GIOVANNI JACOBUCCI ESTROSO ARCHITETTO DI SUPINO

Roma gli ha intitolato una scalinata al Gianicolo; Supino, dove nacque il 5 aprile 1895 da Vittorio e Teresa Dennetta, una piazza; Frosinone, invece, dove pure realizzò molte opere, tra cui il palazzo che ospita l’Amministrazione provinciale e quello della Camera di Commercio, sin qui lo ha ignorato del tutto: si parla di un estroso architetto il cui nome, Giovanni Jacobucci, forse sarà una novità per alcuni; del resto, se qualche anno fa ad onorarne la memoria ed a pubblicizzarne l’opera non ci avesse pensato uno dei figli, l’ingegner Vitaliano, ed un figlio di questi, Giannandrea, anche lui architetto come il nonno, di rammentare l’esistenza di questo artista-artigiano-architetto non sarebbe passato in mente a nessuno.
Va detto, comunque, e per sua stessa ammissione, che a stimolare l’ingegner Vitaliano ad impegnarsi in quella iniziativa furono alcuni studenti universitari della nostra provincia, del corso di laurea in architettura, che avendo scelto come tema della tesi di laurea l’attività professionale di suo padre, si erano rivolti a lui per il reperimento di ulteriori informazioni a riguardo. Richieste che l’ing. Jacobucci riuscì a soddisfare di buon cuore e di buon grado arrivando infine alla conclusione che se negli ambienti universitari c’era questo interesse per l’attività professionale del padre, ebbene, anche lui avrebbe dovuto muoversi in tal senso per rinverdirne la memoria ovvero per proporla a chi di tale memoria non aveva notizia alcuna.
Come prima cosa da farsi, dunque, figlio e nipote pensarono ad una pubblicazione che rendesse finalmente giustizia all’architetto Jacobucci: il compito se lo assunse Giannandrea che, supportato da papà Vitaliano e soprattutto dalla sua memoria storica, realizzò una elegante e raffinata pubblicazione — Giovanni Jacobucci Architetto. Roma, 1996 — certamente non esaustiva dell’argomento ma sufficientemente valida per consentire di poter intraprendere la conoscenza del personaggio e della sua opera anche perché integrata da un considerevole corredo di immagini.
Ma, forse, è il caso di partire dall’inizio. Giovanni Jacobucci architetto non lo è diventato seguendo lo specifico corso di laurea, ché ai suoi tempi non esisteva ancora, ma attraverso un percorso scolastico individuato soprattutto per soddisfare la sua innata passione per l’arte che lo portò, a vent’anni nemmeno, alla frequentazione di noti ambienti artistici della capitale dove era approdato dalla natia Supino dopo aver appreso le prime nozioni di disegno e di decorazione plastica presso l’istituto d’arte “Artigianelli” di Velletri.
Il successivo itinerario scolastico lo vede alunno del R. Museo Artistico Industriale dal quale si licenzia, dopo i cinque anni di corso, con il massimo dei voti ed il diploma in storia dell’arte e decorazione plastica e architettonica. Contestualmente — è il 1921 — acquisisce il diploma di disegno architettonico presso la R. Accademia di Belle Arti, vince il concorso Montiroli di architettura all’accademia di San Luca ed apre uno studio di scultura e di decorazione in via delle Marmorelle, a Roma, naturalmente, che diventerà subito ben noto per le opere che vi si produrranno, in particolare le decorazione e gli ornamenti delle facciate di numerosi edifici della capitale ancora ispirati allo stile liberty.
In quello stesso1921 Giovanni Jacobucci realizzerà la sua opera prima, importante anche per il suo carattere affettivo: il monumento ai caduti della grande guerra a Supino. Richiestogli dal comune e da uno specifico comitato presieduto dallo stesso sindaco, il maresciallo dei Carabinieri Luigi Cerilli, il monumento, in bronzo, riproduce, la figura di un soldato nell’atto di issare la bandiera tricolore sulla vetta appena conquistata. Viene inaugurata, quest’opera, il 22 ottobre 1922 e non sarà l’unica che egli regalerà a Supino: infatti, c’è da mettere in conto una fontana, lo stemma comunale, alcuni vasi ornamentali, l’ampliamento e la sistemazione del cimitero. Del resto, scrive il nipote Giannandrea, «il dialogo tra Giovanni Jacobucci e Supino è rimasto sempre vivo per tutta la sua carriera di architetto che, pur a Roma, si interessò costantemente ai cambiamenti del suo paese natale».
