AQUINO: DELITTO IN CARTIERA

AQUINO: DELITTO IN CARTIERA

Scor­cio del­la vec­chia cartiera, alle spalle del­la Chiesa del­la Madon­na del­la Lib­era, che prob­a­bil­mente ebbe un ruo­lo nel grave fat­to di sangue.

È dif­fi­cile pot­er descri­vere la reazione che la sce­na provocò in chi, quel­la notte, ebbe l’occasione di imbat­ter­si in essa. Definir­la rac­capric­ciante forse non è esaus­ti­vo: «abbi­amo trova­to al piano supe­ri­ore del­la cartiera e pre­cisa­mente nel­la stan­za det­ta del­la cal­darel­la il cada­v­ere del Iadeco­la Gio­van­ni gia­cente boc­coni tra i due pun­ti d’appoggio dell’asse motore, com­ple­ta­mente denuda­to e con l’arto infe­ri­ore muti­la­to. I vesti­ti e la biancheria era­no stret­ta­mente avvolti ed intrisi di sangue all’asse del motore men­tre per qua­si tut­ta l’altezza delle pareti abbi­amo vis­to del sangue spruz­za­to, in talu­ni par­ti a larghe chi­azze e bran­del­li di carne»[1]. È la relazione del coman­dante la stazione dei RR.CC. di Aquino, il brigadiere Pasquale Cor­sale, subito accor­so con i cara­binieri Nico­la Rossi e Antoni­no De Maio dopo essere sta­to avver­ti­to dell’«inci­dente» dal sin­da­co in per­sona Gae­tano Pelagalli. 

Era­no intorno alle tre del­la notte fra il 29 e il 30 gen­naio 1902. L’«inci­dente» invece, era accadu­to due, tre ore pri­ma. La vit­ti­ma, Gio­van­ni Iadeco­la, sopran­nom­i­na­to “Polen­ta”, 48 anni, fu Mar­co, era coni­u­ga­to con Francesca Bisozio ed in cartiera ave­va l’incarico di “pigia­tore”, cioè di addet­to alla maci­na del­la paglia. Quel­la notte, oltre a Iadeco­la, lavo­ra­vano in cartiera, almeno nel suo stes­so repar­to, suo fratel­lo Vin­cen­zo, 45 anni, Tom­ma­so Capraro (26), det­to “Zin­gardel­lo”, fu Giuseppe e Dona­ta Cin­cir­rè, coni­u­ga­to con Luisa Gior­gio, e Mar­can­to­nio Cin­cir­rè (30), det­to “Spa­pec­chia”, fu Pasquale e Maria Di Fol­co, coni­u­ga­to con Maria Biasiel­li e zio di Capraro. 

Stan­do alle dichiarazioni rese suc­ces­si­va­mente agli inquiren­ti da quest’ultimo, quel­la notte, cir­ca le 24 lui e Vin­cen­zo si era­no vicen­de­vol­mente scam­bi­a­to il tipo di lavoro: dal­la “mon­tana” al trasporto del­la paglia dall’esterno del­la cartiera. «Ave­vo fat­to una venti­na di viag­gi», dichiara Cin­cir­rè, «e sem­pre ave­vo vis­to i due Iadeco­la ed il Capraro al pro­prio pos­to: Gio­van­ni Iadeco­la sta­va vici­no la ‘mon­tana’, alla pri­ma stan­za di entra­ta, e Tom­ma­so Capraio vici­no al cilin­dro n. 5 dis­tante cir­ca dod­i­ci metri dal pos­to di Gio­van­ni Iadeco­la». 

Tut­to tran­quil­lo, insom­ma. È appe­na dopo, invece, che esplode la trage­dia: men­tre Cin­cir­ré sta com­pi­en­do l’ennesimo trasporto di paglia, Tom­ma­so Capraro sarebbe anda­to da Vin­cen­zo Iadeco­la per dirgli che il fratel­lo si era fat­to male. Vin­cen­zo si atti­va subito cor­ren­do nel­la stan­za dove avrebbe dovu­to trovare Gio­van­ni ma, non aven­do­lo trova­to, si spos­ta in quel­lo det­to “la cal­darel­la”, dov’era il cilin­dro con la puleg­gia che da moto a tut­to il macchi­nario. Cin­cir­rè tes­ti­mo­nia: «Trovai nel­la stan­za del Gio­van­ni il fratel­lo Vin­cen­zo col lume in mano cer­can­do del suo ger­mano e quan­do l’ebbe trova­to sfra­cel­la­to sot­to l’asse di maneg­gio, si diede a pian­gere. Vidi anche io il Gio­van­ni Iadeco­la ivi sfra­cel­la­to e andai a fer­mare la macchi­na».

