AURELIO VITTO, GERARCA DI CASSINO. MA NON SOLO.

A Cassino il personaggio è quasi del tutto sconosciuto e qualcuno tra i pochi che affermano di conoscerlo ha di lui un’idea non sempre molto chiara. Il tutto, se volete, a causa del fatto che ebbe la sventura non solo di vivere durante il ventennio fascista ma anche di occupare importanti incarichi politici e dunque pubblici. La morte, poi, lo colse molto giovane ed a ventennio in corso cosicché non ebbe il tempo per potersi riciclare, ammesso che lo avrebbe fatto, così come, invece, fecero molti altri divenuti in seguito integerrimi antifascisti.
Ma non è per il suo impegno politico, o almeno solo per il suo impegno politico, che il personaggio merita di essere ricordato. Lo merita, specialmente, per essere stato un uomo di cultura e, dunque, un personaggio che avrebbe potuto fare onore a Cassino se certi “rancori” di circostanza non lo avessero oscurato al punto tale da rendere piuttosto difficile, solo alcuni decenni più tardi dal tempo in cui visse, il recupero della sua memoria e delle sue opere.
Lui è Aurelio Vitto che a Cassino, appunto, vide la luce il 24 settembre 1906 da Francesco e da Maria D’Ambrosio e che a Cassino compì i suoi studi prima di approdare alla facoltà di Giurisprudenza presso la R. Università di Napoli. L’avvocato, però, non lo fece mai. Fu, piuttosto, giornalista e, comunque, si impegnò giovanissimo in politica iscrivendosi al partito l’11 maggio 1928.
In una biografia del tempo si legge: «Ispettore provinciale dell’Artigianato ciociaro nel 1930, veniva chiamato, nel settembre dello stesso anno, a dirigere gli uffici della Segreteria politica federale dei Fasci di combattimento di Frosinone, ufficio ricoperto fino all’ottobre del 1932, quando volontariamente chiese di prestare il servizio militare dal quale era stato esentato. Segretario provinciale del G.U.F. (Gioventù Universitaria Fascista) e membro del direttorio Federale (1931–1932), nell’estate del 1931-IX ha iniziato quelle adunate di propaganda che, attuate largamente della direzione del P.N.F. in tutta Italia nell’anno successivo servirono a divulgare tra le folle i principii fondamentali e le conquiste della Rivoluzione.
«Ha tenuto e diretto, tra il 1929 e il 1931, dei Corsi di cultura corporativa al liceo classico di Cassino, alla Casa del Fascio di Frosinone, all’Istituto Tecnico di Sora.
«E’ attualmente (1933, nda) presidente dell’Istituto Fascista di Cultura della Provincia di Frosinone, membro del direttorio dei Fasci, segretario del Fascio di Combattimento di Cassino»[1].
Ma l’incarico più prestigioso ed importante ricoperto fu quello di segretario della federazione provinciale di Frosinone del PNF, incarico che si protrasse per circa sei anni, dal 20 maggio 1934 al 21 gennaio 1940[2], cui si abbinò, ma dall’11 marzo 1939, anche quello di consigliere nazionale.
C’è da supporre che con il 1940, terminata la lunga esperienza di federale, Vitto abbia cessato ogni legame con la vita pubblica, a ciò costretto, evidentemente, dal cagionevole stato di salute, dedicandosi totalmente ai suoi interessi culturali. Datano, infatti, 1940 i suoi ultimi scritti.
Pare, infatti, fosse afflitto da tubercolosi, come si evince anche da uno degli esposti anonimi contro di lui in cui viene definito «un tubercolotico riformato dal servizio militare»[3]. E qualcuno dice che questo suo stato di salute sia stato acuito dal grande dolore provato per l’immatura e tragica scomparsa della sorella Ida, più giovane di lui di un paio di anni, a seguito di un incidente stradale verificatosi il primo novembre 1936 sulla via Casilina in località Fontanelle in comune di Villa Santa Lucia, incidente del quale pare che Vitto si ritenesse moralmente responsabile[4].
Del suo ultimo anno di vita non si ha notizia alcuna, segno che l’acuirsi della malattia non gli consentì nemmeno di dedicarsi ai suoi studi debilitandolo progressivamente sino a quando, appena trentacinquenne, il 31 dicembre 1941, in cristiana rassegnazione passò a miglior vita nella sua casa di Cassino in viale Dante.
Giudicato in un rapporto di polizia «intelligente, colto, onesto, disciplinato, quanto mai attivo»[5] ciò evidentemente contribuì a far si, come talvolta accade, che chi non era dotato di caratteristiche più o meno analoghe, non perse tempo nell’attivare un discredito che calcava la mano sul fatto che Vitto era stato esentato dal servizio militare per via del suo stato di salute, tant’è che, come si è detto, avrebbe poi chiesto di prestarlo volontariamente.
