L’«oro» nero di Ripi

Semmai si ritenga che ci sia il benché minimo riferimento con quegli sterminati campi petroliferi del Texas o del Kuwait resi familiari da film tipo «Il gigante» o dalle non dimenticate, drammatiche immagini sulla guerra del Golfo, è bene chiarire subito che si è del tutto fuori strada.
Qui è tutt’altra cosa. Tanto per incominciare, di pianure, anche di minime estensioni, non vi è traccia. Ci sono, questo sì, tante colline più o meno simili l’una all’altra che, se non stai bene attento a memorizzare il percorso, rischi davvero di perderti tra di esse. C’è qualche piccolo campo coltivato ma, soprattutto, una vegetazione spontanea. E poi, colmo dei colmi, pur sapendo che sotto di esse c’è il petrolio, le piccole strade che percorri ignorano del tutto l’esistenza dell’asfalto che, come è noto, del petrolio è parente stretto.
Ebbene, è proprio in questo contesto agro-pastorale che, di tanto in tanto, ci si può imbattere in uno di quei pozzi che oggi fanno la storia del petrolio di Ripi: anche qui nulla di eclatante se non fosse per le caratteristiche pompe a collo di giraffa, che in qualche modo richiamano quelle viste al cinema o in televisione, in costante e ritmica operatività per tirar fuori dalle viscere della terra, il prezioso liquido.
Ad alcuni dei pozzi sono abbinati serbatoi di varia grandezza, tra i 10 e i 20 mila litri, in collegamento tra loro tramite una condotta principale che attraversa tutta la zona interessata dalla concessione per raggiungere, infine, il deposito centrale situato sulla strada che unisce Ripi a Strangolagalli.
A non molta distanza da questo luogo, una targa stradale indica «via Petroglie» così come nella zona dove verranno attivati alcuni dei pozzi petroliferi vi è una fontana di acqua potabile detta «delle Petroglie» a conferma del fatto che nella tradizione locale quel nome ha una sua importanza.
Infatti, la storia dei giacimenti di petrolio in territorio di Ripi è molto antica. Salvo precedenti eventi di cui non si ha traccia ma che probabilmente ci furono, se non altro per giustificare la presenza ricorrente dell’espressione «petroglie», questa storia risale al tempo in cui l’Italia non era stata del tutto unificata e queste terre erano ancora sotto il dominio pontificio: è, infatti, l’11 marzo 1868 quando la reverenda Camera apostolica ne concede lo sfruttamento per la durata di cinquant’anni al sig. Annibale Gualdi il quale, però, qualche tempo dopo cede la concessione alla Societé Franco Romain che finalmente attiva la ricerca.
Nel giro di quattro anni, infatti, fra il 1870 ed il 1874, questa società scavò, a pochi metri tra loro ed a non molta distanza dalla predetta fontana, due pozzi profondi rispettivamente 63 e 13 metri. Il primo attraversò rocce tenere, dando una discreta produzione di petrolio mentre il secondo, dopo aver attraversato 10 metri di rocce tenere, entrò per tre metri in uno strato breccioso. Il petrolio dapprima sgorgò con forza e poi più lentamente. Comunque sia, nei quattro anni indicati i due pozzi produssero circa 1.800 litri di petrolio — di cui il 70 per cento di petrolio detto «lampante” — acquistato dalla ditta Compagnoni di San Giovanni Incarico al prezzo di 15 lire al barile (60 litri).
Poi le perforazioni vengono sospese e per oltre un trentennio del petrolio di Ripi non si hanno più notizie. La concessione, dal canto suo, subisce diversi «trasferimenti» sino a quando, il 2 aprile 1908, non ne acquisisce la titolarità l’avv. Andrea Chiari. Ma non devono esserci novità nell’immediato se, qualche anno dopo, per iniziativa di don Prospero Colonna, principe di Sonnino, proprietario di alcuni dei terreni inclusi nel campo minerario, viene avviato un procedimento di decadenza della concessione nei confronti del suo titolare.
