“Febbre da treno” / 1 BINARI VERSO IL TIRRENO NELLE ASPIRAZIONI DELLA VALLE DEL LIRI
Da quando il 27 settembre 1825 la Locomotion n. 1 trainò il primo treno commerciale della storia, sulla tratta tra Stockton on Tees e Darlington, progettate sia la ferrovia che la locomotiva da George Stephenson, la febbre da treno divenne una sorta di virus che qui da noi subì un’ulteriore impulso quando i Borbone legarono il proprio nome alla prima ferrovia della penisola che collegava Napoli a Portici. Era il 3 ottobre 1839. Non ci volle più di tanto ché il treno assumesse un suo ruolo particolare nella società industriale che andava affermandosi, né più né meno come l’avvento del Web ai nostri giorni, tant’è che ogni territorio aspirava ad avere una ferrovia. Il fenomeno, ovviamente, non lasciò indenne il territorio della provincia di Frosinone aggregato nei suoi attuali confini circa novantatre anni or sono ed allora appartenente, per la sua parte meridionale, al Regno delle Due Sicilie, nel contesto della provincia di Terra di Lavoro e, per quella settentrionale, allo Stato Pontificio e, in particolare della provincia di Roma.
A far da confine tra la Ciociaria papalina e la borbonica Terra di Lavoro era per buona parte il fiume Liri che, oltre ad essere un preciso limite territoriale costituiva anche una barriere fra due modi diversi di intendere quel nuovo fenomeno costituito dalla ferrovia. Se l’opinione di Ferdinando II di Borbone la si poteva trovare espressa in pratica nella ferrovia Napoli–Portici, venuta a porsi come prima ferrovia della penisola italiana dal 4 ottobre 1839, quella di Papa Gregorio XVI è addirittura agli antipodi nel senso che, come riferisce Benedetto Croce, questi considerava sia le ferrovie che il treno a vapore come “ore di Satana”.
Ma il progressismo ferroviario dei Borbone non è limitato alla Napoli-Portivi. È anche merito loro il primo segmento della futura Roma-Cassino-Napoli: il 20 dicembre 1843, infatti, vennero ultimati i quasi 34 km. (32,842) della Napoli-Cancello-Caserta cui si aggiunsero, il 26 maggio dell’anno successivo, gli altri 11 km della Caserta-Capua.
Sul fronte opposto, le novità cominciano ad esserci solo dopo la morte di Gregorio XVI (1846) quando fortuna vuole che a succedergli sia Giovanni Mastai Ferretti, Pio IX, sarà in breve tempo noto come un Pontefice illuminato e liberale. Per la prima ferrovia dello Stato Pontificio, la Roma-Frascati, di appena 20 km, occorrerà attendere, però, il 12 ottobre 1857. Il 25 febbraio dell’anno successivo viene firmato il capitolato per la costruzione della Roma-Ceprano che dovrebbe essere ultimata entro il primo agosto 1860 ma le vicende politiche e militari del tempo ed altri motivi ancora non consentono il rispetto delle date: se ne riparlerà il primo dicembre 1862. Ma perché l’intera linea da Roma a Napoli venga aperta al traffico bisognerà attendere il 25 febbraio 1863.
Da alcuni anni, intanto, sulla base di una proposta avanzata nel 1853 dal barone Panfilo de Riseis, presidente del consiglio provinciale dell’Abruzzo Citeriore, s’incomincia a parlare di una «ferrovia abruzzese da Napoli all’Adriatico ed alla frontiera sul Tronto», naturalmente attraverso la valle Roveto, e, dunque, la valle del Liri, che, peraltro, il 16 aprile 1855, avrebbe beneficiato dell’assenso di Ferdinando II di Borbone espresso attraverso uno specifico ‘Real Decreto’. Ma nell’immediato non seguirono i fatti: l’unità nazionale era alle porte ed i Borbone avevano tutt’altro cui pensare. L’argomento si ripropose ad unità compiuta, ma non ancora comprensiva del territorio dello Stato Pontificio, nella convenzione stipulata il 12 maggio 1861 tra il ministro dei Lavori pubblici, Ubaldino Peruzzi, e quello delle Finanze, Pietro Bastogi, con il banchiere Paolino Talabot per la costruzione e l’esercizio delle strade ferrate da Napoli all’Adriatico tra le quali viene prevista, appunto, una linea che partendo da Ceprano, sulla Roma-Napoli, ferrovia all’epoca ormai in fase di completamento , raggiunga Pescara attraverso la valle del Liri e quella di Roveto, ovvero per Sora, Avezzano e, quindi, Sulmona e Popoli. Per la sua realizzazione si stabiliscono cinque anni di tempo a partire da quando l’apposita legge sarebbe stata approvata: anche se ciò accade il 21 luglio di quello stesso anno, la storia non ha un seguito perché Talabot non riesce a costituire la società alle condizioni pattuite e rinuncia, quindi, alla concessione. L’anno successivo, fallito un tentativo di gestione diretta nella costruzione delle ferrovie, lo Stato torna al sistema delle concessioni. L’interlocutore è, stavolta, la società che fa capo al barone Rothschild con la quale il governo italiano il 15 giugno 1862 stipula una convenzione analoga a quella a suo tempo conclusa con Talabot. Ma il parlamento non è d’accordo e propone rilevanti modifiche che, però, non beneficiano del gradimento della controparte.
