PALAZZOLO: UN SITO PER IL CAMPOSANTO (2)

Mentre a Palazzolo si elabora il da farsi, l’ing. Bellino reclama (giugno 1839) il pagamento delle indennità di sua spettanza: per il momento, però, le casse comunali consentono di poter liquidare solo nove dei 50 ducati della parcella; quanto al resto, si vedrà in seguito.
Intanto, a premere per una soluzione della vicenda, trovandosi, peraltro, quasi del tutto piena l’unica sepoltura rimasta nella Chiesa madre, c’è una lettera dell’11 settembre 1839 inviata al sindaco di Palazzolo dal «medico condottato»Giovanni Ruggieri il quale ricorda che «per superiore disposizione debbansi fra quindeci giorni chiudere le sepolture di questa parrocchiale». Una tale disposizione, però, «qualora venisse eseguita nell’epoca attuale, non poco nocumento recherebbe alla pubblica salute. Imperocché dovendosi le sepolture che son quasi piene di cadaveri mezzo putrefatti tenersi aperte onde poterle ad uso di arte ermeticamente chiudere, non si potrà mai impedire lo sviluppo dei gas deleterii nemici della vita di questi naturali. In questo caso le perniciose intermittenti che qui passano per effetto di un miasma solito a svilupparsi quasi annualmente; le dissenterie sostenute dai grandi calori alternati ai freddi istantanei e sensibili, le quali mietono tuttora varie vittime, verrebbero certamente a cambiar natura a danno della salute pubblica; quante volte si avesse la fortuna di non veder sorgere delle febbri di pessimo carattere. La prego dunque umiliare a S. E. il sig. Intendente della Provincia tali circostanze onde ottenere per ora la sospensione di tale operazione la quale potrebbe eseguirsi a tempo più opportuno». Ma del suggerimento, come vedremo, non si terrà conto.
Comunque, a questo punto si ha l’impressione di essere, finalmente, in presenza di una svolta: il 16 settembre, infatti, il decurionato nomina quattro suoi rappresentanti incaricati di assistere ai lavori per la costruzione del camposanto a Madonna di Loreto. Sono i decurioni «Don Salvatore Abbatecola e Don Simone Evangelista», il sacerdote don Luciano Sorge ed il proprietario «Don Giambattista Abbatecola». Ma quando il 25 settembre s’incomincia a dar luogo allo scavo si scopre che «il suolo del detto sito è rapidoso, arenoso e ghiaioso. Conoscendo noi», scrivono al sindaco i quattro deputati, «essere una tale qualità di terreno affatto inopportuna, e contraria alle istruzioni pei camposanti, abbiamo sospeso il travaglio, attendendo riscontro del presente officio per nostro regolamento, partecipandolo a chi si conviene».
Il 3 ottobre, intanto, dieci delle undici sepolture presenti nella chiesa madre vengono sigillate; l’unica lasciata aperta è destinata a servire alle eventuali necessità, scrive il sindaco Angelo Turco, «per non trovarsi fin’ora adattato per l’interramento de’ cadaveri il locale del Camposanto in progetto, per non essere la qualità del terreno opportuna per l’inumazione».
Questa nuova situazione è oggetto di attenzione da parte delle varie autorità soprattutto per una soluzione immediata ancorché provvisoria: ad esempio, la costruzione di un paio di sepolture nella cappella della Madonna di Loreto, all’interno o al di fuori, poco importa, come suggerisce il sottintendente di Sora. L’ipotesi trova concorde l’ing. Bellino, che giudica senz’altro opportuna la trasformazione da camposanto per inumazione a camposanto per tumulazione; e d’accordo si dichiara il 18 febbraio 1840 lo stesso decurionato.
Poiché i tempi sono quelli che sono e le casse comunali continuano ad essere tutt’altro che floride, essendo «la spesa da erogarsi per la detta opera ben grande, attesa la tenuissima rendita di questo Comune, onde renderla in qualche modo più mite, esso decurionato prega il sig. Intendente ad autorizzarlo a potersi giovare del cosiddetto comandamento, colla condizione di somministrare ai giornalieri un rotolo di pane, ed una caraffa di vino alla giornata per ciascuno, e ciò almeno pei scavi necessarj e conduttura de’ materiali».
