PALAZZOLO: UN SITO PER IL CAMPOSANTO (1)

Tra gli altri problemi affrontati, e risolti, dalla legislazione napoleonica vi fu quello relativo alla sepoltura dei «cadaveri umani», in particolare con la proibizione che essa avvenisse nelle chiese come sino ad allora si era soliti fare. Tale norma, già sancita in Francia con un decreto del 12 giugno 1804, venne estesa nell’Italia del nord un paio di anni dopo con il famoso editto di Saint Cloud (5 settembre 1806); nel regno delle Due Sicilie, invece, l’innovazione venne “recepita” solo una decina di anni più tardi e quindi attuata con una apposita legge dell’11 marzo 1817: in sostanza si vietava la sepoltura dei cadaveri in luoghi diversi dai cimiteri, o camposanti che dir si voglia, i quali dovevano essere ubicati al di fuori dei centri abitati ed a consona distanza da essi.
Detta così può sembrare una cosa da niente. Ma per le costantemente debilitate casse comunali, che a quei tempi forse lo erano più che mai, predisporre un’iniziativa di questa portata costituiva, evidentemente, un’impresa che nessun comune era in grado di poter sostenere. Se, poi, a ciò si aggiungono le pretese di quelli costantemente attenti a tutelare il proprio orticello, ovvero a far valere i propri “privilegi”, allora si capisce il perché delle enormi difficoltà che in genere si frapposero alla realizzazione dei cimiteri. Difficoltà destinate a durare, nella maggior parte dei casi, decine e decine di anni, senza approdare, talvolta, a conclusione alcuna nonostante i continui solleciti degli organi superiori.
Ed è quel che accade, tra gli altri, al comune di Palazzolo — o Palazzuolo, come si legge nelle carte del tempo – oggi Castrocielo, dove le difficoltà che caratterizzarono per almeno venticinque anni la questione relativa alla costruzione del camposanto alla fine si conclusero con un nulla di fatto. Nel senso che il cimitero che verrà realizzato una ventina di anni dopo — quello oggi in funzione — sarà una cosa del tutto diversa da quella di cui si era discusso per un buon quarto di secolo come emerge dalle carte, conservate in uno specifico fondo dell’Archivio di Stato di Caserta[1], che tra il 1830 ed il 1854 “concretizzarono” le vicende burocratiche relative alla costruzione del camposanto del comune di Palazzolo, l’odierno Castrocielo, a quel tempo in provincia di Terra di Lavoro.
Tutto ha inizio, come si accennava, nel 1830, il 6 luglio 1830, quando il decurionato di questo comune, l’equivalente degli odierni consigli comunali, sollecitato in tal senso da un “real decreto” del 12 dicembre dell’anno precedente, viene convocato per decidere il sito dove costruire il camposanto. Ma non solo questo. I decurioni, infatti, dovranno precisare se si preferiscono le sepolture a tumulazione, che, cioè, beneficino di nicchie o loculi separati scavati nella roccia o costruiti in opera muraria o quelle ad inumazione, cioè interrate. Gli stessi amministratori, inoltre, hanno la facoltà di poter supplire alla costruzione di sana pianta di una nuova struttura optando per una cappella rurale che sia ubicata ad almeno 100 passi di distanza dal centro abitato.
Considerato che la somma prevista nello stato di variazione per la costruzione del camposanto, ovvero in bilancio, è di appena 120 ducati e che eventuali, ulteriori introiti, non avendone il comune altri se non quelli derivanti dal dazio di consumo, potrebbero ricavarsi solo imponendo nuove tasse a carico della popolazione, viene indicata, in alternativa ad una struttura da realizzarsi ex novo, la cappella rurale intitolata alla Madonna di Loreto distante dall’abitato 200 passi. E si decide anche di adottare il metodo della tumulazione: «formandosi buone sepolture niun danno reca alla salute, come non hanno finora recato danno quelle esistenti nella Chiesa» madre.