Intanto, al progetto finalizzato a realizzare una ferrovia trasversale, situazioni contingenti cominciano a far ipotizzare ed a far prevalere l’idea di una ferrovia che aggiri lo Stato Pontificio che, posto com’è nel bel mezzo della penisola — grosso modo occupa, infatti, l’attuale territorio del Lazio — impedisce il collegamento diretto tra nord e sud. Cosicché capita quasi a proposito l’iniziativa promossa dal comune di Rieti che, sempre nel 1862, chiede ed ottiene l’autorizzazione per redigere un progetto di ferrovia che, «diramandosi verso Terni da quella che si sta costruendo da Roma ad Ancona, e toccando Rieti si ricongiunga presso Avezzano coll’altra trasversale da Pescara a Ceprano». Informazione, questa, riferita anche da Ferdinando Gregorovius in Passeggiate per l’Italia (1871) il quale, dopo aver evidenziato che «l’Abruzzo non ha ancora ferrovie [e] che si comincia appena a farne il tracciato perché necessarie anche per ragioni militari» accenna a quella che dovrebbe «congiungere la terra dei Marsi con il territorio del lago Fucino e con Sora, includendoli così nel sistema del traffico ferroviario, e deve allacciarsi infine presso Rocca Secca alla ferrovia napoletana-romana».
Sulla scia e nel contesto delle discussioni a proposito di queste ferrovie interregionali che avrebbero dovuto agevolare le relazioni umane e favorire gli scambi commerciali, siccome il tema era di per sé accattivante ed il treno sembrava che fosse la soluzione di tutti i problemi, della cosa se ne cominciò a parlare immaginando strade ferrate di natura squisitamente locale anche alla luce della precaria viabilità del tempo. Tra le mete più ambite di quei progetti ferroviari che si ipotizzarono sul finire del XIX secolo era il mar Tirreno. In particolare, Formia e Gaeta.
Non a caso, uno dei primi studi in tal senso, quello redatto dall’ing. Paolo Dovara nel 1879, è teso a dimostrare, in antitesi ad analoghe iniziative già sperimentate o da sperimentarsi su altri tracciati (Sparanise-Gaeta o Gaeta-Rocca d’Evandro) che esso fosse il solo plausibile per congiungere il golfo di Gaeta con la pianura del Liri. Ovvero: «Gaeta, Formia, Scauri, spianata del rio Capo d’acqua, rio dell’Ausentello, torrente Ausente, Ausonia, Vallone S. Antonio, San Giorgio a Liri, Santangelo inteodice, Cassino» per un totale di 48 chilometri circa attraverso «14 tenimenti comunali popolati da 69.647 abitanti, in ragione quindi di 1.482 per chilometro di ferrovia». A quell’epoca, l’ipotizzata linea proveniente dalla Marsica, ovvero da Avezzano, non si sapeva ancora dove sarebbe andata a concludersi: a Ceprano o a Roccasecca? Sarebbe però auspicabile, sottolinea Dovara, che l’allacciamento con la Roma-Napoli avvenga presso la Melfa a Roccasecca perché – e qui, di riflesso, ti immagini che debba entrare in gioco quella meravigliosa strada che è il Tracciolino condannata a morte da insulsi “amministratori” — «al di là di Casalvieri e di Casalattico si estende la ricca Val di Comino popolata da ben oltre 50 mila abitanti aggregati in 14 comuni la maggior parte prosperosi per attività industriale, cosa eccezionale nella meridionale Italia».
«I fautori stessi della linea Appula-Sannitica avrebbero voluta solcarla con la loro ferrovia», ricorda Dovara, ma se ne astennero forse anche per via della difficile individuazione di un tracciato tra il bacino del Volturno e quello del Melfa per via delle incombenti Mainarde. Potrebbe, al contrario, essere di utilità per quella valle una linea che partendo da Sora in 41 chilometri raggiunga Cassino dove «troverebbe la sua naturalissima prosecuzione fino al Golfo di Gaeta per il tronco Ausono». Questo ipotizzato tracciato dovrebbe seguire a grandi linee quello della rotabile provinciale da Cassino a Formia attuata all’indomani del Risorgimento ed il cui traffico, nel breve periodo di pochi anni, «ha assunto proporzioni insperate. Ora tutti vanno e vengono dal golfo di Gaeta, e ciò che fa grande meraviglia si è che la linea Ausona è la prescelta dai trafficanti della regione dei Marsi. Tutti i prodotti del Fucino transitano per di qui per essere imbarcati a Formia. Grandi quantità di legnami da costruzione giornalmente affluiscono a Formia stessa».
Assemblando le cifre a riguardo, Dovara riepiloga «per sommi capi» quello che potrebbe essere il commercio tra Cassino e Gaeta: «cereali e legumi per 27 tonnellate; olj, frutta, vini, etc. per 8 t.; legnami 10 t.; prodotti varj 12 t. per un totale di 57 tonnellate. In conclusione sarebbero assicurati circa due convogli giornalieri di sole merci e del peso netto complessivo di circa 150 tonnellate. Quando riflettasi che sulle ferrovie meridionali il medio peso netto di un convoglio non ha mai superate le 80 tonnellate». Se a ciò aggiungiamo il trasporto viaggiatori, «l’esercizio potrebbe attivarsi con non meno di numero quattro treni giornalieri, due cioè per l’andata e due per il ritorno».
Chi in un certo senso più che apprezzare il progetto Dovara ritiene di poterlo ‘sfruttare’, è l’ing. V. Siniscalchi. In che senso? Utilizzandolo per una variante che, innestandosi sull’ipotetico tracciato Cassino-Gaeta, si diriga verso Pontecorvo e Roccasecca perché è proprio qui che, a parer suo, dovrebbe avere il suo terminale la ferrovia proveniente dall’Abruzzo, ma soprattutto perché la valle del Liri, «ricca di prodotti industriali ed agricoli», necessita di nuovi sbocchi (1, continua).
© Costantino Jadecola, 2020.