21/ LA NOSTRA GUERRA / 1943, LA FINE
La vicenda dei soldati italiani dell’84.mo fanteria, trasferiti nel Lazio meridionale per dare una mano ai tedeschi a realizzare le fortificazioni, deve stare talmente a cuore al capo della provincia Arturo Rocchi che il 27 dicembre egli torna sull’argomento con un’altra nota indirizzata al capo di gabinetto del ministero dell’Interno, Pagnozzi, nella quale riferisce di una sua visita «ai reparti militari italiani dell’Organizzazione Todt», ad Aquino ed a Piedimonte San Germano, compiuta alla vigilia di Natale insieme al dott. Sergio Pepali, capo della segreteria politica dei fasci repubblicani di Frosinone, ed al colonnelloPighini, comandante militare della provincia. Scrive Rocchi: «Ad Aquino ho incontrato il comandante del Battaglione e gli ufficiali addetti al Comando, con i quali ho lungamente conferito. Dagli stessi ho assunto i seguenti dati: militari n. 524, ufficiali n. 24. Hanno disertato finora 324 uomini di truppa. Ho dovuto constatare come il morale degli uomini costituenti i reparti sia notevolmente depresso. Privi di ogni assistenza e di ogni conforto, disorganizzati per difetto assoluto di mezzi motorizzati e non motorizzati, occorrenti al collegamento tra i vari reparti, conducono il loro lavoro soltanto per spirito di disciplina ma senza alcun entusiasmo per il loro impiego.
«I reparti vengono impiegati in faticosi lavori di fortificazione che non sono in grado di sostenere perché fisicamente e moralmente inidonei provenendo la maggior parte dall’ambiente studentesco giovanile. Si sentono e sono completamente abbandonati dai Comandi Superiori. Gli Ufficiali, tutti disarmati, si prodigano alacremente, ma sono anch’essi molto depressi e mi hanno ripetutamente espresso il loro rammarico per una così disastrosa affermazione del nuovo Esercito Repubblicano.
«Difettano pure di medicinali tanto che ho già provveduto ad inviare al Comando del materiale di medicazione, riservandomi ulteriori invii specialmente per quanto riguarda i vaccini.
«Le Autorità Germaniche, pur apprezzando gli sforzi degli Ufficiali e dei soldati, non hanno mancato di criticare l’inefficienza dei reparti impiegati per difetto di organizzazione.
«A questo primo Battaglione dovrà essere associato, come mi ha comunicato il Comandante, un altro Battaglione dell’Arma del Genio che a giorni sarà avviato in località Piedimonte S. Germano.
«In occasione della mia visita ho distribuito alla truppa i generi di conforto offerti dalla Federazione dei Fasci Repubblicani di Frosinone».
Intanto, la polizia tedesca rintraccia 13 dei 324 disertori i quali vengono immediatamente processati secondo la legge marziale di guerra dal tribunale militare germanico. Sono condannati alla pena di morte Luciano Lavacchini, Giorgio Grassie Pierluigi Banchi- che verranno fucilati a Frosinone il 6 gennaio — mentre se la cavano con dieci anni di reclusione Angelo Terinaci, Severino Becchi, Rocco Pierucci, Adriano Brigandi, Vladimiro Colomani, Otello Giannini, Fernando Bocci, Luciano Paoli, Leone Lizzie Aldo Pierucci.
Arturo Rocchi, nel segnalare il 13 gennaio la notizia al ministero dell’Interno, evidenzia che «gli ufficiali italiani del Battaglione hanno commentato poco favorevolmente il comportamento delle Autorità Germaniche che si sono avocate il diritto di giudicare i militari italiani quando per gli stessi funziona regolarmente un competente organo militare italiano giudicante».