Poi, però, nel 1913, il Principe Colonna e l’avv. Chiari chiesero in solido la concessione della miniera e l’allora Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, aderendo in linea di massima a tale richiesta, sospese il provvedimento in corso, a condizione, fra l’altro, che il campo minerario fosse suddiviso in parti non eccedenti i 400 ettari ciascuna[1]: nascono, così, le concessioni denominate, «Le Petroglie», «Colle Cerasa», «Porrone» e «Ripi»: quest’ultima, della superficie di 321,25 ettari, viene accordata, in perpetuo e solidalmente, al principe Prospero Colonna ed all’avv. Andrea Chiari; successivamente accadrà la stessa cosa per le altre tre miniere.
E’ solo nel luglio del 1917 che si comincia finalmente a perforare di nuovo. Ad essere interessata è la concessione «Ripi» tant’è che per la circostanza viene costituita la «Exploitation des mines de Ripi», una società in nome collettivo: luogo delle ricerche è contrada «Petrolie», o «Petroglie» che dir si voglia, località caratterizzata dalla presenza dell’omonimo fosso, a un certo punto intersecato da una strada dallo stesso nome e non lontano dalla fontana pubblica di acqua potabile detta «delle Petroglie».
La prima perforazione, attuata utilizzando una trivella tipo Perrau, arriva, inizialmente a 21 metri ma già dopo un paio di metri ci si imbatte nel petrolio; a quattro metri, invece, lo si incontra nel secondo sondaggio, che raggiunge i 24 metri. Insomma, un risultato positivo e del tutto inatteso. Decisamente negativo, invece, il sondaggio effettuato a colle Sabatino — concessione «Le Petroglie» — che raggiunge i 25 metri di profondità.
Con questi risultati si chiude di fatto il sodalizio fra il principe Colonna e l’avv. Chiari ufficialmente dichiarati decaduti dalle quattro concessioni nel 1922: a determinarne la fine — siamo in piena Prima guerra mondiale — la requisizione attuata dal Commissariato per i combustibili nazionali e la sua diretta gestione delle quattro concessioni in territorio di Ripi che nel giro di cinque anni è caratterizzata dalla perforazione di sette pozzi — la profondità varia tra i 74 ed i 546 metri — dai quali si ricavano, specie dai pozzi 2 e 7, circa 380 tonnellate di petrolio bituminoso.
Poi, però, da abbondante che era all’inizio, il petrolio finisce con lo scomparire del tutto e lo Stato “ne approfitta” per uscire dalla gestione diretta ed affidarne la concessione alla Società Petroli d’Italia incaricata — l’intesa è sancita da due convenzioni speciali, l’una del 29 ottobre 1923, l’altra del 2 giugno 1924 — di eseguire, per suo conto, trivellazioni a grandi profondità.
La nuova gestione viene ufficialmente avviata il 22 marzo 1924 con l’inizio della perforazione del pozzo n. 8 anch’esso ubicato, come i precedenti, in contrada Petrolie, a 450 metri a sud del pozzo n. 6. Nel giro di cinque anni, il 17 giugno 1929, vengono raggiunti i 970 metri: ma ci si imbatte in una sorgente di acqua minerale con una portata di 80 litri. Il mancato raggiungimento dell’obiettivo consiglia di abbandonare il pozzo. Al contrario, va meglio per tre dei quattro perforati nel frattempo, il 9, il 10 e il 12 che, insieme al n. 2, continueranno a produrre olio a densità variabile (da 0,889 a 0,920) negli anni a venire, almeno sino a tutto il 1937, quando le perforazioni vengono sospese.
Con il decreto ministeriale del 10 gennaio 1938 c’è, di fatto, un ritorno al passato: le ex concessioni «Le Petroglie” «Colle Cerasa», «Porrone» e «Ripi» confluiscono in una sola denominata «Ripi» la cui concessione, previa rinuncia da parte della Società Petroli d’Italia, con lo stesso decreto viene accordata, per la durata di trent’anni, alla Società Anonima Italo-Petrol che, nello stesso anno, cambia nome in Compagnia dei Petroli Laziali.
Come prima cosa si provvede a riattivare i pozzi n. 2, 9, 10 e 12, e, appena dopo, si inizia «lo scavo a mano di un pozzo ordinario, denominato ‘Roma’, a sezione circolare di m. 3,60 di diametro allo scopo di tentare la coltivazione per normali pozzi e gallerie, come si pratica da tempo in Alsazia»[2].
