36 / LA NOSTRA STORIA / L’INFERNO SUL MONTE CAIRO
Alle spalle di Montecassino, la possente mole del monte Cairo, nell’inferno di quei lunghi giorni di fuoco, diviene, ancora una volta, un punto di riferimento. Ancora una volta perché tale ruolo quel monte già lo ha egregiamente svolto in passato, in circostanze analoghe.
Cosicché, quando si ha la sensazione che questa guerra non finirà tanto presto e che la pianura sta diventando terribilmente infida si prende la via del monte e si cerca protezione tra le sue pendici. Di diverso dal passato c’è solo il fatto che se nelle precedenti circostanze nessuno si preoccupa di inseguire questa gente, in questa guerra, che è certamente molto diversa dalle precedenti, c’è, invece, questo fatto nuovo del quale, peraltro, gli sfollati o i residenti dei villaggi e dei paesi del monte Cairo si rendono conto, sulla propria pelle, abbastanza presto.
E già successo qualche altra volta da quando la guerra si è stabilizzata da queste parti ma non certo nella misura in cui, a marzo, viene attuata una evacuazione in grande stile di tutti coloro i quali vivono sulle pendici del monte: da Terelle a Montattico, da Mortale (ora Monforte) a Casalattico, da Casalvieri a Roccasecca, da Piedimonte San Germano a Colle San Magno che è certamente il comune più appartato.
Forse, proprio per questo, scrive Antonio Evangelista, «era zona di deposito di armi, munizioni e viveri per i tedeschi fortificatisi nella zona di Monte Cairo. Nelle campagne vi erano sette cucine militari che provvedevano al rifornimento delle truppe che operavano in montagna. I rifornimenti avvenivano a mezzo muli che a sera salivano per portare viveri e munizioni e, al ritorno, portavano a valle i morti caduti in combattimento».
A Terelle, una quarantina di sfollati trova ospitalità nella grande casa che fu del filosofo Antonio Tari: tra gli altri, l’avvocatoUmberto Grosso, la madre novantenne e paralitica, marchesa Emilia Carpentieri, e l’avvocato Guido Spirito, anche lui impossibilitato a muoversi. Quando i tedeschi danno l’ordine di sgombero, l’avvocato Grosso è costretto, suo malgrado, ad aderire a quell’ordine ma, appena può, taglia la corda e torna a casa, riparando, con la madre e l’avvocato Spirito, nei sotterranei dell’edificio, certo di farla franca. Ma così non è: scovati dai tedeschi, vengono trucidati. I corpi restano abbandonati a se stessi per alcuni mesi, sino a quando, cioè, l’8 agosto, non vengono rimossi per poter finalmente beneficiare di cristiana sepoltura nel cimitero locale.
Analoga sorte è quella del prof. Tommaso Pianoe della madre ottantenne Giovanna Cantasale, cui i tedeschi impongono di andar via da Terelle. Scrive Tancredi Grossiche «alle umili osservazioni della poveretta, la quale, piangendo, si sforzava di far loro comprendere il suo stato di impotenza, risposero con una scarica di moschetto che la fece stramazzare al suolo. A vedere la mamma, un attimo prima implorante misericordia, giacere nella immobilità della morte, il prof. Piano, in preda a un dolore intenso, folle, selvaggio, con le mani alzate in segno di disperazione, si diede a gridare: ‘Che avete fatto?! Avete ucciso mia madre! Mia madre, mia madre! Uccidete anche me! Una seconda scarica freddò lo sventurato, il cui corpo, crivellato di colpi, stramazzò su quello della madre».
A Mortale, i tedeschi già si erano fatti vivi il primo di novembre; tornano che è l’alba del 4 marzo. Sono in molti quelli venuti a rifugiarsi in questo discreto ed appartato villaggio. Sappiamo da Pietro Vassalliche, di Atina, ci sono le famiglie del comm. Teodoro Mancini, del notaio Vincenzo Tutinelli, i cui figli erano stati deportati dai tedeschi nel campo di concentramento di Reicheren, quella del «titolare postale» Paolo Wulzer, del sarto Adolfo Valente, di Michele Sabatini, del fabbro Biagio Coppola, di Michele De Luca fu Vincenzo, di Luigi Pagano, dell’ex segretario comunale cav. Carlo Tutinelli, di Leonardo Rossidi Michele, di Giuseppe Ambrosi, di Bernardo Valente. E, poi, l’ottuagenario esattore dell’imposte Vincenzo Bologna, Antonio Gallo,Antonio Fallena, la novantenne signora Giuseppina Marrazzacon i figli Luigie Loreto.