Ulteriori informazioni — ma sono anche le ultime — sui reparti italiani di supporto all’organizzazione Todt dislocati ad Aquino e Piedimonte San Germano datano 11 febbraio e sono anch’esse fornite da una lettera al ministero dell’Interno dal capo della provincia Rocchi nella quale si lamenta la non ancora avvenuta istituzione di un ufficio postale tramite il quale consentire ai soldati «il collegamento epistolare con le proprie famiglie lontane» ed il mancato invio di calzature: «Per tale deficienza non solo alcuni militari non possono essere impiegati nei lavori di fortificazione affidati ai battaglioni, ma il disagio che ne consegue ha provocato ripetute richieste di immediato avvicendamento per l’ulteriore eventuale impiego in azioni di guerra».
Zona neutra
Il 30 dicembre, di buon mattino, un motociclista tedesco arriva a Montecassino. Ed è subito panico. DonEusebio Grossettie don Martino Matronolariferiscono, infatti, nel loro diario che «la gente è cominciata a fuggire credendolo venuto per lo sfollamento già annunziato. Invece egli è venuto per comunicare ai tre gendarmi l’ordine di rimanere, nonostante il ritiro della loro Divisione. Ha portato finalmente la dicitura da apporsi ai limiti della zona internazionale». Dice: «Zona interdetta. L’ingresso nell’area dell’abbazia entro un raggio di 300 metri è vietato a tutto il personale militare. 30.12.43. Il Comando di Divisione».
Scrive, infatti, don Tommaso Leccisottiche «ai primi di dicembre il comando militare germanico comunicava all’Abate che, per salvaguardare sì insigne monumento da offese belliche, aveva stabilito una zona di trecento metri intorno alla badia interdetta a qualsiasi militare e ad ogni installazione guerresca. Alla porta soltanto del monastero, su richiesta dello stesso Abate, vigilavano tre gendarmi». Poi, precisa che «in realtà si trattava di una misura presa dai Tedeschi per conto proprio. Non vi fu nessun accordo bilaterale e ufficiale: forse vi si sarebbe giunti, se gli eventi ne avessero lasciato il tempo. Che però il monastero fosse immune da usi militari era ben noto ad ambedue le parti: solo che le asserzioni dell’una non trovavano credito nell’altra, che esigeva maggiori garanzie».
C’è, comunque, un’agenzia Stefani, l’odierna Ansa, del 9 dicembre secondo cui «corre voce al Vaticano che il Papa abbia ottenuto assicurazione dalle potenze belligeranti che la collina sulla quale sorge l’abbazia di Montecassino non sarà munita di opere di fortificazione e non sarà obiettivo di attacchi aerei».
Ma chi è rimasto a Montecassino dopo che il monastero è stato privato dei suoi tesori d’arte e che, pur tra le più o meno credibili assicurazioni di “neutralità”, si trova, di fatto, in pieno scenario bellico?
Della comunità monastica sono rimasti don Gregorio Diamare, che ha 79 anni, don Oderisio Graziosi(39), don Martino Matronola (40), don Agostino Saccomanno(34), don Nicola Clemente(33), don Eusebio Grossetti (33), fra Carlo Pelagalli(79), fra Pietro Nardone (39), fra Giacomo Ciaraldi(30), fra Romano Colella(24), fra Zaccaria Di Raimo(30), don Francesco Falconiodel clero secolare della diocesi, e Giuseppe Cianci, quasi oblato. Inoltre, alcuni documenti parlano della presenza di circa 150 civili. E’ una cifra sicuramente errata per difetto: i profughi, infatti, sono molti di più. E poi la gente è salita o continua a salire a Montecassino non solo perché non ha dubbi sulla sicurezza offerta dal monastero ma anche perché‚ talvolta è sollecitata dagli stessi tedeschi che hanno, evidentemente, analoga convinzione.
Ma come finisce quel 1943 che, in effetti, non ha fatto nulla per meritarsi almeno un discreto ricordo?
A Montecassino, don Eusebio Grossetti e don Martino Matronola il 30 dicembre annotano nel loro diario «forti bombardamenti a S. Elia e verso Roccasecca» e «nella mattinata forti azioni verso Vallerotonda e S. Vittore«; in serata e durante la notte, al contrario, la situazione è «più calma. «Meteorologicamente» parlando, invece, «giornata bella e notte ancora più bella».
