“CALENDIMAGGIO” A PASTENA

Le componenti hanno evidenti legami con antichissimi riti propiziatori anche se, tempo dopo tempo, da quelli originari, propri delle primitive comunità agro-pastorali, la ritualità della festa è stata ritoccata qua e là con le varianti del caso, sino a quelle, radicali, imposte dal cristianesimo: si parla di quella che, forse, una volta — tanto, tanto tempo fa — anche a Pastena era la festa della primavera, una sorta di Calendimaggio, ma che poi, nell’evolversi delle cose, è diventata la festa della SS. Croce.
Non si tratta, sia chiaro, della solita festa che si esaurisce in un paio di giorni: qui le cose, infatti, vanno avanti per un mese ed oltre, cioè da quando, il primo giorno di aprile, il «mastro di festa», figura in cui qualcuno intravede il sacerdote-stregone delle antiche comunità agro-pastorali, conduce sul sagrato della chiesa una giovenca sulla cui fronte, quale segno di riconoscimento, con un nastro rosso è stata ancorata una croce di metallo. Ricevuta la benedizione dal parroco, l’animale viene lasciato libero di andare dove vuole: se dove passa potrà pascolare, il raccolto sarà fertile; ci sarà ben poco da sperare, invece, per chi ne ostacolerà i movimenti.
A metà aprile, poi, mentre inizia la preparazione dei vari tipi di dolci che all’occorrenza avranno il compito di soddisfare i moltissimi palati che in circostanze del genere offrono sempre la massima disponibilità, il «mastro di festa», coadiuvato per la circostanza da una commissione di «saggi», va alla ricerca del «maggio», ovvero dell’albero più dritto, più alto e più «anziano» del territorio (pare che il nome gli derivi da «major», cioè «maggiore»), che potrà essere, indifferentemente, una quercia, un castagno o un cipresso: una volta «individuato», perché il suo ruolo sia noto, il «mastro» incide una croce sulla corteccia.
Si arriva, così, all’ultimo giorno di aprile, quando, cioè, si approssima il momento, è il caso di dire, del redde rationem sia per il «maggio» che per la giovenca: infatti, una volta recuperata, questa viene portata a presenziare al taglio del «maggio», siamo al primo maggio, dopo che l’albero prescelto è stato riferimento di preghiere e di «devozione» — non esclusi spari di vario genere — proprio per quel suo simboleggiare la Croce.
Abbattuto e spogliato dei rami, ma non della cima, il «maggio» viene trascinato verso Pastena da coppie di buoi che si alternano nel compito — ora il loro numero è limitato ma si dice che un tempo si siano arrivate a contare ben oltre cento coppie — i cui proprietari si ritengono onorati e fortunati di poter partecipare al trasporto: proprio per questo motivo si era soliti fare la «conta» per sorteggiare le tre coppie di buoi che avrebbero avuto il privilegio di compiere la prima e l’ultima parte del tragitto nel corso del quale, comunque, tutti i buoi presenti beneficiavano del privilegio del traino, sia pure per pochi metri; và da sè che allo spostamento del «maggio», oltre alla giovenca, partecipi una moltitudine di gente la quale, peraltro, collabora anch’essa al trasporto del tronco.
Una sosta è d’obbligo nei pressi del cimitero non solo perché è qui che il «mastro di festa» distribuisce panini, dolci e bevande ai presenti ma anche perché il tronco non può giungere in paese, a porta Napoli, prima di mezzogiorno. E’ notte inoltrata, invece, quando si compie il rito dell’«abbusso»: una processione, preceduta da una Croce in cui è incastonata una reliquia di quella di Cristo, raggiunge dalla chiesa la casa del «mastro» alla cui porta il sacerdote bussa con la stessa Croce. Un colpo, due colpi, e, finalmente, al terzo, ma solo dopo il terzo «abbusso», dall’interno della casa il «mastro» chiede chi sia: avuta risposta che si tratta della SS. Croce, la porta viene finalmente aperta per consentirle l’accesso, accesso che viene salutato sia dall’accensione delle luci, tenute sino ad allora rigorosamente spente, sia da manifestazioni di gioia la cui portata è facilmente intuibile. In sostanza, avendo accettato di dare ospitalità alla reliquia della Croce, si è passati dalle tenebre alla luce: un evento cui sia «il mastro» che i suoi familiari annettono grande importanza tanto da festeggiarlo come merita, ovvero anche con cibarie e bevande varie, ed al quale il coinvolgimento di quanti hanno piacere a parteciparvi non necessita certo di essere sollecitato.
Intanto, a mezzanotte in punto è tempo di spostare il tronco: le tre coppie di buoi che il sorteggio ha privilegiato lo trascinano in piazza, dove sarà ripulito della corteccia e levigato. Ma questa operazione avviene solo il mattino successivo quando, dopo che sulla sua sommità sarà stata collocata una croce tra fasci di ginestre, a mezzogiorno in punto il «maggio» verrà issato per restarvi fino all’ultima domenica di settembre, giorno della festa di San Sinforo. Ma col tocco di mezzogiorno si compie anche il destino della giovenca. Ossia torna a riproporsi, con questo rito sacrificale, un altro simbolismo tipico di epoche lontane.
Il 3 maggio, si noti anche la ricorrenza di questo numero, sacro per eccellenza (3 coppie di buoi, 3 «abbussi», 3 maggio), la conclusione: al mattino si svolge la grande processione con le statue di Sant’Elena e di San Sinforo e i loro troni barocchi — si dice che fino ad alcuni anni or sono le statue partecipanti arrivavano anche a quindici — ma chi è onorata di un ruolo di primo piamo è naturalmente la SS. Croce, altro elemento ricorrente. Compiuto il consueto giro per le strade e le viuzze del paese e dopo una sosta in piazza, le statue fanno il loro rientro in chiesa, ma a ritroso, per far sì che sia proprio la SS. Croce l’ultima ad entrare.
Esaurito così l’aspetto religioso della festa, nel pomeriggio prevale l’altro, quello popolare, con l’ascesa al «maggio» per la conquista dei premi: un albero della cuccagna in piena regola. Ma non è finita. Resta, infatti, ancora qualcosa da fare: il ritiro della reliquia dalla casa del «mastro» — che in processione viene riportata in chiesa — e la «celebrazione» del rito del «possesso», ovvero il «cambio della guardia» fra il «mastro» in carica e colui il quale avrà l’onore di prendere il suo posto il prossimo anno: si tratta di un incarico molto ambito nonostante che, come si è visto, fra feste e festicciole, dolci e bevande varie, comporti anche un non indifferente onere finanziario. Ma tant’è. Evidentemente a conferma del fatto che “dove c’è gusto non c’è perdenza”.
© Costantino Jadecola, 1997.