Compiuto un “fruttuoso” rastrellamento, i tedeschi avviano tutti alla frazione di Sant’Andrea dove ci sono ad attenderli vari camion: la prima tappa è Casalvieri; da lì, per chi non riesce a fuggire, le destinazioni sono i “campi” delle officine Breda e quelli di Cesano di Roma. Vengono tuttavia “risparmiati” gli uomini validi, utilizzati, sotto la minaccia delle armi, per la costruzione della strada fra Casalattico e Mortale.
Scrive Pietro Vassalli che «Lo sfollamento improvviso del ‘Mortale’ fu provocato dai tedeschi con il pretesto che nella zona si dovevano svolgere operazioni belliche di alta importanza; invece lo scopo principale fu quello di saccheggiare e depredare tutto, viveri, indumenti e di catturare il numeroso bestiame che ancora era nascosto nei boschi. Vero è che alcuni del luogo coadiuvarono i tedeschi alla grande ladresca impresa!».
Sempre quel 4 marzo 1944 deve registrarsi un tragico episodio accaduto in territorio di Terelle, a contrada colle San Pietro. Sono circa le dieci del mattino ed è in atto un forte cannoneggiamento alleato. Riferisce Italo Fortunache «in una abitazione si erano raccolte 21 persone: si erano rifugiate nella stanza ritenuta più sicura. Ad un certo istante in quel vano penetrò una granata che, scoppiando, provocò una carneficina. Sette persone rimasero uccise all’istante, sette rimasero ferite più o meno gravemente, mentre altre sette rimasero illese. Questo episodio è rimasto sempre vivo nel ricordo dei sopravvissuti soprattutto per la curiosa ripartizione dei morti, dei feriti e degli illesi. Tuttavia la lista dei morti si allungò successivamente a nove per la sopraggiunta fine di due feriti»: Giuseppe Paolella, Anna Maria Pecchia, Nazzareno Tari, Nazzareno Vocellaed i figli Mariae Tommaso, Saverio Vocellaed il figlio Celestino. La nona vittima sarebbe stata un soldato sbandato di cui si ignora il nome.
Ma a Terelle, che da gennaio si trova praticamente dentro la linea di fuoco, le vittime mietute dalla guerra tra la popolazione civile si contano a decine: tra le altre, il 24 gennaio lo scoppio di una granata provoca la morte del dott. Ottorino Del Focodi Cassino ed il ferimento dei figli Oresteed Erberto; peraltro, quella stessa sera muore di dolore un prozio del dott. Del Foco, Edoardo; per analoga causa, a contrada colle Maltempo, l’8 marzo perde la vita Maria Paolellamentre Benedetto Paolellae Vittorio Vincenzo Grossirimangono feriti.
La strada di Casal delle Mole era in quei giorni molto frequentata: tutta gente che si sposta verso Casalvieri. Ma le stesse case di quella contrada sono animate dai propri residenti mentre la piccola chiesa si avvale delle cure di un sacerdote, padre Angelo Di Fonso, tornato da Napoli al luogo nativo per via delle vicende belliche.
La giornata era assolata e c’era anche chi si attardava a godersi il sole quando, intorno a mezzogiorno, iniziò un violento cannoneggiamento da parte degli alleati che si concretizzò in un tragico bilancio. Rimasero uccise, infatti, Francesca Minicilli, del luogo, Beatrice Marselladi Montattico ed altre sei persone mai identificate. Scrive Italo Fortuna: «Padre Angelo per tre giorni vegliò le salme. Poi tagliò a ciascuna di queste una ciocca di capelli, che conservò in sei buste, per mostrarle ai familiari nella eventualità di un loro ritorno sul posto, per un eventuale riconoscimento. Dopo tre giorni le salme furono trasportate al cimitero dei Roselli, dove furono inumate in una fossa comune».
Ancora da Italo Fortuna vale la pena sentire la storia capitata a Beatrice Marsella: «La sera del 6 marzo era salito a Montattico un tedesco che aveva preso una certa confidenza con una famiglia del luogo.
