38 / LA NOSTRA GUERRA / RESISTENZA
Mentre il sud della provincia di Frosinone è sottoposto alla drammatica pressione della prima linea, al nord, dove i riflessi della guerra arrivano più attutiti, si ha la possibilità di potersi dedicare a promuovere iniziative finalizzate a rendere meno facile la vita ai tedeschi. Insomma, è la resistenza. Ed anche se da parte delle autorità locali della Repubblica Sociale Italiana si afferma che «atti di autentico ribellismo né formazioni di bande vi sono mai stati, sta di fatto, tuttavia, che un fenomeno del genere certamente ci fu, come, del resto, in qualche modo testimoniano i contributi che di seguito si propongono.
Ma prima di spostarci al nord della provincia, è il caso di registrare una memoria di Michele Ferridalla quale si ha notizia di azioni ordinarie di sabotaggio (tagli di fili telefonici, danneggiamenti di vie che portavano a villaggi rifugio di sfollati, ecc.) compiute dal padre, Orazio, nella zona di Posta Fibreno.
Egli ricorda che, però, «l’incarico più rischioso lo ebbe quando venne a Sora il gen. Ricciotti Garibaldi, nipote dell’Eroe, per una missione affidatagli dal più famoso fratello, gen. Peppino, rinchiuso nel carcere di via Tasso a Roma. Il Garibaldi, sotto falso nome (Avv. Tuccimei), doveva raggiungere le forze alleate in Campania, ma il pericolo costituito dal fronte di Cassino lo spaventava. L’avv. Antonio Loffredodi Sora convinse allora mio padre a far da guida al generale. La missione, pur tra rischi notevoli, fu portata a termine. Mio padre si ripresentò in famiglia dopo una settimana…».
A Sora, invece, si verifica questo episodio raccontato da don Ottavio Scaccia: «le belle giornate di Aprile indussero molti cittadini a fare per alcune ore una capatina al centro, normalmente dalle nove, le dieci, alle due, le tre. Gli incontri si facevano a Piazza Indipendenza con scambio di notizie. Radio Londra, i manifestini gettati dagli aerei alleati, alcuni fogli volanti e i giornali arrivati da Roma tenevano alta la conversazione. Ogni tanto qualche incitamento a mostrarsi capaci di qualche gesto di protesta contro i tedeschi ma subito esortazioni alla prudenza e a saper attendere senza provocare inutili danni. In occasione del Primo Maggio uscirono alcune ordinanze del Comando tedesco che ricordavano che non erano ammessi dalla legge di guerra assembramenti di persone. Si venne a sapere che nell’Italia occupata ci sarebbe stato uno sciopero generale, proclamato dalla resistenza. Qualcheduno azzardò la proposta che anche a Sora si facesse qualche cosa.
In effetti qualcosa ci fu. Il Primo Maggio verso le 9 alcuni gruppi di uomini, in maggioranza giovani, si misero seduti, stretti stretti uno appresso all’altro, sul muro di cinta della Villa Comunale decisi a non obbedire all’invito che certamente sarebbe venuto dai soldati tedeschi di ‘sciogliersi e di circolare’. Sennonché‚ i soldati tedeschi si limitarono, come al solito, a camminare a lunghi passi nello spazio tra il cippo a Corridonie il Corso, non badando o fingendo di non accorgersi della presenza di questi gruppi di giovani che furono lasciati in pace. Né ci fu alcuna provocazione».
Ma è dal nord della provincia, come si diceva, che arrivano più consistenti testimonianze sulla resistenza ai tedeschi e al fascismo in genere.
