“Febbre da treno” / 6 VALLE DI COMINO: UNA (FERRO)VIA D’USCITA DA UN ATAVICO ISOLAMENTO
Al pari della Valle del Liri, anche la Valle di Comino fu tra le realtà locali che s’impegnarono per avere una ferrovia: lo ricorda Lorenzo Arnone Sipari in un articolato saggio a proposito della Cassino-Atina-Sora (Èlite locale e infrastrutture: il caso della ferrovia Cassino-Atina-Sora (1883–1914). Cassino, 2003), dove evidenzia che «nel 1868 la Camera di Commercio ed Arti di Caserta, nel sottolineare l’isolamento della Val di Comino, aveva implicitamente auspicato che gli amministratori dei mandamenti di Alvito e di Atina predisponessero dei progetti di collegamento, fra cui anche quelli ferroviari». Passeranno, però, degli anni prima che qualcosa si muova. E si muova, forse, anche in seguito ad un impulso fornito dalla legge 29 luglio 1879 sulle ferrovie complementari che, fra l’altro, assicurava un contributo governativo pari a sei decimi della spesa ed alla gestione della ferrovia per la durata di 90 anni da parte di chi si fosse fatto carico dell’iniziativa. Ci fu, allora, in quello stesso anno, una proposta dell’onorevole Angelo Incagnoli il quale ipotizzò una ferrovia che passando per Alvito arrivasse sino ad Isernia, innestandosi a Sora sulla Roccasecca-Avezzano, cui, peraltro, non si era ancora cominciato a porre mano, e analogamente fece il Comune di Casalvieri che deliberò la realizzazione di una linea che partendo da Roccasecca e (forse) transitando per il “Tracciolino”, attraverso Casalvieri raggiungesse Sora.
A maggio del 1882 fu presentato alla Camera dei Deputato un progetto di casa Rothschild che proponeva, come ferrovia centrale deli Abruzzi, una linea che, partendo da Ceprano, «perché città di confine tra l’ex reame di Napoli e lo Stato Pontificio»,mettesse capo a Pescara. Anni dopo, nel 1883, Alfonso Visocchi riproponeva una Sora-Alvito-Isernia mentre il Comune di Alvito, fra il 1884 e il 1885, avanzava la proposta di una Sora-Alvito-Villavallelonga attraverso una galleria scavata nell’area del vallone Lacerno, in territorio di Campoli Appennino, sul versante laziale dei Monti Marsicani mentre quello di San Donato Val Comino, seppur ‘polemicamente’, accennava ad una Cassino-Sant’Elia-Belmonte-Atina-San Donato-Alvito-Vicalvi-Sora-Isola del Liri.
Che la massima aspirazione fosse quella di uscire da un atavico isolamento è stato, per la Valle di Comino, il sogno di sempre. Cosicché, quando nel 1859 arrivò la Sferracavalli — ci mancava ormai poco alla fine del Regno delle Due Sicilie — ci fu un sospiro di sollievo. Tutto era cominciato almeno trentacinque anni prima, quando si era deciso di trasformare in una strada più o meno degna di questo nome quello che era un antico sentiero ma ormai ridotto in uno stato tale che, agli inizi dell’Ottocento, veniva classificato come «strada non rotabile inaccessibile all’Artiglieria».
Intanto, ricorda Aldo Di Biasio (Territorio e viabilità nel Lazio meridionale. Gli antichi distretti di Sora e di Gaeta. 1800–1860. Caramanica Editore. 1997), «la presenza delle miniere e l’apertura delle ferriere nella regione, nonché la presenza della cartiera di Bartolomucci impongono la costruzione di due traverse da Atina a Picinisco rispettivamente per Rosanisco e per Settefrati e S. Donato, realizzate a decorrere dal 1833 e dal 1834. Atina, in pratica, diventa un punto di riferimento obbligato per le comunicazioni dell’intero comprensorio, essendo in collegamento anche con Schiavi, Casalvieri, Agnone e Casalattico».
Poi, l’apertura al traffico della ferrovia Roma-Napoli, il 25 febbraio 1863, fu di sicuro un forte stimolo per dare un concreto impulso alla realizzazione di nuove arterie come la San Donato V/C‑Opi per Forca d’Acero o la Isernia-Roccasecca nel contesto della quale veniva a porsi quel segmento di strada, divenuto noto come ‘Tracciolino’, che, oltre ad abbreviare di molto il cammino tra la Valle di Comino e l’entroterra molisano da un lato e quella del Liri, ovvero con la stazione di Roccasecca, dall’altro, poteva vantare accattivanti scorci paesaggistici tali da renderlo unico nel suo genere così da meritarsi unanimi apprezzamenti.
All’origine di quella strada lungo il corso del Melfa ci furono dapprima le solite diatribe sul tracciato, tant’è che sulle prime si pensò addirittura ad un traforo nelle viscere del monte Cairo; poi scesero in campo i maggiorenti di Colle San Magno e di Santopadre che cercarono, ognuno, di accreditare i propri comuni come i luoghi più idonei ad ospitarne il tracciato. Alla fine, però, la ragione prevalse, e si decise di seguire il corso del Melfa con tutti i rischi, operativi e burocratici, che quell’impresa di fatto comportò e sui quali riferisce Ferdinando Corradini ( Contributo allo studio della viabilità postunitaria: il cosiddetto ‘Tracciolino’. In Terra dei Volsci. N. 2., 1999) con il conforto di documenti del tempo.