Nel­la relazione del dott. Celesti­no Quagliozzi, che esegue l’esame ester­no del cada­v­ere alla pre­sen­za dell’avv. Michele Pasquale, pre­tore di Roc­casec­ca, e del can­cel­liere Francesco Pag­nani, si legge: «il cuoio capel­lu­to del­la metà sin­is­tra dis­tac­ca­to com­ple­ta­mente con scov­ri­men­to delle ossa craniche sot­tostan­ti. Si vedono riv­o­let­ti di sangue fuo­rius­cire dagli orec­chi, dal naso e dal­la boc­ca. Intorno al col­lo notasi un sol­co cir­co­lare in direzione trasver­sale ed oriz­zon­tale all’asse medi­ano di esso, più pro­fon­do ed evi­dente nelle par­ti pos­te­ri­ori e pos­tero-lat­er­ali: sul­la laringe e pro­pri­a­mente a sin­is­tra di essa vedesi una lividu­ra, e più sot­to, sul­la regione tra­cheale e sul giu­go­lo delle graf­fia­ture varie e pic­cole come di uguale su varie par­ti del cor­po vedon­si con­tu­sioni e costrizioni. La mano sin­is­tra chiusa a pug­no; il gomi­to sin­istro com­ple­ta­mente lus­sato; frat­tura del­la 9 e 10 cos­to­la di sin­is­tra lun­go la lin­ea d’angolo scap­o­lare; frat­tura di tutte e due le cosce in cor­rispon­den­za del ter­zo infe­ri­ore del femore; avul­sione com­ple­ta del­la gam­ba destra dal suo 3 medio; le dita del piede sin­istro pen­zoloni ed avul­so il 2 metatar­so di det­to piede».

Nel ver­bale di rimozione del cada­v­ere, avvenu­ta sem­pre alla pre­sen­za del pre­tore di Roc­casec­ca, si pre­cisa che esso è «com­ple­ta­mente nudo» ed è sit­u­a­to sot­to l’asse «tra i due appog­gi su di una vec­chia ed inservi­bile macchinet­ta taglia strac­ci con ruo­ta d’ingranaggio. Il cada­v­ere si tro­va tra la posizione lat­erale sin­is­tra e quel­la boc­coni con l’arto infe­ri­ore destro muti­la­to, l’arto infe­ri­ore sin­istro in com­ple­ta fles­sione e dis­tor­to. L’arto infe­ri­ore destro in semi­f­les­sione con la mano in posizione supina. Varie con­tu­sioni a cor­po vivo. La tes­ta trovasi boc­coni e forte­mente flessa sul col­lo, pog­gian­do al muro adi­a­cente all’asse, ed a parte del suo­lo, men­tre la gam­ba muti­la­ta riv­ol­ta al vano di acces­so alla stan­za di fuori. Attorno all’asse, sul cada­v­ere si osser­vano avvolti stret­ta­mente dei pan­ni e biancheria, che si pre­sume deb­bano essere appartenu­ti all’individuo sot­tostante cada­v­ere. A cen­timetri ses­san­ta dal­la gam­ba ampu­ta­ta, ver­so la por­ta del­la maci­na, vi sono due vec­chie scarpe di cui una è intera­mente fat­ta a bran­del­li e vici­no alle scarpe vi è pure una cordi­cel­la. Innanzi al pun­to d’appoggio di destra si vede per ter­ra una man­i­ca di giac­ca. Con­tro il muro che divide la stanzetta del­la cal­darel­la dal­la stan­za di fuori si osser­vano schizzi di sangue, bran­del­li di carne e pezzetti di osso sino a tut­ta l’altezza di una tavola di leg­no infis­sa al muro. Per ter­ra si osser­vano pure bran­del­li di carne e di ossa».