Ma non si trattò dell’unico “capo di imputazione”. Lo si accusava, infatti, di essere «un maniaco, un idolatro, [un] servo»[6]dell’avv. Carlo Bergamaschi di Pontecorvo, fra i più potenti esponenti del fascismo provinciale, né poteva essere esente da attenzione lo “status” della sua famiglia: si diceva, insomma, che la sua carriera politica era di “supporto” all’attività familiare. Vitto, infatti, apparteneva ad una agiata famiglia di Cassino che, per aver acquisito prestigio in campo edilizio, aveva fatto meritare ai suoi componenti l’appellativo di “travaglini”, come dire gente operosa che era riuscita a mettere insieme un patrimonio immobiliare di tutto rispetto tra cui l’immobile sito nel luogo oggi antistante la chiesa di Sant’Antonio in piazza Diamare ma a quel tempo all’incrocio fra viale Dante e via Diaz,[7] dove appunto Vitto mori.
Gli si imputava, tra l’altro, di aver interposto la propria autorità per tutelare il buon nome del padre nelle vicende che coinvolsero la Banca di Cassino presieduta dal comm. Domenico Baccari, vicende dalle quali, però, risultò del tutto estraneo: Francesco Vitto, infatti, scrive il prefetto di Frosinone Francesco Vicedomini in una nota del 14 aprile 1937, «per la probità sempre addimostrata, creandosi dal nulla una certa agiatezza, quale imprenditore di opere pubbliche, per la sua scarsa cultura ed anche perché è uno dei depositanti maggiormente danneggiati e per una somma che oltrepassa le 400.000 lire, è da tutti ritenuto estraneo alle malefatte commesse da altri, nel dissesto della Banca di Cassino»[8].
Ma più che il Vitto politico, in questa sede s’intende ricordare il Vitto uomo di cultura. E, in tale contesto, ricordare la sua vasta attività pubblicistica iniziata nel 1926, quando esordì su Battaglie Fasciste di Firenze, cui fece seguito la collaborazione con i quotidiani Popolo di Roma (1927–1928) e Lavoro Fascista (dal 1929) ed i periodici La Lucerna di Ancona (1928), Vita Nova di Bologna (dal 1926 al 1931), Critica Fascista (dal 1926) e Rassegna del Lazio (dal 1929). Redattore capo di Stampa Fascista a Napoli (1927–1930), nel 1932, a Frosinone fonda e dirige Il Manipolo, “quindicinale politico di combattimento”.
Quanto al resto, deve precisarsi che non è stato per niente facile poter rintracciare i suoi lavori monografici e se qualche risultato lo si è potuto raggiungere, ciò è stato possibile solo grazie all’ausilio di Internet (http://opac.sbn.it/) per il cui tramite, appunto, quando Maurizio Federico manifestò interesse, da me condiviso, per questo personaggio nel quale ci eravamo imbattuti durante la stesura di La città è vuota e in rovina!, ebbi un approccio iniziale.
E fu quasi una sorpresa sapere che alcune delle opere di Vitto erano custodite anche in biblioteche del territorio da dove, ovviamente, la ricerca prese inizio. La prima, ricordo, ma si trattava solo di un opuscolo, la trovai presso la biblioteca di Atina: Salvatore Di Duca: Presente! (Gruppo Fascisti Universitari di Frosinone. Cooperativa Tip. Frusinate. Frosinone, 1933), che altro non era che la commemorazione di questo giovane universitario ad un anno dalla scomparsa avvenuta sui monti di val Canneto durante un campeggio.
Popolo, e non massa (Edizioni de “Il Manipolo”, 1932), stampato dalla S. A. Cooperativa Tipografica Frusinate di Frosinone, via Garibaldi, 3, ebbi occasione di rintracciarlo presso la biblioteca De Bellis-Pilla di Venafro. Dedicato «ai goliardi» ed «ai giovani fascisti di terra ciociara», nasce, scrive l’autore, «dall’incontro con le folle, sulle piazze delle città e dei borghi di Ciociaria».
Alla Luigi Ceci di Alatri reperii Stirpe Nostra, cioè il Commento politico alla Regola di S. Benedetto, edita da Rassegna del Lazio e stampata a Sora nel 1931 dalla tipografia di Pasquale C. Camastro. La prefazione è di Giuseppe Bottai il quale riconosce all’autore, «giovane studioso che io seguo con simpatia e che anima di fede e di forte entusiasmo ogni pagina dei suoi scritti il merito di un esame politico della legislazione benedettina (…) per gli innegabili influssi che quella esercitò nella vita sociale e nella cultura dell’altro medioevo».
Un’altra biblioteca del territorio in cui si custodisce un’opera di Vitto (Motivi di marcia. Castaldi. Roma, 1933) è quella di Monte San Giovanni Campano, e, salvo errori, è anche l’ultima.