Di ciò che accade a Collepardo c’è una dettagliata testimonianza di Oreste Cicalè, lui stesso esponente del C.L.N. locale nonché sindaco, ininterrottamente, dalla liberazione: «Con il 1944 iniziò l’azione di sabotaggio vera e propria mediante l’interruzione di linee telefoniche nelle località di Collepardo, Alatri e Frosinone, capovolgimento della segnaletica stradale e lancio di chiodi a tre punte sulla strada Prenestina e Sublacense. Il 22 febbraio venivano attaccati automezzi tedeschi con lancio di bombe a mano nelle località Pitocco (Vico nel Lazio), nei pressi del cimitero di Alatri ed in Contrada S. Francesca di Veroli, provocando danni agli automezzi, la morte di un tedesco ed il ferimento di un altro. Nel mese di marzo continua l’opera sabotatrice, mediante lancio di chiodi a tre punte nelle strade. Nel mese di aprile si impose, necessariamente, una pausa a causa di arresti tra i partigiani, di rastrellamenti e di persecuzioni: infatti furono arrestati tre partigiani, due dei quali, De Rocchia Albertoe Ottaviani Filiberto, furono avviati al carcere di Paliano, mentre fu arrestato e condotto presso il famigerato carcere di via Tasso a Roma, il partigiano Ianni Luigi, che aveva aiutato, accompagnandolo, il Gen. Garibaldi ed altri resistenti verso i confini dell’Abbruzzo. Egli fu arrestato mentre i fascisti ed i tedeschi erano alla ricerca del compagno Nando Tunetti, rifugiatosi a Collepardo; egli, sempre ricercato, fu costretto poi ad andar via; successivamente arrestato, fu fucilato dai tedeschi alla ‘Storta’ sulla via Cassia, insieme ad altri patrioti.
Il 7 aprile i tedeschi ed i fascisti organizzarono un rastrellamento in grande stile con circa 500 elementi nelle località di montagna tra Collepardo, Certosa di Trisulti e San Nicola di Civita, con lo scopo preciso di smantellare la banda dei partigiani di Collepardo. Il rastrellamento non ebbe risultati positivi, però furono arrestati numerosi cittadini e sfollati, tutti uomini che furono inviati a lavorare nelle retrovie di Cassino.
Continua in seguito l’azione di sabotaggio con trafugamento di materiale vario (macchina per scrivere, apparecchio radio e documenti vari) in dotazione presso la sede del Fascio repubblichino, la stampa a mano e pubblicazione notturna di volantini contro i fascisti e i tedeschi.
I collegamenti con l’esterno erano tenuti con il Gen. Padovanie Contii quali facevano recapito a Fiuggi; con il comandante Giannettiche risiedeva a Paliano, mentre altri collegamenti, sempre saltuari, venivano tenuti anche con Roma, tramite compagni che fungevano da staffette.
Nel mese di maggio venne particolarmente ostacolata la ritirata dei tedeschi con lancio di chiodi, bottiglie incendiarie e bombe a mano contro gli automezzi tedeschi lungo la strada statale di Alatri immobilizzando per varie ore il traffico e permettendo, quindi, il mitragliamento degli automezzi da parte degli aerei alleati. Ciò avvenne nella notte tra il 22 e il 23 maggio, mentre nelle notti successive vennero organizzati appostamenti contro pericolosi fascisti che scappavano. In uno di questi appostamenti venne liberato del bestiame razziato, mentre in un altro conflitto a fuoco furono fatti prigionieri 3 tedeschi e un altro rimase ucciso.
Il primo giugno fu sventato il tentativo tedesco di far saltare la Chiesa di S. Rocco, che era stata adibita dai nazisti come ripostiglio di munizioni. Nello stesso giorno, in attesa dell’arrivo degli alleati, il Comitato di Liberazione Nazionale, già costituitosi in Collepardo, assunse la direzione del paese, con relativo fermo di tutti gli elementi responsabili di collaborazione con i tedeschi».
Anche a Guarcino, scrive Giuliano Floridi, «sorse un movimento partigiano guarcinese, capeggiato da Arnaldo Bianchi(che per ben 6 volte riuscì ad evitare l’arresto da parte degli occupanti) collegato ai gruppi partigiani di Collepardo e Fiuggi, i cui aderenti poterono più volte trovare un sicuro asilo ad Anagni nella casa del notaio Giovanni Floridi. Quest’ultimo per questa sua attività, oltre che‚ per le sue dichiarate idee antirazziste, rischia la fucilazione da parte dei tedeschi.
La resistenza, però, ebbe le sue vittime. I nazisti in Guarcino uccisero Alfonso Milani.
A Fiuggi, i primi giorni di gennaio, il gruppo locale si impadronisce di armi dei tedeschi i quali, comunque, non reagiscono.
Solo alcuni mesi dopo, il primo maggio 1944, attuano un rastrellamento in montagna, in grande stile, durante il quale, però, vengono catturati solo due ufficiali inglesi, sorpresi in una grotta mentre trasmettono informazioni via radio al proprio comando.
Una vittima, però, la si deve registrare il 3 giugno quando i tedeschi torturano e poi fucilano Carlo Rengo.