Sette decurioni sono senz’altro d’accordo; uno soltanto, invece, è di parere contrario. E’ Luigi Marragony il quale è più che mai convinto che la destinazione a camposanto della cappella rurale della Madonna di Loreto «non può eseguirsi senza gravissimo danno del paese. Essa in fatti è situata al Sud-Ovest dello stesso, il quale, perché privo totalmente del Settentrione, e parzialmente del Levante, viene per lo più dominato dallo Scirocco. Per tali premesse, chiaramente ognun conosce che, imperversando il vento, spingendo al paese la pestifera nocevole esalazione de’ putrefatti cadaveri, si contribuirebbe allo sviluppo, e sollecito ingrandimento, delle malattie cagionate dal ristagno delle acque situate al mezzogiorno del paese (evidentemente quelle della sorgente di Capo d’acqua, nda), che ne respira un’aria corrotta. E tanto più detto ristagno è causa feconda di malattie, specialmente in tempi estivi, perché molti bracciali del paese ritornano già indisposti dalle contrade Romane». Ma la contrarietà di Marragony trova ragion d’essere anche nel fatto che quello di Madonna di Loreto «è il miglior sito in cui le persone pulite possono andare a diporto, e che dietro tal costruzione dovrebbero abbandonare per non funestarsi». Comunque sia, egli è convinto che, ove l’iniziativa venisse attuata, «verrebbesi a respirare nel paese un’aria micidiale talmente che in breve il renderebbe deserto». E’ allora necessario che «col consiglio de’ periti Sanitarii si trovi altro locale adattato all’oggetto, che non apporti danno veruno al paese, e non si sacrifichino i cittadini pel motivo di risparmio di spesa; mentre è da supporsi che questi amino piuttosto la loro conservazione, che sembra doversi al vile interesse anteporre». Lo stesso Marragony, peraltro, si dice anche contrario alla costruzione “ex-novo” del camposanto perché «detto travaglio non si tirerebbe mai a fine e si dovrebbe annualmente gravare la popolazione, non potendosi umanamente tirar subito a fine».
Ma nell’immediato, e non solo nell’immediato, della costruzione del camposanto e di quanto ad esso attinente si perde ogni traccia. Se ne tornerà a parlare, infatti, nei primi mesi del 1839, il 9 marzo, in una relazione dell’ingegner Salvatore Bellino indirizzata all’intendente della provincia di Terra di Lavoro dalla quale si deduce che nel frattempo non sono stati fatti passi avanti salvo che nell’individuazione di un secondo sito in alternativa a quello di Madonna di Loreto alla cui iniziale destinazione ad ospitare sepolture per tumulazione si preferisce ora quella per inumazione. A giocare a favore di questa scelta sarebbe «la poca spesa» che occorrerebbe a realizzarlo essendovi già “una decente chiesa, ed una casetta, con terreno alligato tutto di proprietà comunale» se, però, non vi fosse di ostacolo che «nel largo avanti la chiesa vi si celebrano due fiere in ogni anno» e che lo stesso luogo è poi «interessato da due strade vicinali a distanza non maggiore di palmi seicento dall’abitato, in linea visuale, oltre dall’essere fra Occidente e Mezzogiorno, rapporto all’abitato medesimo».
Il sito alternativo, da destinare alle sepolture per tumulazione, è invece posto nella zona detta Chiaja de’ vecchi, «alla distanza voluta dai regolamenti fra Oriente e Mezzogiorno dell’abitato». Ma in questo caso la spesa occorrente «è molto vistosa, dovendosi tutto costruire di pianta».
Oltre queste soluzioni, non è stato possibile operarne altre: del resto, precisa Bellino, «il comune di Palazzolo è posto a ridosso di un alto monte, con l’aspetto al Mezzogiorno, per conseguenza verun’altro sito ho potuto rinvenire».
Per la destinazione a camposanto della chiesa rurale intitolata alla Madonna di Loreto occorrerebbe semplicemente circoscrivere uno spazio a lato della chiesa stessa — di «larghezza palmi 150» e di «lunghezza palmi 88» — su parte del largario comunale. Considerato che la popolazione di Palazzolo è di 1.700 «individui» e che dai registri dello stato civile è stato possibile rilevare che in un decennio vi sono stati 386 decessi, ai quali devono aggiungersene altri 193 «per casi di mortalità estraordinaria, si avrà un totale di 579 tutto al più in dieci anni. Assegnando palmi 17.5 superficiali di suolo per ogni cadavere si avrà di bisogno di uno spazio superficie di palmi 10.132, quindi il recinto proposto è sufficiente per l’uso mentre il di più verrà occupato da stradoncini che vi sono indispensabili».
Quanto all’altro sito, dove la natura del terreno «per esser tutta pietra quasi spogliata di terra» consente solo la costruzione di un camposanto per tumulazione, esso «è posto all’oriente e mezzogiorno dell’abitato, alla distanza di presso a palmi 1.800 in linea retta. Esso non è in vista del comune perché‚ vi si frappone un montetto denominato Palombaia vecchia, alle cui falde giace, ed alla parte opposta vi è altro monte più alto, detto di S. Silvestro, formando una specie di canale fra mezzogiorno e settentrione, in modo che, spirando i venti meridionali, giammai i miasmi potranno essere trasportati nell’abitato, per la natura della situazione del luogo.
