CASALATTICO. IL TERZO MONDO DIETRO L’ANGOLO

La campana suona a martello. Il paese, adagiato su una collina che vien fuori dai contrafforti del monte Cairo, a ridosso della sponda sinistra del Melfa, sembra senza vita. C’è il tragico presupposto che l’Ente Provinciale per il Turismo possa sfruttare l’occasione ed aggiungere nelle sue inserzioni pubblicitarie qualcosa di nuovo e di originale da offrire al turista che capita in Ciociaria: un paese morto. Casalattico, appunto.
Cinquecento fantasmi vi si muovono dentro consapevoli della drammatica situazione del loro centro. Rassegnati e sfiduciati non credono più a niente, più a nessuno. E sono scettici quando si sentono dire che sei venuto per vedere, per sapere e, quindi, per riferire. Ormai è loro piena convinzione che il nome di Casalattico sia stato definitivamente cancellato dalla carta geografica di chi governa a Roma e a Frosinone.
In realtà, non hanno torto.
Qui, se qualcosa può dirti che siamo nell’anno del Signore 1971, questo qualcosa è rappresentato solo dalle poche antenne televisive che spuntano dai tetti delle vecchie case che fanno il paese. Tutto il resto è antico. Da “Sabato del villaggio”.
Fra il centro, Casalattico, e le frazioni, Monforte, Montattico, Macchia e Sant’Andrea, arriviamo a mala pena a seicento persone. Un dato approssimativo ma molto vicino alla realtà. Estremamente realistico, invece, perché confortato da dati ufficiali, il quadro del decennio fra il 1951 e il 1961: 1.124 (millecentoventiquattro) abitanti alla prima data; 660 (seicentosessanta) alla seconda. Il 41,3 per cento della popolazione, soprattutto giovani, volatizzatasi nell’arco di due lustri. Proprio quelli introduttivi al “boom” economico nazionale. Una variazione negativa impressionante anche rispetto agli altri centri della provincia dove le cose non vanno poi tanto meglio. Un primato. L’unico che possa vantare Casalattico. Da qui, infatti, sono partiti in massa, a scaglioni, sulla pista di chi li aveva preceduti nell’esodo e che, tornando in paese, aveva lasciato intendere che fuori dai patri confini le cose andavano meglio. E sono partiti. Preferibilmente verso l’Irlanda e l’Inghilterra. A Dublino i casalatticesi (o casalcini) sono oggi almeno 1,200; a Londra, invece, basta il solo Charles Forte a possedere mezza città. Tenaci ed intraprendenti, vendendo gelati e patate a irlandesi ed inglesi nei tradizionali “milk bar” ha fatto fortuna da tanto da permettersi il lusso, i più almeno, di costruirsi graziose vilette che li ospitano nei frequenti ritorni.
Sono infatti dei casalatticesi trapiantati a Londra e a Dublino le poche nuove costruzioni che incontri salendo al paese. Quelle vecchie, invece, sono dei casalatticesi rimasti qui. Le stesse di trenta, quaranta, cinquanta anni fa, in buona parte prive persino dei più indispensabili servizi igienici. D’altro canto, la rete idrica e fognante è pressoché inesistente ed anche se sono stati stanziati da tempo un paio di centinaia di milioni, di concreto, sinora, non si è visto niente. Cosicché per soddisfare i necessari bisogni, occorre andare nei campi, sotto le stelle. « Dietro il muro», come dice il parroco, don Vincenzo Gulia.
Chi è rimasto in paese tira avanti con la terra, alla buona. Senza accampare ulteriori pretese. Del resto, termini come industrializzazione e programmazione sono addirittura ignorati. Siamo, non dimentichiamolo, nella Valle di Comino e qui la situazione è mille volte più grave di quella che è possibile riscontrare negli altri comuni della Valle. In estrema analisi, Casalattico è il simbolo di questa terra. Un simbolo che dovrebbe far meditare chi governa e pensa che ogni risoluzione sia possibile solo impiantando una industria.
A Casalattico, per fare veramente qualcosa, occorre partire da zero e recuperare almeno mezzo secolo. Non è errato parlare di “terzo mondo”. Il parroco è d’accordo, anche se sulla porta della Chiesa (XVIII-XIX sec.) – che conserva una tela di Taddeo Kunz (1731–1793) ed una della scuola di Fabrizio Santafede (1560–1628 ca) – campeggiano dei manifesti che invitano a fare offerte per quell’altro “terzo mondo”.
La strada principale di Casalattico, che attraversa il paese, non arriva ai due metri di larghezza. Poi, tanti vicoletti che si diramano a destra e a sinistra, sui fianchi della collina. La piazza dove mi fermo a parlare con il Sindaco, Piazza Scrima, non supera i trenta metri quadrati. Un’altra, quella prospiciente la Chiesa, è di poco più larga, ma non contiene più di sei, sette macchine. L’illuminazione pubblica può contare solo su una decine di lampadine.
Che dire di più?
Col Sindaco il discorso si sposta poi sulla situazione scolastica e culturale, a un certo livello, insomma, di Casalattico. Ma anche in merito il Sindaco ha poco da dire. La scuola elementare c’è. Ma c’era anche cento anni or sono. Poi, chi vuol proseguire, deve arrangiarsi nei paesi vicini.
- E di professionisti?, chiedo al Sindaco.
- «Due maestri!», risponde. «Ma senza posto», aggiunge. Ed un posto, a Casalattico, non c’è nemmeno per il medico condotto, per l’ostetrica, per il veterinario. All’occorrenza vengono da Casalvieri, comune con il quale i servizi sono consorziati. Anche il Segretario comunale viene da Casalvieri e sempre a Casalvieri bisogna andare se necessita una medicina.
Di negozi neanche l’ombra. Solo un piccolo emporio. Ma se vuoi un pezzo di pane, devi prenotarlo.
Così è. Ma se pensate che abbia esagerato, salire a Casalattico non è poi un’impresa. Oltretutto qui la natura si è divertita a mettere quanto di meglio fosse in proprio possesso. Ed una gita a Casalattico non sarebbe una cattiva idea. Specie per i politicanti nostrani che, muniti di autisti come sono, non avvertirebbero nemmeno i fastidi della guida per la tortuosa strada che dalla “Sferracavalli” porta al paese. Il che, per loro, tutto sommato, sarebbe estremamente istruttivo. E, se hanno quella volontà che dicono di avere, la buona occasione per interessarsi, più che a quell’altro “terzo mondo”, a questo “terzo mondo”.
© Costantino Jadecola, 1971.