Ad Anagni, il 5 maggio il gruppo guidato da Anemone Leones’impossessa di 600 bombe da mortaio prelevate da un deposito tedesco; il 18, invece, di bestiame in precedenza razziato dai tedeschi e di materiale vario da un loro deposito presso Fiuggi.
Ad Acuto, sin dall’autunno del ’43 si segnala la banda agli ordini di Enrico Martucciche opera in collegamento con quella di Fiuggi.
A dicembre risulta costituita da due nuclei, uno di 80 e l’altro di 100 uomini, che operano nella zona della Macchia ma in condizioni precarie essendo dotati di scarso armamento e pochi rifornimenti.
Tra le altre azioni, un attacco, il 17 aprile, ad un camion tedesco lungo la strada Acuto-Piglio, che provoca 16 morti e vari feriti, un assalto, il primo maggio, ma da parte del nucleo Germini, che appartiene anch’esso alla banda Martucci, ad un deposito di munizioni ed esplosivi sulla strada Colle Burano-Acuto, ed un altro assalto ancora, il 4 maggio, ad un deposito di foraggi ad Acuto; il 10 maggio, infine, sempre ad Acuto, due partigiani, Guidonie De Stefani, disattivano le munizioni di un deposito tedesco.
Come a Piglio, dove i partigiani locali, il 27 gennaio, dopo aver assalito ed ucciso le guardie tedesche, svaligiano un deposito di viveri, anche a Filettino è molto intensa l’attività partigiana nella quale si distinguono Silverio Benassi, il segretario comunale Giuseppe Cicala, Giuseppe Latinie Domenico Cicala.
Quest’ultimo, in una relazione autografa inviata il primo luglio 1944 alla commissione interalleata di controllo e all’allora presidente del consiglio Ivanoe Bonominarra, non senza un pizzico di enfasi e di autoesaltazione, la sua vicenda di prigioniero, già condannato a morte dal Tribunale Germanico dell’Aquila il 24 maggio 1944 per l’assistenza fornita ad antifascisti ed antinazisti, e la sua fuga durante il viaggio di deportazione in Germania.
Ma è a Paliano che, agli ordini di Enrico Giannetti, un reduce della guerra di Spagna, dove ha combattuto con le brigate internazionali, opera il gruppo forse più organizzato della zona. Trasporto di materiale bellico, propaganda politica ed atti di sabotaggio ne costituiscono le attività preminenti. Tra questi ultimi sono da segnalare l’attacco ad una colonna tedesca, appena dopo l’annuncio dello sbarco di Anzio, con morti e feriti tra i soldati tedeschi; un attacco il 2 febbraio, sulla Paliano — Anagni, ed un altro il 12, tra Paliano e Colleferro, ad autocolonne tedesche; la liberazione, il 16 febbraio, a Paliano, di 3 ex prigionieri sovietici che erano stati catturati; il mitragliamento, a fine mese, di un camion tedesco che trasporta truppe. All’azione dei locali si uniscono anche due russi che la sera del 9 marzo, mentre sono diretti a Palestrina, uccidono due tedeschi spogliandoli di quanto hanno addosso.
Probabilmente infastiditi da queste azioni, ovvero anche per reazione a questi attacchi, il 29 aprile i tedeschi uccidono in località Mole 17 persone tra cui alcune in precedenza catturate in altri centri della provincia e poi tenute prigioniere nel carcere locale. Tra queste ci sono Francesco Rossi, Calogero Pedal e Costantino Valeri di Ceprano e Alfredo Andreozzi, Giovanni CeccarellieGiovanni Riccidi Castro dei Volsci, tutti presi il 30 gennaio in località Monticelle di Falvaterra e condannati a morte dopo un processo sommario; ci sono, ancora, Alfredo, Pietro, Romoloe Alessandro Dell’Omoe Antonio Colavecchitutti e cinque catturati a seguito dell’uccisione del maresciallo tedesco a Piglio, il 18 marzo e, infine, altri sei di cui non si hanno altre informazioni tranne che i nomi: Paolo Appetito, Sabina Caporilli, Domenico Ceccaroni, Arturo Pozzuoli, Domenico Riccie Concetta Tozzi.
Alcuni giorni dopo, il 2 maggio, ad Alvito, per non aver voluto «rivelare dove era nascosto un soldato alleato», i tedeschi uccidono Giuseppe Testa, originario di Morrea, che, scrive Arrigo Paladini, aveva organizzato «un centro di assistenza clandestino per ex prigionieri e soldati sbandati» (36, continua).
© Costantino Jadecola, 1994