«Il terreno quasi incolto si appartiene agli eredi di Carlo Frezza di Colle S. Magno, e viene denominato Chiaja de’ vecchi, il quale valutato in capitale per ducati 30 a tomolo, il suolo che verrà occupato non importerà più di ducati 3.30, tanto per la chiesetta, camera del custode, altra per gli esperimenti anatomici, e pel recinto delle sepolture di palmi 48 per 50 che per un larghetto proporzionato da doversi lasciare avanti all’ingresso, almeno di altri palmi 40 per 50. Inoltre sotto la cappella e la stanza di esperimenti vi sarà costruita una sepoltura pel deposito delle ossa.
«Pel designato numero di 579 cadaveri, tutt’al più richiedendosi uno spazio di palmi cubici 18 per ogni cadavere comprese le casse (…) ne risulterà il bisogno di avere una capienza di palmi cubici 10.422.
«Quattro sepolture, ognuna di palmi 22 per 10 e di altezza dal fondo al piano delle imposte delle volte palmi 12 offrono la capienza di palmi cubici 10.560 al di là del bisognevole».
In questo caso, il costo totale sarebbe di 1.530 ducati, notevolmente superiore a quello che occorrerebbe per la costruzione del camposanto per inumazione a fianco della chiesa della Madonna di Loreto che non eccederebbe, invece, i 450 ducati, ivi compresa, in entrambi i preventivi, la parcella di 50 ducati reclamata dallo stessi ingegner Bellino.
Il decurionato di Palazzolo esamina il progetto il 6 marzo 1839. Dalla discussione emerge che la scelta del sito di Chiaja de’ vecchi verrebbe ulteriormente penalizzata dal fatto che la strada di accesso è «attraversata da due incomodi e pericolosi torrenti che nelle stagioni piovose specialmente verrebbero a ritardare di molto il sollecito trasporto dei cadaveri»; inoltre, «considerando che prima di giungere al suddivisato locale Chiaja de’ vecchi incontra un piccolo monticello detto Palombaia Vecchia pelle di cui falde devesi necessariamente passare, e non essendoci strada, dovrebbe questa costruirsi con una spesa considerabile perché il tratto è ben lungo ed il suolo tutto sassoso. Considerato in ultimo non esservi altro locale ne’ dintorni di questo Comune ove possa eseguirsi l’opera del Camposanto senza tanto dispendio ed aggravio della popolazione, che l’unico detto Madonna di Loreto del quale non si tenne conto finora per non trovarsi dalla parte del Nord rispetto al sito del Comune, giusta il prescritto delle reali istruzioni relative ai siti dei camposanti, ma sebbene dalla parte del Sud-Ovest pure perché‚ le montagne che si frappongono dal Sud nella direzione del menzionato locale andando al Comune, sono più elevate delle altre che spirano dall’Est e dall’Ovest per lo che il vento che spira da Mezzogiorno non può mai giungere nell’abitato pella direzione dell’enunciato locale ed arrecarvi esalazioni cadaveriche e per una maggior ragione i due venti dell’Est ed Ovest non possono affatto nuocere, giacché qualunque dei due possa spirare, non è trovandosi il detto locale frammezzo, le pestifere esalazioni non possono gettarsi che lateralmente, e ben lungi dal Comune medesimo».
Alla luce di tutte queste considerazioni, il decurionato annulla la precedente indicazione relativa alla costruzione del camposanto in località Chiaja de’ vecchi e si esprime, invece, soprattutto per motivi economici, per quello da realizzarsi adiacente alla cappella della Madonna di Loreto: oltretutto, si verrebbe a risparmiare anche sulla spesa dell’abitazione e sullo stipendio del custode. Infatti, «nel locale della Madonna di Loreto vi è attualmente e vi è sempre stato l’eremita il quale vivendo di elemosine adempirebbe gratis ad un tale officio i quali risparmi considerati in complesso, ridurrebbero la spesa al di sotto della metà di quella che s’è trovata necessaria nell’altro locale» (1, segue).
© Costantino Jadecola, 2004.
[1] Archivio di Stato di Caserta. Intendenza borbonica — Camposanti. Fascicolo n. 263, busta n. 66.