L’ultima notte
Il giorno successivo, tanto per restare in linea con l’anno di cui è l’ultimo, si registra un netto peggioramento su tutto il fronte, sia bellico che meteorologico, come riferiscono sempre i due monaci benedettini: «Stamane il vento si è voltato in scirocco e pioggia. Il cannone ha quasi taciuto, solo qualche sporadica salve. Nel tardo pomeriggio d. Falconio ci ha offerto frittelle, dolci e vino alla solita ricreazione nella Curia Diocesana. Giornata nel complesso calma anche da parte di importuni. Verso sera sono invece arrivate granate molto vicino. E’ giunta voce che abbiano tolte le munizioni.
«Mentre eravamo nell’infermeria di giù dopo la cena, a guardare le azioni dell’artiglieria, vediamo le granate arrivare nella valletta al di qua del cavalletto: ci ritiriamo in buon ordine nel rifugio. Nella notte si è levato un vento terribile e violento da Nord.
«E’ finito un terribile anno; ma non è mai mancata la Divina provvidenza, anche nei più gravi momenti. E’ un anno che sarà memorabile nella storia della nostra Badia come lo è per la storia della nostra povera patria perduta e vilipesa, circondata da nemici e priva di sincera amicizia. Dio perdoni le nostre mancanze e ci compensi dei giorni della prova tremenda e meritevole».
Altrove, ma più lontano dalla linea del fronte, quella notte dell’ultimo dell’anno il cannone nemmeno si sente; il cattivo tempo, invece, è generalizzato ed imperversa su tutto il Lazio meridionale.
A Frosinone, riferisce padre Francesco Tatarelli, «dopo le ventiquattro il vento si fece ancora più impetuoso, con un crescendo rapido fino a diventare un vero ciclone che soffiava rabbioso spazzando via tutto ciò che incontrava sul suo cammino. Le mura del convento oscillavano alle spinte del turbine e minacciavano di crollare ad ogni momento. Il tetto della sala dell’Oratorio fu completamente travolto: grondaie, canali, infissi delle finestre sradicati e lanciati nel vuoto roteavano nell’aria come foglie d’autunno venendo a sbattere contro finestre e porte e arrecando così altri danni. Alberi di alto fusto furono schiantati e abbattuti come fuscelli.
«Nella nostra macchia F. Vito, accorso a constatare i danni, contò ben ventotto querce stroncate dalla furia dell’uragano.
«Nelle campagne il disastro non fu minore. Case e baracche improvvisate per gli sfollati, ne restarono seriamente colpite.
«Ma ci fu ancora un fenomeno curioso, che io dopo tanti anni non mi so spiegare; perciò ne riporto il racconto con le stesse parole della cronaca del convento:
«‘Alle ore ventiquattro un’infinità di lampioncini di diversi colori sono gettati nelle campagne che circondano Frosinone; poi si sentono molti colpi di moschetto e un incalcolabile numero di colpi di pistola. Da principio un timore panico invade tutta la popolazione: si temeva una visita come quella del 12 settembre, in cui Frosinone fu bombardata per la prima volta. Ci si accorge poi che i lampioncini e i colpi erano per festeggiare l’anno nuovo’». Eppure, ad Alatri, nel pomeriggio del 31 dicembre, «per ordine del Comandante Tedesco si getta il bando che è proibito sparare per il nuovo anno», come puntualmente annota Angelo Sacchetti Sassetti.
Tuttavia quella notte è il maltempo a farla da padrone anche se la circostanza del capodanno non viene “dimenticata”. Ricorda Pasqualino Riccardi, che a Caprile di Roccasecca, «mentre nella zona infuriava un vento spaventoso che nella sua violenza devastatrice sradicò querce secolari nella campagna, i militari vollero festeggiare l’arrivo del nuovo anno con spari infernali, lancio di numerosi razzi colorati, canti tradizionali della loro terra lontana, balli, brindisi, cui invitarono la popolazione. Enorme fu lo spavento dei vecchi del paese i quali pensarono, a tanto frastuono, all’arrivo delle truppe anglo-americane liberatrici» (21, continua).
© Costantino Jadecola, 1993.