Per rintracciare alcune delle altre opere di Vitto, invece, ci si deve spostare almeno a Roma dove, presso la biblioteca dell’Istituto della enciclopedia italiana Giovanni Treccani, si conserva Alle fonti del corporativismo italiano. San Benedetto e il suo Ordine (Casa Editrice “Avanguardia”, Roma-Cassino-Napoli. Tipografia Editrice L. Ciolfi. Cassino, 1928), e presso quella dell’Istituto Luigi Sturzo, Sagome: episodi, appunti (Ed. Veliti. Tip. Frusinate. Frosinone, 1940) dedicata «alla memoria di mio padre costruttore» e contenente, tra gli altri, uno scritto su La Rocca di Cassino ed uno su Porta Cerere di Anagni.
Ancora a Roma altre opere vengono segnalate presso la Marconi (Rocche e Spighe. Ed. Veliti. Tipografia Frusinate, Frosinone, 1934) e l’Alessandrina (Pietre e scaglie. Veliti. Tipografia Frusinate, Frosinone, 1940) ma le stesse sono anche presso la Nazionale di Firenze dove pure si trovano Lineamenti di spiritualismo fascista con prefazione di Antonio Leone De Magistris (Casa Editrice “Avanguardia”, Roma-Cassino-Napoli. Soc. An. S.T.E.M., 1929) ed Il paese è paese: ricognizioni antiborghesi.(Veliti. Coop. Tip. Frusinate. Frosinone, 1940).
Quanto agli altri scritti di Vitto, essenzialmente politici, sono La missione sociale in S. Francesco (Ed. “Lucerna”. Ancona, 1926), giudicata all’epoca «una delle più originali manifestazione letterarie del centenario francescano»; Il fondamento giuridico della pena di morte (in Ordine Fascista, 1927); Le controversie generali del lavoro (in Stampa Fascista, 1927); Lineamenti dell’ordinamento corporativo (Edizioni Ciolfi. Cassino, 1928), cioè il suo corso di cultura fascista tenuto al Liceo classico di Cassino, alla Casa del fascio di Frosinone e all’Istituto tecnico superiore di Sora; Premesse all’Impero (Confederazione Nazionale Sindacati Fascisti Professionisti e Artisti Frosinone, 1931); Grigioverde: Primotempo. (In Libro e Moschetto e in Milizia Fascista. Febbraio-marzo 1933).
Una particolare attenzione meritano, invece, i lavori nei quali egli privilegia il territorio ed alcune sue peculiarità.
Dei tredici articoli che pubblicò su Vita Nova, «pubblicazione quindicinale illustrata dell’Università Fascista di Bologna» fondata e diretta prima da Leandro Arpinati e poi da Giuseppe Saitta, che mi è stato possibile consultare presso la biblioteca Giorgio Del Vecchio della facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza” di Roma, più della metà hanno come oggetto Cassino, Montecassino e San Benedetto: La badia di Montecassino (a. II, n. 10, ottobre 1926); Passeggiata archeologica sulla “via Latina”: Casinum (a. IV, n. 1, gennaio 1928); La terra di San Benedetto: dalle sorgenti del Liri alle foce del Volturno (a. IV, n. 3, marzo 1928); Centenario di San Benedetto: motivi dalla “Regola” (a. V, n. 3. marzo 1929); Artigiani ed artisti alla mostra nazionale di Cassino (a. V. n. 9, settembre 1929); Mostra di codici a Montecassino (a. V, n. 10, ottobre 1929); La prima funivia del mezzogiorno Cassino-Montecassino (a. VII, n. 1, gennaio1931). Privilegia poi gli stessi argomenti (tra cui Montecassino nella storia d’Italia e Montecassino signoria rurale) in un altro suo lavoro, Studi storici cassinesi (Arpino, Società tipografica arpinate, s.i.d. ma presumibilmente nel 1934) del quale, però, c’è traccia solo in una preziosissima copia fotostatica. E così come nel lavoro appena accennato dedicò una nota ad Atina, si interessò anche ad alcuni dei più significativi scorci del territorio scrivendo, ancora su Vita Nova, della Montagna spaccata e delle grotte di Pastena (L’Italia Pittoresca, a. III, n. 10, ottobre 1927), delle Mainarde e della Meta (Sull’Appennino meridionale, a. III, n. 11, novembre 1927) e, infine, della Valle del Liri (a. IV, n. 5, maggio 1928), e, in particolare, di Aquino, di Pontecorvo e di San Giovanni Incarico
Un altro suo scritto sul territorio, Terra di Lavoro, è pubblicato in Italia una e diversa, antologia a cura di G. Manzella Frontini pubblicata a Lanciano en 1932 dall’editore Barabba. L’articolo si apre con un interrogativo che non potrà non far sussultare di gioia chi, come chi scrive, deve spesso confrontarsi con gente inebriata solo ed esclusivamente dalle proprie ciocie: «Rammentate l’aforisma col quale il Grande Federico si rammaricava con Dio perché non aveva scelto Terra di Lavoro a terra promessa» che si chiude, e non poteva non chiudersi, con un riferimento a Montecassino: «La notte è limpidissima. In fondo, tra le vette lontane, le luci mistiche della Badia hanno lo stesso palpito delle vicine stelle».