«Costui poco prima, prendendo visione del piano di operazione del giorno successivo, aveva notato che ci sarebbe stata una azione per evacuare anche quella contrada. Corse quindi ad avvertire di ciò la famiglia che conosceva. La notizia fu immediatamente divulgata, sicché tutte le famiglie ancora residenti nella zona si apprestarono a fuggire. Tra queste la povera Beatrice Marsella. Alle prime luci dell’alba, accompagnata dalla nipotina Brigitta, ora residente a Dublino, si avviò per il sentiero che porta a Casalattico, spingendo l’asino carico di masserizie. (…) Nella discesa verso Casalattico e fino al Melfa il gruppo di sfollati non ebbe disavventure. Beatrice era giunta quasi fino al Melfa, quando ricordò di aver dimenticato il suo piccolo gruzzolo di danaro. Lo aveva lasciato sotto il materasso.
«La donna accompagnata dalla nipote tornò indietro, mentre gli altri sfollati proseguirono per la loro strada. Raggiunse nuovamente la propria abitazione e recuperò il denaro che aveva dimenticato. Riprese quindi la via della valle e giunse al ponte Romano.
«Poco più avanti si trovò all’appuntamento con la morte, per il lungo viaggio per l’eternità. Il suo asino la accompagnò anche in questo viaggio. Rimase illesa, invece, la nipote Brigitta».
In una delle grotte che si aprono lungo il fossato Sant’Amasio, a Piedimonte San Germano, hanno trovato rifugio il parroco di Santa Maria Assunta, don Gaetano De Paola, con i due anziani genitori (ma il padre, allo stremo delle forze, morirà), due sorelle ed un’altra donna, Cristina Mastrangeli. Il 27 marzo, una pattuglia di soldati tedeschi che passa da quelle parti, sottopone gli sfollati, pena la morte, ad una minuziosa ispezione “fortunatamente” interrotta dall’arrivo di alcuni aerei alleati che fanno temere un bombardamento. Passato lo spavento, però, i soldati “ritornano alla carica” ed a nulla vale l’intervento di don Gaetano che, anzi, dopo essere stato sbeffeggiato, viene condotto in un non lontano oliveto dove il sacerdote è costretto a caricarsi di un tronco d’albero ed a salire verso la sommità della collina di Sant’Amasio. Ad un certo punto lo fanno fermare e consegnatagli una scure ordinano a don Gaetano di fare a pezzi il tronco.
Non si sa come questa storia sarebbe potuta finire se un altro provvidenziale stormo di aerei alleati non avesse posto in fuga i soldati.
Ma sulle pendici di monte Cairo fioriscono anche altre storie: come quella, riferita da Pio Valeriani, il quale racconta che qui alla fine di febbraio, riesce a guadagnare una medaglia di bronzo al valor militare il caporale Riccardo Evangelistadi Monte San Giovanni Campano o come questa riferita dagli alunni della scuola media di Terelle: «I tedeschi, durante la ritirata, avevano nascosto dell’oro sotto un grande sasso, in mezzo ad una pianura vicino a Colle S. Magno.
Finita la guerra, molti pastori portarono le loro pecore al pascolo in quella pianura senza sapere che sotto vi fosse una grande ricchezza.
Una notte arrivarono due macchine e tre camion con targhe straniere: scesero degli uomini e si misero a cercare qualcosa; ad un tratto sembrò che avessero trovato quello che cercavano e mentre alcuni scavavano il terreno, altri, dai camion, sorvegliavano che nessuno si avvicinasse.
Tre pastori videro tutto ma non ebbero il coraggio di avvicinarsi temendo di essere uccisi.
Gli uomini continuarono a scavare, estrassero qualcosa dalla buca e andarono via.
Solo il giorno dopo, quando non c’era più nessuno, i tre pastori ritornarono in quello stesso posto, videro la buca scavata ma dentro vi era rimasto solo la sagoma di una cassetta e un fucile tedesco.
Nei giorni seguenti, i pastori scavarono molto nella zona ma trovarono solo una cassa di munizioni. Intanto, più il tempo passava e più litigavano fra loro rimproverandosi a vicenda di non aver avuto il coraggio necessario per diventare ricchi.
Ancora, soprattutto di notte, attendono e sperano di rivedere altri tedeschi ritornare a prendere altro oro nascosto, convinti che adesso avrebbero il coraggio di affrontarli, di impadronirsi di una ricchezza che del resto spetta loro e di riscattare la paura di una notte (36, continua).
© Costantino Jadecola, 1994.