Per il momento, però, «per ciò che riguarda la necessità d’un sollecito luogo per seppellire, trovandosi quasi piena l’unica sepoltura rimasta nella Chiesa Madre, essendovisi bisogno d’un tempo ben lungo per ridursi il luogo del Camposanto a ricevere decentemente i cadaveri, opina di costruirsi una sepoltura nella Sagristia dell’indicata Santa Maria di Loreto, e questa contigua al camposanto ed a far parte del medesimo»; l’ing. Bellino, però, è del parere (18 marzo 1840) che «non conviene escavare nell’interno della Chiesa, e della Sagrestia, per non arrecare un danno al fabbricato, tanto più che vi s’incontrano massi di pietre calcari». Propone, allora, «la costruzione di sei tombe nel terreno a destra di detta Chiesa di proprietà Comunale» di cui «cinque potran servire per la tumulazione, ed una per lo deposito delle ossa di espurgo decennale».
Come se i problemi non mancassero, Giuseppe Cerasi reclama la riapertura della sepoltura di sua proprietà tra quelle chiuse nella chiesa madre e la sua riattivazione a proprie spese; di ben altra natura, anche se sempre attinente queste sepolture, è, invece, quello sollevato il 29 gennaio 1841 dal vescovo di Aquino, Pontecorvo e Sora, mons. Giuseppe Montieri: i cadaveri, essendo state chiuse le altre, vengono ora destinati nell’unica lasciata in funzione che è poi quella «sita nella Sagrestia della Chiesa in cui quel Clero officia con grave incomodo, e danno pel fetore ch’esala». Si chiede, in sostanza, che si chiuda questa e se ne riapra una delle altre esistenti nella chiesa.
Il decurionato, però, nella seduta del 28 febbraio in un certo senso giustifica il proprio operato affermando che se tra le altre sepolture è stata lasciata attiva quella della sagrestia, ebbene, ciò è dipeso dal fatto che essa è la più grande di tutte ed è anche quella che nel tempo ha «ospitato» non solo «le nude ossa» ma anche i cadaveri. Se è stata «preferita» alle altre, ciò è dipeso per una mera ragione di opportunità: infatti, l’unico inconveniente, sul quale è intervenuto anche il vescovo, è quello del «poco male odore». «Ma figuratevi», dicono i decurioni, “se ciò fosse accaduto in chiesa!» Oltre il «poco male odore», «vi sarebbe stato l’altro assai maggiore dell’indecenza davanti al santissimo ogni volta che si dovea dar sepoltura e l’esalazioni cadaveriche sarebbero state più nocive per la calca della popolazione la quale non può evitarsi per essere questa Chiesa Madre poco spaziosa».
Il 22 marzo 1841 vi è un sopralluogo del decurionato unitamente all’ing. Tommaso Orsi, che evidentemente sostituisce l’ing. Bellino, alla cappella della Madonna di Loreto e, poi, in un fondo di proprietà di Giovanni di Murro di Colle San Magno, in località Pizzone, a mezzo miglio circa di distanza dal paese, in prossimità dei confini con Roccasecca. Ma viene riconferma la scelta del sito di Madonna di Loreto da tutti i decurioni tranne qualche riserva di uno di essi, Simone Evangelista.
Qualche anno dopo, poiché naturalmente nulla è stato ancora risolto, il sottintendente di Sora decide di seguire personalmente la faccenda recandosi a Palazzolo per verificare di persona la situazione. Nel riferire il suo positivo punto di vista all’intendente (18 luglio 1844), egli tra l’altro fa notare, al di là di cose già note, che la strada che conduce a Madonna di Loreto è «agevole», «piana, e naturalmente rotabile», con «alberi e piante né lati-fondi che ne favoriscono la ombreggiante frescura»: insomma, «offre una passeggiata che desta raccoglimento e devozione ed in realtà gradevolissima» ed «all’estremità della quale, e dalla parte finitima si vede sorgere un Romitaggio con la bella Cappella, ed alle spalle di questa evvi adiacente il suolo che dovrà servire ad uso della inumazione de’ cadaveri, sì che sembra quasi dalla natura quel luogo destinato a tale pio uso».
Quanto al resto, il sottintendente paventa l’ipotesi che si è forse restii realizzare il camposanto in quel luogo per «deferenza per taluni proprietari che hanno delle case rurali ivi sparse in qualche distanza dal sito prescelto, ed alle quali impropriamente vuolsi dare il nome di Casini». E aggiunge: «Solamente di vero e reale [c’è] che in uno spiazzo inerente al luogo destinato si celebrano due fiere annuali, ma la gente che ivi concorre appena per poche ore non osserverà che lo esterno delle mura di cinta del Camposanto anzidetto da un lato solamente e la principale prospettiva sarà quella che attualmente esiste ed ha esistito della Cappella nella quale se si trovassero per avventura costruite delle tombe, come si era pur implorato da la Congregazione della Carità dello stesso Comune (…) non saprei in che differir potesse la triste rimembranza che si desterebbe ai forestieri alla vista di un luogo Funebre».