Intanto, ad alimentare altri sogni arrivava la strada ferrata. E la Valle di Comino cominciò a pensare ad una ferrovia tutta sua che la collegasse almeno a Sora e a Cassino. Tra gli altri, chi più si adoperò in tal senso fu Alfonso Visocchi, esponente di spicco di una storica famiglia di Atina, di cui fu sindaco prima di diventare deputato nel 1865 per poi esserlo di nuovo dal 1876 al 1897 e, quindi, senatore dal 1900.
Le prime iniziative in materia di collegamenti ferroviari tra Atina, Cassino e Sora da parte di Visocchi risalgono, secondo Achille Lauri, al 1878, quando «ne fece proposta al Governo. Nel 1882, dopo studi preventivi costosi e minuti, insisté per la presa in considerazione, continuò per tutta la vita ad agitarsi a coalizzare municipii, a spronare industriali, a cercare capitali, a preparare progetti, instancabile nello spendere e nel travagliarsi, pur di realizzare un sogno che è il voto di tutti e che di lui fu la fede più costante».
Era il 23 gennaio 1883 quando, sulla base di un progetto redatto dall’ing. Alfredo D’Amico, Visocchi convocò ad Atina i rappresentanti di ventidue comuni del territorio. La proposta, ovviamente, beneficiò dell’attenzione di tutti gli intervenuti ma non ebbe il consenso da parte del sindaco di San Donato Val Comino, Carlo Coletti, dal momento che il tracciato non si avvicinava al suo paese. Ma anche ad Alvito ci fu qualcuno che ebbe di che da ridire.
Ovviamente nei mesi a venire il tema continuò ad essere sviscerato in tutti i suoi aspetti finché non ci si tornò di nuovo ad incontrare, questa volta a Sora, il 29 agosto, con il tracciato “revisionato” nelle parti relative ad Alvito e San Donato. Ma anche in questa seconda circostanza le cose non è che andarono meglio. Ma perché? Perché, seppur rivisto, il tracciato proposto continuò a non godere del gradimento del comune di San Donato Val Comino il quale, in buona sostanza, pretendeva che, una volta entrata nella valle di Comino, dopo aver superato «Capo di Chio» e toccato Atina, prima di proseguire per Alvito e Sora la ferrovia si spingesse sino alla valle di Vico, ai piedi di San Donato. «Detta linea non allungherebbe il primo profilo di massima tra Capo di Chio e la provinciale sotto Vicalvi, che di sette chilometri e mezzo; de’ quali Chl. 4, 600 con pendenza del 28,00 per mille ed il resto in piano orizzontale(…). Solamente così si farebbe raggiungere alla ferrovia proposta lo scopo cui sono ordinate le fervore a sistema ridotto: di procurare, cioè, il maggior utile a’ Comuni, che son chiamati a crearla e a sostenerla. Oltre di che, così solo la strada di forca d’Acero, ora in costruzione, potrebbe essere proficue agli interessi del consorzio». Sarebbe, inoltre, il posto ideale per realizzarvi una stazione la quale, oltre a soddisfare le esigenze dei cittadini di San Donato, tornerebbe utile anche a quelli di Settefrati e di Gallinaro.
Ma chi ci va giù duro è Carmelo Sipari di Alvito che reputa la ferrovia un’utopia, almeno per le condizioni del tempo della valle. E, oltre a controbattere i dati economici forniti dall’on. Visocchi a sostegno del progetto, Sipari è perentorio: «Non basta adunque, a mio credere, che le ferrovie sieno un bene, un fonte di ricchezza; bisogna dimostrare che le nostre contrade sieno preparate a goderne i benefici effetti, che si risenta la necessità di una comunicazione più rapida e agevole (…) Meno S. Elia ed Isola, comuni essenzialmente manifatturieri, (…) non abbiamo in tutto il circuito altra industria, se non quelle che l’attività, l’ingegno e la ricchezza dell’onorevole Visocchi ha saputo creare e far prosperare in Atina». Dunque Atina, continua Sipari, «senza dubbio è l’unico comune manifatturiere che sente la necessità di una ferrovia di 4a categoria, perché lontano abbastanza dalla ferrovia ordinaria. Per esso il progetto dell’onorevole Visocchi è senza dubbio un gran bene, risponde alle sue esigenze, ma forse che per il bene di una debbano pagare tutti?».
Il 15 settembre 1883 si riunisce il Consiglio comunale di Atina che torna a promuovere, su input di Alfonso Visocchi, che ne fa parte, la costituzione di un consorzio fra i Comuni interessati alla ferrovia da realizzarsi sulla base dello studio di massima dell’ing. Alfredo D’Amico revisionato, per le parti contestate, dall’ing. Luigi Trevillini.
Tempo dopo, poi, lo stesso Visocchi risponde all’attacco di chi aveva in precedenza criticato la sua iniziativa, e, in particolare, a Carmelo Sipari: «Sempre ci accade di notare che qualunque cosa si faccia in altre parti d’Italia, tutti i cittadini, i giornali ne lodano i pregi, ed di alcun piccolo difetto o tacciono o parlano con tanta discrezione, da non eclissare il merito principale. Noi Napoletani facciamo precisamente il contrario. I meriti delle cose di casa nostra si spregiano, si sconoscono, e quegli si tien più contento, che riesca a scoprire un lato debole, un difetto, di cui possa menare ogni sorta di rumori».
E allora? «Smettiamo adunque di stimarci e dirci miseri ed inabili più di quello che siamo. Siamo volenterosi e solerti invece di sconfortarci e screditarci a vicenda, sappiamo osare a tempo, cerchiamo di trovar nella concordia e nel fermo volere la forza di vincere le gravi difficoltà di cui questa grande impresa è disseminata…» (6, continua).
© Costantino Jadecola, 2020.