Che fra Capraro, Cin­cir­rè e Iadeco­la non cor­resse buon sangue, pare fos­se cosa risaputa. 

«Domeni­ca scor­sa», tes­ti­mo­nia Mar­can­to­nio Cin­cir­rè, «i due fratel­li Iadeco­la si lagna­vano per­ché si anda­va molto sol­leciti a buttare il pis­to nei tubi e ciò per­ché loro dove­vano fare più lavoro al trasporto del­la paglia. Sic­come il Gio­van­ni Iadeco­la dice­va che non pote­va sop­portare tan­to lavoro, al che il Capraro rispose: ‘Per la madon­na! Se non vi fidate andate via!’ Non disse il Capraro altre parole, ed io non udii da questi pro­nun­ziare minac­ce di vol­ere ass­es­tare la pala sul­la tes­ta».

L’episodio è con­fer­ma­to da Capraro: «È verò che domeni­ca scor­sa ebbi a lit­i­gare col Gio­van­ni Iadeco­la, il quale non vol­e­va accud­ire al lavoro, ed io gli dis­si: ‘Ti do una pala in tes­ta’ ciò dopo che il Gio­van­ni minac­ciò di far­mi man­dar via dal­lo sta­bil­i­men­to. È vero che stan­otte, stan­do al cilin­dro n. 1 ho det­to al Gio­van­ni: ‘dim­mi se deb­bo met­tere paglia o pis­to nel cilin­dro’. Ciò per­ché egli lavo­ra­va male e mi dava pis­to mis­to a paglia». 

Del resto, scrive il giu­dice istrut­tore, «già il Capraro ed il Cin­cir­rè ave­vano dimostra­to di non ved­er bene i fratel­li Iadeco­la tan­to è vero che la domeni­ca non man­gia­vano in loro com­pag­nia la mines­tra, pure essendo con­sue­tu­dine che i quat­tro operai del piano supe­ri­ore, al pari di quel­li del piano infe­ri­ore, si unis­sero insieme a quel pas­to fru­gale. Inoltre il Cin­cir­rè erasi già dimostra­to dolente di non aver potu­to occu­pare il pos­to di Gio­van­ni Iadeco­la quale pigia­tore, pos­to che impli­ca un lavoro meno fati­coso di quel­lo incombente a che trasporta la paglia; e già il Capraro ave­va avu­to una ques­tione con lo stes­so Gio­van­ni Iadeco­la la domeni­ca antecedente.

«Insom­ma il Capraro ed il Cin­cir­rè odi­a­vano Gio­van­ni Iadeco­la e forse anche per­ché il medes­i­mo, vec­chio operaio del­la cartiera Pro­cac­cianti era fedele ai padroni, con­tro i quali essi talo­ra sparlavano.

«I biechi sen­ti­men­ti del Capraro e del Cin­cir­rè ver­so Gio­van­ni Iadeco­la scop­pi­ano la notte dal 29 al 30 gen­naio dopo che lo zio ed il nipote han­no insieme pre­med­i­ta­to e stu­di­a­to uno fra i più sel­vag­gi delit­ti. Dap­pri­ma il Capraro provo­ca un alter­co e poi un sec­on­do con l’infelice Iadeco­la, e quin­di egli ed il Cin­cir­rè lo affer­ra­no a viva forza per get­tar­lo sot­to il con­geg­no motore e far­lo travol­gere nei suoi giri turbinosi. Oppone resisten­za la vit­ti­ma in vista del sup­plizio a cui è con­dan­na­ta, ma la resisten­za è vin­ta facil­mente per­ché i due aggres­sori git­tano una cordi­cel­la al col­lo del Iadeco­la e con quel­la lo trasci­nano fin sot­to la macchi­na che dove­va dar­gli la morte e qui a forza lo ten­gono e lo trat­ten­gono finché il delit­to è con­suma­to ed il cor­po dell’infelice operaio è ridot­to a pezzi e a bran­del­li. Tut­to ciò avviene men­tre il rumore for­tis­si­mo ed inces­sante delle tante mac­chine in moto impe­di­va al fratel­lo del­la vit­ti­ma di udirne un lamen­to solo.