Passano altri anni, molti altri anni ancora, ma novità non devono esserci se il 29 aprile 1852 il vescovo Montieri, direttamente da Palazzolo, dove si è recato in visita, scrive al sottintendente di Terra di Lavoro per far notare «che si prosegue tuttora a seppellire i cadaveri nelle sepolture della Chiesa parrocchiale, non che in una tomba esistente nel mezzo della sagrestia»: non sarebbe il caso, allora, di sollecitare il comune ad occuparsi «seriamente della costruzione del Camposanto?».
E’ lecito supporre che l’intervento di Montieri lasci il tempo che trova. Non tanto a Sora, sede della sottointendenza, quanto a Palazzolo, dove le autorità locali continuano evidentemente a prendersela con molto comodo.
Non a caso, per la realizzazione del camposanto bisognerà attendere quasi un quarto di secolo, ritenendosi che quello attualmente in funzione sia stato attivato verso la metà del 1875 in un sito del tutto diverso da quelli sui quali in quegli anni si era a lungo discusso. Un sito del tutto nuovo, insomma, individuato, seppur in contrada Madonna di Loreto, però nella parte più bassa del paese, a circa un miglio da esso, sul cosiddetto, allora, “braccio di Palazzolo”.
Deve supporsi che il terreno utilizzato per la realizzazione del camposanto o, forse, per la parte di esso utilizzata dalla Congrega di Carità, fosse di proprietà dell’onorevole Pasquale Pelagalli di Aquino, se la vedova di questi, Alessandra Ferdinandi, soltanto il 28 aprile 1885, cioè a qualche anno dalla morte del marito, riesce ad ottenere dalla prefettura di Terra di Lavoro la necessaria autorizzazione perché l’intendenza di finanza di Caserta disponga «il pagamento della somma di lire 293,85 depositata a di lei favore presso la cassa dei depositi e prestiti dalla Congrega di Carità di Palazzolo Castrocielo per indennità di espropriazione di terreno occorso per la costruzione del Cimitero in detto Comune»[1].
Su questa presenza della Congrega di Carità e su quant’altro sia accaduto in tutti questi anni, dai documenti rinvenuti non è dato sapere. E lecito supporre, però, che si sia continuato a seppellire i morti non solo nella chiesa madre, dove l’ultima sepoltura, risalirebbe al 27 aprile del 1875[2], ma anche nella cappella rurale di Madonna di Loreto, come è confermato almeno da due delle tre tombe tuttora esistenti al suo interno[3], dove, però, ci sarebbero state altre sepolture se, come scrive Luigi Di Cioccio, «l’ultimo sepolto in ‘Ecclesia Lauretana’ è stato il Sig. Ricci Tommaso d’Alessandro morto il 17. 5. 1785»[4] e dove, inoltre, nel giardino della stessa cappella pare venissero seppelliti i bambini non battezzati[5].
Infine, sarebbe interessante sapere se il Simone Evangelista titolare di una delle tre tombe di Madonna di Loreto, sia lo stesso che, in veste di decurione, nel 1841 non era proprio del tutto d’accordo a destinare quella cappella a camposanto ma che nel 1843, sempre nella medesima veste, risulta tra i «fratelli della Congrega sotto il titolo della Carità del Comune di Palazzolo» firmatari di una richiesta indirizzata al ministro degli affari interni del regno di Napoli con la quale essi «implorano il Reale permesso» per poter costruire a proprie spese «due sepolture per li Fratelli e Sorelle di detta Congrega» nella cappella in questione (2, fine).
© Costantino Jadecola, 2004.
[1] Archivio di Stato di Caserta. Inventario (IX) Carte Amministrative Prefettura n. 10161.
[2] “L’ultimo sepolto in ‘Parrocchialis’ è stato il sig. Mastronicola Angelo Mario di Carlo e di Buonacquisto Margherita, morto il 24. 4. 1875” (Cfr. Luigi DI CIOCCIO, Palazzolo e Colle San Magno, due paesi nella storia di Castrum Coeli. C.E.S.I. Roma 2003, p. 226).
[3] Sono le tombe di Simone Evangelista e di Carolina Abbatecola deceduti, rispettivamente, il 7 settembre ed il 4 novembre 1872; la terza, quella di don Pasquale Nota, era precedente essendo questi deceduto il 2 aprile 1840.
[4] Luigi DI CIOCCIO, op. cit., p. 226.
[5] Luigi DI CIOCCIO, op. cit., p. 192. L’autore precisa che l’informazione è riferita da F. RONGIONE in “Relazione per la Sacra Visita del Vescovo Mazzetti, Manoscritto Archivio Parrocchiale di Castrocielo. Anno 1837, pag. 55”.