SAN GIORGIO: QUEL PONTE SUL LIRI FINITO IN ACQUA

Sembrava una cosa da niente. Cioè un’opera, seppur complessa, che alla fine non avrebbe dato eccessivi grattacapi. Invece, per realizzare quel ponte sul fiume Liri presso San Giorgio a Liri, indispensabile per dare continuità alla costruenda strada provinciale tra Cassino e Formia, ce ne volle: era come se le antiche “scafe”, che da tempo immemorabile consentivano di guadare il fiume — non a caso, la località la si chiamava Scafa — esercitassero una sorta di malefico effetto contro quell’idea del dott. Achille Spatuzzi di collegare l’entroterra con il mare attraverso una strada degna di questo nome.
Infatti, ci si serviva ancora di quel che restava dell’antichissima via Ercolanea. In realtà ben poco se, alla fine del 1700, il generale Parisi scriveva che «da Mola (Formia) per le montagne delle Fratte (Ausonia) si può passare nelle pianure di S. Giorgio e Pignataro ed indi in San Germano (Cassino)». Però, «questa strada per sette in otto miglia è disastrosa, appena trafficabile con bestie da soma, né è riducibile in tempi limitati a trasporto dell’artiglieria…».
A Spatuzzi, rappresentante del mandamento di Esperia presso i1 consiglio provinciale di Terra di Lavoro già dall’indomani dell’Unità d’Italia, quello stato di cosa non andava proprio a genio. Non a caso, del resto, egli, «per primo vide certa la redenzione igienica, economica e morale della intera regione nelle strada provinciale Cassino-Formia e potentemente, inistancabilmente, la propose, la propugnò, la ottenne», come ancor oggi testimonia un’iscrizione, decisamente malridotta, murata sulla facciata di un edificio del corso intitolato a Spatuzzi, nel centro di San Giorgio a Liri.
I lavori iniziarono nel 1867 e furono completati tredici anni più tardi, nel 1879. La costruzione della strada costò 367 mila lire (circa 775 mila euro) ma questa cifra non comprendeva né i compensi per gli espropri né le spese per la realizzazione del ponte sul Liri, realizzazione che, come si è accennato, provocò problemi non di poco conto.
Lo si apprende leggendo un opuscolo del 1874 — Ricerca delle dimensioni per la costruzione del ponte in muratura sul fiume Liri nella strada d’Ausonia - nel quale il progettista dell’opera, ingegner Janni, riferisce la sua versione a proposito dell’incidente occorso mentre la struttura era in corso di realizzazione.
Quello progettato originariamente doveva essere un ponte a tre archi. Ma mentre si svolgevano i lavori, e comunque nello «spazio di quattro anni, si ebbe l’occasione di osservare dagl’ingegneri ivi addetti, che in quel sito il fiume avrebbe continuamente urtate le pile del ponte, di maniera da comprometterne la stabilità, e che inoltre la costruzione del ponte nel luogo disignato sarebbe riuscita assai costosa».
Si pensò, allora, di costruire un ponte ad unica luce «con corda di 44 metri», modifica che trovò d’accordo sia l’Amministrazione Provinciale che l’impresa costruttrice la quale «si offerse» di realizzare la variante a cottimo per la somma di 134 mila lire. «Conchiuso in questi termini il contratto, l’impresa si mise all’opera. Intendendo però questa di profittare ampiamente del diritto che Le veniva dal cottimo, volle usare per smodata avidità di guadagno di mezzi di costruzione assai meschini, e molto male adatti alla grandezza della costruzione; principalmente nelle opere transitorie, come la centina, per la quale nella stima del progetto si era assegnato la somma di L. 41 mila, dacché occorreva una gran asse di legname di ottima qualità. Quindi doveva necessariamente avvenire quello che sventuratamente è avvenuto, che la centina non potendo sostenere il peso della fabbrica soprapposta, crollò».
Fu, tuttavia, un crollo annunciato dal momento che, durante i lavori, non solo era stato fatto notare all’impresa la presenza di «grossolani errori in quella sciagurata costruzione» ma si era anche cercato di «rimuoverla dal mal passo con una protesta legale». Però, non avendo né l’uno né l’altro suggerimento raggiunto l’effetto sperato, inevitabile conseguenza fu quella di addossare ogni responsabilità all’impresa; c’è da credere, tuttavia, che non mancò chi ne imputò parte allo stesso progettista il quale, per porre fine a tali supposizioni, sottopose il suo lavoro al giudizio di due autorevoli ingegneri, i «Commendatori Padula e Rocco».
«Trovo regolare il procedimento» nonché «le formole» che «sono quelle che generalmente si adottano», tant’è che «se fosse stato costrutto, il ponte ora starebbe, e continuerebbe a stare per lungo volgere di anni», scrive il primo; «il progetto lo stimo attuabile, però serbando lealtà e diligenza nell’esecuzione», precisa il secondo. Insomma, per l’ing. Janni è una bella soddisfazione, quanto basta per potersi augurare che sulla scorta degli autorevoli giudizi riferiti finalmente vengano a cessare «le maligne insinuazioni» cui il fatto aveva dato luogo.
Intanto, i lavori della strada devono pure andare avanti: fallita la realizzazione del ponte a tre archi, fallita quella del ponte ad unica luce, si opta, infine, per un ponte in ferro — di quelli a struttura portante romboidale, caratteristici del tempo — che viene posto in essere nel 1876 e battezzato “Ercolaneo” in ossequio all’antica via. E per le “scafe” stavolta fu davvero la fine.
Il ponte di ferro reggerà fino al 15 marzo 1944, quando verrà abbattuto dagli aerei alleati nel contesto della cruenta e lunga battaglia per la conquista della strada per Roma. E qualcosa di molto simile alle antiche “scafe” assicurerà il passaggio dall’una all’altra sponda fino a quando, nel 1946, non sarà stato ricostruito il nuovo ponte. Ad arcata unica. E che, nonostante tutto, “regge” ancora.
© Costantino Jadecola, 1992.