Il pozzo, ubicato nella parte più elevata «della conca delle Petroglie» e completamente rivestito con una muratura in mattoni, raggiunse i 62 metri di profondità attraverso «terreni pliocenici sino a m. 19, banchi di arenarie mioceniche fino a m. 42, scisti argillosi con marne intercalale fino a m. 58 ed infine un banco di arenaria miocenica, racchiuso fra marne fortemente raddrizzate.Nell’attraversamento delle arenarie, sia alla profondità di m. 23 che a m. 58 si ebbero stillicidi di petrolio ed emanazioni di gas che furono esplorati con una galleria lunga m. 25, aperta dal pozzo alla profondità di m. 23. Con detti lavori si ottennero circa 50 tonnellate di olio grezzo»[3] .
Il pozzo Roma fu poi proseguito nel 1939 con la perforazione n.13 praticata dall’Azienda Generale Italiana Petroli (Agip) in collaborazione con la Compagnia dei Petroli Laziali. E proprio alla collaborazione fra queste due società prima ed a quella della sola Agip[4] dopo, è legata la notevole attività svolta a Ripi negli anni seguenti.
Ma «se veramente notevole fu l’attività svolta dall’A.G.I.P. nel quinquennio 1939–1943», evidenzia l’ing. Sabella, «non altrettanto può dirsi dell’attività svolta nella miniera di Ripi dalla azienda medesima nel dopoguerra»[5], ovvero tra il 1945 ed il 1952. Essa, per la cronaca, è relativa alla ripresa della perforazione del pozzo n. 38, nell’apertura dei pozzi n. 39 e n. 40 e nella riattivazione di alcuni dei pozzi danneggiati dagli eventi bellici, i quali, chi più chi meno, sono tutti produttivi: in particolare il 13, il 15 ed il 35 che da soli danno una produzione giornaliera di circa 500 litri di petrolio.
Una storia a parte è quella del pozzo n. 15, il cui scavo fu iniziato nel 1940, dal quale, a un certo punto, si era sui 150 metri di profondità, fuoriuscì un getto d’acqua di natura salso-bromo-jodica in quantità notevole. Si trattò, infatti, di «un fatto eccezionale che finì con l’entusiasmare tutto il contado oltre che i dirigenti del cantiere»[6]. E se questo accade nell’immediato, subito dopo si cominciò a pensare che quell’acqua, che intanto andava dispersa, avrebbe potuto essere utilizzata per altri fini, non esclusi quelli terapeutici. Cosicché ne furono inviati dei campioni «ad eminenti chimici» mentre, nel giro di qualche giorno, «giunse a Ripi uno dei dirigenti dello stabilimento termale di Salsomaggiore per vedere cosa si potesse fare». Si pensava, insomma, ad «uno stabilimento balneare»[7], ovvero termale, e già incominciavano a farsi grossi sogni quando la portata del getto d’acqua andò man mano riducendosi spegnendo così speranze ed illusioni.
Passò un anno, o poco più, e si tornò di nuovo a sognare: si pensava ora ad un raccordo fra Ripi e la ferrovia Roma-Napoli, via Cassino, ovviamente finalizzato al trasporto del petrolio: una speranza in qualche misura avallata dalla visita ai pozzi del Capo del governo ma purtroppo destinata a restar tale.
La visita di Mussolini, che avvenne sabato 4 aprile 1942, vigilia di Pasqua, era, piuttosto, da mettersi in relazione all’apertura del pozzo «Roma», anche se di fatto questa era già avvenuta.
Di questo avvenimento, a Ripi, non esiste memoria scritta. Però, qualcuno sostiene che tutto il petrolio dei pozzi circostanti fosse stato fatto confluire al pozzo «Roma» per creare una messinscena spettacolare. Ma c’è anche chi afferma che le cose andarono ben diversamente: nonostante la produzione fosse stata sospesa per tre giorni, sempre per migliorare l’«effetto scenico», al momento cruciale qualcosa non andò per il verso giusto e dal pozzo Roma non fuoriuscì nemmeno una goccia di petrolio.
