VICALVI. LA PENSIONE E NIENTE PIU’

Anche Vicalvi è uno di quei paesi che scivola dalla collina. La gente lascia le case arroccate intorno al Castello, sul cocuzzolo di una propaggine del monte Marrone, e si sposta sulla “Sferracavalli”, la strada principale, più per antonomasia che per altro, della Valle di Comino. Solo che qui a Vicalvi, a differenza di quanto è accaduto e accade tuttora in altri Comuni della Provincia urbanisticamente separatisi nell’immediato dopoguerra, non vi è lotta o contesa fra quelli di sopra e quelli di sotto. Si vive nella concordia, una concordia che, forse, ha la sua origine in una lontana discordia. Ma è certamente quella concordia che accomuna gente di una stessa casta che non ha nulla da invidiare agli altri perché gli altri non hanno niente da invidiare a loro.
Il caso di Vicalvi, probabilmente, che in questo quarto di secolo ha subito dapprima una “spoliazione” di ben 420 ettari di terra a beneficio della vicina Casalvieri, e poi la perdita di Posta Fibreno, reso comune autonomo nel 1957, con il contorno ovvio e scontato di accese polemiche, oggi, comunque, del tutto sopite dal ben più grave problema della sopravvivenza che, nella stesa misura in cui interessa Vicalvi, tocca anche Casalvieri e Posta Fibreno come, del resto, tutti gli altri Comuni della Valle.
Ormai, qui come altrove, l’ettaro di terra in più o l’ettaro di terra in meno non dice granché. Quello che c’è basta ed avanza per cui, sia il fatto della “spoliazione” che quello del “divorzio”, sono eventi del tutto rientrati e citati solo a puro titolo di cronaca.
Incontro il sindaco, Pasquale Coletti, sulla strada che porta a Vicalvi “di sopra”. È un uomo che ha superato la sessantina e che da cinque lustri almeno è fra i protagonisti della vita pubblica locale: dapprima, fino al 1957, anno della scissione con Posta, come rappresentante della minoranza del partito vicalvese in seno al Consiglio comunale retto dai postesi; poi, per due anni, come Commissario prefettizio; quindi dal 1959 ad oggi, ininterrottamente, come primo cittadino. Da questa pluriennale partecipazione alla vita pubblica gli è necessariamente derivata una esperienza tale da fargli ponderare e valutare ogni situazione senza euforia e senza eufemismi.
Il discorso verte inizialmente sulle solite cose: strade, illuminazione pubblica, rete idrica e fognante, bilancio e istruzione. Ma è chiaramente comprensibile che il Sindaco cerchi ad ogni occasione di portare il discorso su altri problemi, più vasti. Quelli della Valle, insomma. È sua opinione, infatti, che solo da una serie sistemazione della Valle, che solo creando fonti di lavoro nella Valle, si potrà ovviare al problema più che assilla oggi quelli della Valle di Comino: l’emigrazione.
Anche Vicalvi ha i suoi emigrati e la strada vicalvese dell’emigrazione porta in America e in Canada; quella interna, invece, arriva alla campagna romana e pontina. Una volta la percorrevano solo gli uomini, che andavano e tornavano con una certa frequenza; ma poi cominciarono a portarsi dietro le donne e i figli cosicché, famiglia dopo famiglia, anche Vicalvi ha perso in questi ultimi anni i suoi tre, quattrocento abitanti.
Oggi i vicalvesi non arrivano a settecento ed anche se tutte le case hanno i servizi igienici e la luce elettrica, se le strade, bene o male, sono quasi tutte asfaltate, se la rete idrica e fognante è a buon punto, se, insomma, ci cono tutti gli elementi per dire che, in sostanza, le comodità non mancano, manca, invece, e la sua mancanza è pesante, una fonte di lavoro.
Anche l’agricoltura è praticamente finita per cui viene spontaneo chiedere al Sindaco di che vivano i vicalvesi. «Con la pensione, maggiormente». Costituirebbe, infatti, il sessanta per cento della popolazione il numero dei pensionati mentre la rimanente percentuale di abitanti sarebbe prevalentemente composta da ragazzi ancora in obbligo con la scuola (a Vicalvi ci sono solo le elementari, con una sessantina di alunni; per frequentare la media occorre andare a Sora o ad Alvito). Ma, quando la scuola è terminata, anche questi ragazzi spariscono, emigrano. Dal che è facilmente deducibile che, sempre se non interverranno fattori nuovi e vitali, nel volgere di non molti anni la popolazione di Vicalvi risulterà ulteriormente diminuita.
Fattori nuovi e vitali che, nella fattispecie, potrebbero essere la Fiat, giù a Piedimonte, e la promessa superstrada Sora-Atina-Cassino. Ma il Sindaco è in merito scettico. Uno scetticismo che gli deriva dalla provata esperienza nella vita pubblica e da tante, troppe promesse ricevute e poi immancabilmente non mantenute.
Ricorda allora di certe fabbriche che si sarebbero dovute aprire a Sora e di certi posti che sarebbero dovuti spettare ai giovani del suo paese e a quelli dei paesi vicini. Ed è per lo meno categorico nell’affermare che lui alla superstrada ci crederà solo quando la vedrà in funzione. D’altro canto, non ripone eccessive speranze nella sospirata nuova arteria che dovrebbe rompere il secolare isolamento della Valle. Per lui occorre solo creare fonti di lavoro, altrimenti la Sora-Atina-Cassino non potrà che essere un nuovo, buon motivo per portare via la gente dalla Valle e non certo per portarne. Se qualche vicalvese avrà la ventura di entrare in Fiat, molto probabilmente preferirà vivere presso l’industria piuttosto che sobbarcarsi una novantina di chilometri al giorno. Per cui l’emigrazione continuerà nello stesso modo in cui la Valle di Comino continuerà a sperare. Il discorso non fa una grinza.
Ora, intanto, per tornare a Vicalvi, v’è da dire del fervore d’iniziative in vista della ricorrenza della Madonna del Rosario, il 3 ottobre prossimo. È una festa che ogni anno richiama centinaia di vicalvesi sparsi per il mondo e che, per l’attuale edizione, ricorrendo in quarto centenario, si annuncia particolarmente solenne per cui è già al lavoro un apposito comitato presieduto dal Sindaco e dal Parroco, Padre Gino Tomasi.
Ho gettato uno sguardo sui precisi rendiconti degli scorsi anni. Non c’è che dire. Ma se tanto i vicalvesi offrono per contribuire alla riuscita della festa, un motivo, in fondo c’è: quello di creare il presupposto per tornare a respirare un boccata d’aria della terra natia.
© Costantino Jadecola, 1971.