Gli anni a venire sono anni molto intensi per gli impegni tecnici ed artistici; nel 1928, poi, grazie alla legge Calza Bini, ma solo dopo aver superato il relativo concorso, può iscriversi all’ordine nazionale degli architetti anche se lui non è e non sarà mai solo tale facendo sentire nelle opere che realizzerà in questa veste la contestuale presenza dell’artista e dell’artigiano, due aspetti precipui ed innati della sua personalità.
Il suo curriculum intanto si arricchisce sempre più di nuove opere ad alcune delle quali occorre interessarsi, sia pure telegraficamente, o perché di grande importanza o perché riguardanti la nostra provincia.
A parte l’ampliamento e la sistemazione del cimitero di Ceccano (1928) all’architetto Giovanni Jacobucci deve ascriversi, come si è accennato, la paternità del palazzo destinato a sede dell’Amministrazione provinciale di Frosinone e della colonia ciociara di Serapo intitolata ad Alessandro Mussolini (1931); di quella montana di monte Leucio, a Pontecorvo, intitolata a Clementina Bergamaschi, del palazzo della Camera di commercio e di quello d’Igiene e profilassi ancora a Frosinone (1932); dei rinnovati ingressi ad Alatri e a Ceccano, del palazzo dell’Inail e di quello della Cassa mutua sempre a Frosinone (1937) dove poi realizzerà, così come a Pontecorvo (1940 e 1941), l’edificio destinato a Casa della madre e del bambino (Onmi).
A Roma, in questi stessi anni, eseguirà al Verano il monumento dedicato a tre ufficiali caduti durante la presa di Roma del 1870 e, al Gianicolo, dove appunto gli è stata intitolata una scalinata, il monumento ossario ai caduti per Roma del 1849 e del 1870, quello, per intenderci, sulla cui facciata ricorre l’invocazione garibaldina “Roma o morte” e durante la cui realizzazione Jacobucci avrà l’onore di una visita del Duce e di un’altra di Vittorio Emanuele III.
Si chiude così l’attività prebellica dell’architetto di Supino che riprenderà appena dopo la fine delle ostilità che, è il caso di dire, avranno un occhio di riguardo per alcune delle sue opere mentre altre soccomberanno definitivamente (la colonia marina di Serapo, ad esempio) o solo parzialmente, restando tuttavia in balia di se stesse, come la colonia montana di monte Leucio.
Dopo la guerra Jacobucci lega il suo nome ai piani di ricostruzione di alcuni comuni della provincia — Villa Santa Lucia (1946), Frosinone e Sant’Andrea (1948), Arnara (1951) — alla realizzazione degli edifici scolastici di Supino, Villa Santo Stefano e Torrice, dell’asilo infantile di Ferentino, dell’Istituto commerciale professionale di Frosinone, di alcune chiese a Ferentino, Supino e Pontecorvo, dove avrebbe anche curato la ricostruzione del santuario della Madonna delle Grazie e del palazzo vescovile; sempre a Frosinone “firma” il palazzo della Prefettura e quello degli industriali, entrambi nel 1949, e quindi quello che ospita i Carabinieri (1950). La sua attività professionale ovviamente non interessò la sola provincia di origine: realizzò, infatti, opere importanti oltre che a Roma anche a Valmontone, Sabaudia, Lecce, Avezzano, Livorno, Ancona, Marsala, Velletri e via di seguito.
C’è da dire in ultimo, riprendendolo dal libro del nipote Giannandrea, che in lui non può non rilevarsi “la continua dedizione alla professione che, pur adeguandosi ai tempi ed alle correnti dell’epoca, ha costantemente mantenuto attraverso una coerenza nella capacità espressiva e nel disegno, caratteristiche prevalenti della sua attività professionale”.
Giovanni Jacobucci muore nel 1970. Ora che a Frosinone si parla di un completamento della toponomastica cittadina sarebbe il caso di ricordarlo, finalmente, con l’intitolazione di una strada o di una piazza: l’estroso architetto di Supino ben lo merita avendo firmato alcune delle cose migliori presenti nel tessuto urbano del capoluogo.
© Costantino Jadecola, 1997.