In fondo, i suoi grandi amori: Montecassino, del quale un suo discendente ama ricordare che Vitto fu un gran benefattore, ma soprattutto, come si è accennato, San Benedetto e la sua Regola, Regola che egli pone addirittura Alle fonti del Corporativismo italiano, come recita il titolo di uno dei suoi lavori. Scrive: «La Regola, che fissa l’ordinamento e il funzionamento del monastero benedettino è il più fulgido e più italiano monumento di legislazione sociale in tutto il Medioevo; essa volle essere il codice morale e civile secondo le cui norme si ordinava e si reggeva una piccola comunità di uomini liberi e il Monastero volle essere esempio di una perfetta società nel disordinato vivere sociale. Non esageriamo punto dicendo che il monastero benedettino, oltre ad essere la prima associazione regolarmente organizzata nel medioevo, potrebbe offrire, fatte le proporzioni di spazio e di tempo, un mirabile esempio di stato organizzato corporativisticamente secondo un principio che si riallaccia immediatamente — senza soluzione di continuità logica — alla concezione organica e gerarchica, che Roma aveva posto a base dell’ordinamento pubblico»[9].
Questo ricordo di Aurelio Vitto a sessantasette anni dalla scomparsa non vuole essere solo una doverosa testimonianza, anche se modesta e tardiva, della sua figura e della sua opera ma soprattutto uno stimolo perché la sua città natale valuti l’opportunità di ricordarlo degnamente, riscoprendo un personaggio che, a prescindere dall’aspetto prettamente politico, comunque fu molto legato a Cassino e di Cassino scrisse molto. E se anche la locale Università, sempre attenta alle problematiche del territorio ed alla sua elevazione culturale, ne facesse oggetto di studio o solo tema di qualche tesi di laurea, non sarebbe poi male. Anzi.
© Costantino Jadecola, 2009.
[1] Guglielmo QUADROTTA (a cura di), Ricognizioni I. Scrittori e Giornalisti della Provincia di Frosinone, Quaderni della “Rassegna del Lazio”. Società Tipografica Arpinate, Arpino. 1933, pp. 100–101.
[2] A succedere a Vitto nell’incarico di federale fu Arturo Rocchi, anche lui originario di Cassino dove era nato il 26 ottobre 1906. Avvocato, si era iscritto al PNF il 5 febbraio 1932. Sottotenente di fanteria, aveva combattuto in Spagna come e dal 21 gennaio 1940 al 22 settembre 1941 era stato federale provinciale e contestualmente consigliere nazionale. Ispettore del PNF in Albania (1941–1942) aderì alla RSI e fu prefetto della provincia di Frosinone dal 23 ottobre 1943 al 10 maggio 1944. (Cfr. Mario MISSORI, Gerarchie e statuti del P.N.F.: Gran Consiglio, Direttorio nazionale, federazioni provinciali : quadri e biografie. Bonacci, Roma. 1986, p. 268)
[3] Archivio Centrale dello Stato, Mi, Dgps, Divisione polizia politica. Fascicoli personali, b. 112, Carlo Bergamaschi. Esposto per il capo della polizia Bocchini.4 ottobre 1937.
[4] Costantino JADECOLA, Il mistero del monumento sulla Casilina. In Studi Cassinati. Anno VIII, numero 3 (Luglio ‑Settembre 2008), pp. 216–218.
[5] Archivio Centrale dello Stato, Mi, Dgps, Affari Generali Riservati, 1935, b. 2/h, f. Situazione politica ed economica. Frosinone. Relazione dell’ispettore regionale di Ps. Nicola Lorito per il ministero dell’Interno del 20 gennaio 1935.
[6] Archivio Centrale dello Stato, Mi, Dgps, Divisione polizia politica. Fascicoli personali, b. 112, Carlo Bergamaschi, cit.
[7] Arturo GALLOZZI-Diego MAESTRI, Cassino. Una identità urbana ritrovata. La città prima del 1944. Caramanica Editore. Marina di Minturno, 2004, p. 47.
[8] Gioacchino GIAMMARIA, Nuovi documenti per la storia delle banche e delle casse rurali in provincia di Frosinone e nella diocesi di Anagni. In Latium19/2002, pp. 109–110.
[9] Aurelio Vitto, Alle fonti del corporativismo italiano…, op. cit., 12.