei da bombardamento iniziavano un fuoco di sbarramento.»
Un giorno viene colpito un quadrimotore che precipita in località Bianchi, al bivio di Picinisco. Il pilota, che è riuscito a lanciarsi col paracadute, finisce dapprima su una grossa quercia e quindi a terra. Morto. Racconta Gargaro: «Molti furono i curiosi che andarono a vedere ma i tedeschi li fecero allontanare e fu una fortuna poiché esplosero delle bombe che ferirono due soldati tedeschi.»
(11,continua)
© Costantino Jadecola, 1993.