«Il delit­to, però, sec­on­do il dis­eg­no dei suoi autori dove­va apparire un infor­tu­nio. Ed ecco il Capraro e il Cin­cir­rè met­tere accan­to al cada­v­ere l’ampollina dell’olio des­ti­na­ta ad ungere le mac­chine per dare ad inten­dere d’essersi il Iadeco­la appres­sato al motore per ingras­sar­lo e d’essere sta­to dis­grazi­ata­mente tra­volto. Ciò fat­to cini­ca­mente il Capraro ed il Cin­cir­rè van­no ad annun­ziare ai com­pag­ni ed al fratel­lo dell’ucciso, l’avvenuta dis­grazia». 

Non si esclude che l’ipotesi dell’infortunio, del­la quale si dice­va con­vin­ta la moglie di Iadeco­la, Francesca Bisozio, per pot­er incas­sare la pre­vista assi­cu­razione di 1.500 lire, potrebbe avere avu­to la meglio se la pre­sen­za del­la “cordic­i­na” in prossim­ità dei poveri resti di Iadeco­la ed una trac­cia intorno col­lo del­lo stes­so non avessero sug­ger­i­to una diver­sa let­tura dell’accaduto. «Le lesioni al col­lo», scrivono i due medici incar­i­cati dell’esame autop­ti­co, il dott. Cristo­foro Di Ruz­za ed il dott. Celesti­no Quagliozzi, «pote­vano da se sole cagionare la morte, sen­za esclud­ere però che con le deb­ite cure avreb­bero potu­to anche guarire».

Il pre­tore di Roc­casec­ca, dal can­to suo, aggiunge che «il sol­co nota­to alla gola del cada­v­ere e la cordic­i­na rin­venu­ta accan­to a questo mi han­no dato indizio che lot­ta il Gio­van­ni Iadeco­la ave­va dovu­to sostenere, anche per­ché le unghi­ate alla regione tra­cheale mi avverti­vano che l’infelice ave­va dovu­to imprimere sforzi per lib­er­ar­si del­la stret­ta alla gola; ed egli non avrebbe avu­to tem­po di ciò oper­are se fos­se sta­to casual­mente affer­ra­to pei pan­ni e tra­volto dall’asse (il quale fa oltre cen­to giri al min­u­to) rite­nen­dosi che lot­ta non ci fos­se sta­ta».

Lo scal­pore che provo­ca la notizia di questo effer­a­to delit­to è tale che il cav. Beni­amino Palom­ba, sos­ti­tu­to procu­ra­tore del Re pres­so il tri­bunale di Cassi­no, nell’inaugurare il 3 gen­naio 1903 l’anno giudiziario, rifer­en­dosi ad «alcune ril­e­van­ti istrut­to­rie» che nell’anno appe­na pas­sato per la loro grav­ità ave­vano allar­ma­to l’opinione pub­bli­ca, citò, man­i­fes­ta­mente scan­dal­iz­za­to, quel­la con­tro Tom­ma­so Capraro e Roc­can­to­nio Cin­cir­ré, «due operai di una cartiera in Aquino che, qua­si sen­za causa, aggre­dis­cono un loro com­pag­no di lavoro, Gio­van­ni Iadeco­la, ed a viva forza lo trasci­nano sot­to l’asse motore, lo fan­no travol­gere nei turbi­ni di quel con­geg­no, e lo costringono così a morire, orren­da­mente muti­la­to, stri­to­la­to, sbrindel­la­to»[2].

© Costan­ti­no Jadeco­la, 2013.


[1] A.S.Ce, Tri­bunale civile e cor­rezionale Cir­co­lo d’Assise di Cassi­no, bus­ta 242, fas­ci­co­lo 1076 (per tutte le citazioni).

[2] Beni­amino PALOMBAInau­gu­ran­do l’anno giudiziario 1903 nel tri­bunale di Cassi­no (3 gen­naio). L. Ciolfi, tipografo edi­tore. Cassi­no, 1903, p. 27.

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