Si tornò quindi alla quotidianità con le ultime illusioni frustrate dalla guerra. E qui altre storie legate al petrolio: c’è chi dice che i tedeschi misero le mine nei pozzi e fecero saltare tutto in aria; qualche altro, invece, addebita il tutto agli americani che i pozzi li avrebbero chiusi con il calcestruzzo forse per evitare l’eventuale concorrenza.
Poi il dopoguerra. Nella generale disperazione c’è pur sempre una speranza legata al petrolio per una sopravvivenza che diventa sempre più difficile. Alla fine, però, vinti, si è costretti ad emigrare.
Siamo agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso. Clara Falcone, firma di prestigio del quotidiano Il Tempo, si interessa, con un articolo in terza pagina, al petrolio di Ripi, per il quale, finalmente, sembra intravedersi un futuro roseo che, però, non ci sarà.
Riportarne un brano può rendere meglio l’idea: «Anni di illusioni, tentativi, raggiungimenti incompleti, hanno fatto di questa gente dei saggi. Quando si parla di petrolio loro sorridono e dicono ‘Chi sa? Forse potrebbe essere la volta buona’, ma non tradiscono allo sguardo, nel sorriso, un’ansia di felicità. O forse hanno paura.
«Perché? Lei ci crede?’ dice Lorenzo Recine, che noi andiamo a trovare in contrada San Giovanni. È un giovane dal viso aperto, gli occhi azzurri, la tuta sporca di olio: sta riparando un trattore in una specie di hangar che lo zio rilevò, spiega, quando l’Agip, dopo una serie di sondaggi nella zona, tolse le tende. Nella casetta attigua, una volta adibita ad uffici, la scritta Agip sopravvive solitaria. La zona è quella che ha in concessione la società italo-americana Lumex dal gennaio scorso, dopo alcuni anni di scavi eseguiti con il solo permesso del Corpo delle Miniere. Un bel colpo gobbo, bisogna dire, in caso di successo.
« Suo padre, chiediamo, che ne dice?’.
« Nemmeno lo sa ancora. E’ in America dove un mio fratello ha subìto una grave operazione. Intanto le cose vanno avanti lo stesso’.
« E lei?’.
« Io volevo comprare un pezzo di vigna a valle per fare tutto un appezzamento. Aspetterò. Certo sarebbe bello se ci fosse da star bene per tutti, qui, senza emigrare. Ma, al momento, è un augurio’.
« ‘Ripi conterebbe diecimila abitanti se la metà non si trovasse in America’ precisa il sindaco sul filo di quel motivo ricorrente. ‘Ogni anno io rilascio quasi cento passaporti nuovi. E’ gente che in gran parte va e viene, famiglie che si alternano a scaglioni. Dobbiamo alle loro rimesse se, eccezionalmente, questo non sia un comune in deficit’» [8].
[1] Angelo SABELLA, Origine, andamento e stato attuale delle ricerche di idrocarburi…op. cit. (II parte). In Rivista Economica della provincia. Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Frosinone. A. II, n. 11. Novembre 1952, p. 24.
[2] Angelo SABELLA, Origine, andamento e stato attuale delle ricerche di idrocarburi…op. cit. (II parte). In Rivista Economica della provincia. Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Frosinone. A. II, n. 11. Novembre 1952, p. 27.
[3] Idem.
[4] Il 2 ottobre 1943 la Compagnia dei Petroli Laziali si fonde nell’Azienda Generale Italiana Petroli cui, con decreto ministeriale 22 gennaio 1945, viene trasferita la concessione della facoltà di coltivare i giacimenti di petrolio siti in territorio del comune di Ripi .
[5] Angelo SABELLA, Origine, andamento e stato attuale delle ricerche di idrocarburi…op. cit. (II parte). In Rivista Economica della provincia. Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Frosinone. A. II, n. 11. Novembre 1952, p. 31.
[6] Mario COCCO, Il Colle di Ripi nei secoli. 1985, p. 123.
[7] Idem.
[8] Clara FALCONE, Un po’ di Far West in Ciociaria per il “ritorno” dell’oro nero. In Il Tempo. A. XXVIII, n. 234. Venerdì 27 agosto 1971.
© Costantino Jadecola, gennaio 2007