19 / LA NOSTRA GUERRA / UN NATALE PIENO DI ANGOSCIA

Quel Natale del ’43, ma anche il successivo Capodanno, quei giovani soldati italiani dell’84ofanteria, inviati sul finire dell’anno a dar man forte ai tedeschi e sistemati alla meglio tra Aquino e Piedimonte San Germano, non lo avranno certo dimenticato tanto facilmente. A parte il fatto che il loro aiuto sarebbe stato molto relativo, e non certo per mancanza di buona volontà, sul loro stato fisico e morale riferisce, se vogliamo con dovizia di particolari, lo stesso capo della provincia di Frosinone in una lettera indirizzata al Ministro dell’Interno (21 dicembre). Dopo aver chiarito che essi «provengono da Firenze e sono stati dislocati nelle predette località per essere adibiti a lavori di fortificazione militare», Arturo Rocchi, infatti, scrive: «Partiti al comando del Maggiore Pellegrini, con 24 ufficiali, 12 sottufficiali e 836 uomini di truppa, provenienti dalle reclute del 1924 e 1925, senza alcun inquadramento e senza addestramento per i lavori in cui vengono impiegati, sono privi di ogni forma di assistenza morale e materiale. Fino ad oggi si sono dovuti registrare oltre trecento casi di diserzione, motivati per la maggior parte dal fatto che, trattandosi di studenti, non sono in grado di sostenere le fatiche di un lavoro pesante e puramente manuale. Si segnala quanto sopra con preghiera di invitare il competente Ministero della Difesa nazionale ad inquadrare ed addestrare i reparti prima di avviarli nella zona di impiego, con una autonomia organizzativa ed in condizioni di potersi disimpegnare con la regolarità necessaria per il funzionamento di unità organiche. Questo se si vuole che il nostro glorioso esercito possa riprendere il suo posto degnamente accanto a quello alleato».
Ma non accade assolutamente niente. Anzi.
Intanto arriva Natale che, data la situazione, non può non essere che un Natale diverso: la guerra, ormai, è dietro l’angolo se non, addirittura, dentro casa. Anzi, scrive Tancredi Grossi, «proprio nella notte tra il 24 e il 25 dicembre, la battaglia infuriò con più violenza. Gli artistici templi di Cassino, dove, a quell’ora, piccole lampade avrebbero dovuto ardere dinanzi al presepe del Bambino, venivano sacrilegamente colpiti dalle cannonate».
A Montecassino, verso le due pomeridiane di venerdì 24 dicembre, ha inizio, nella cripta piena di fedeli, «la funzione della notte» nel corso della quale l’abate Diamare celebra la messa. Quando il rito sta per terminare arriva il generale tedesco von Senger und Etterlin, un cattolico praticante, che avrebbe voluto assistere alla funzione: tornerà a quella del giorno di Natale, anche questa officiata dall’abate, durante la quale si accosta ai sacramenti. Ma a Montecassino non resta più di tanto perché al suo quartier generale di Roccasecca ne è in programma un’altra per i suoi uomini e, dice, non intende mancarvi.
Al convento dei Carmelitani Scalzi di Ceprano, dove da una ventina di giorni i tedeschi hanno installato un ospedale che ha una disponibilità di 95 posti letto (è distinto dal numero 41604) le sacre funzioni sono officiate da padre Angelico d’Arpino. Egli annota nel diario del convento che «nei due corridoi del pianterreno sono state imbandite vastissime mense per tutto il personale e pei feriti non gravi. La loro celebrazione è consistita nel bivaccamento che si è protratto per tutta la notte. Evidentemente i tre religiosi qui rimasti, P. Angelico, P. Costanzo e Fr. Gabriele di Maria Santissima si sono mantenuti estranei. I fedeli riversatisi nelle casette di campagna non hanno mancato di accorrere numerosi alle sei SS. Messe che i Padri hanno celebrato in ore distinte per dar modo ad essi di soddisfare alla loro pietà. Moltissimi si sono confessati e comunicati. La Messa della mezzanotte, per la disciplina dell’oscuramento, è stata celebrata alle ore 5».
Il giorno di Natale, poi, riferisce sempre padre d’Arpino, «un sacerdote tedesco dell’ospedale, semplice soldato, alle ore 17 ha celebrato una S. Messa per i pochissimi cattolici tedeschi del suo reparto. Sono stati circa una ventina».
Ad Arpino, l’immediata vigilia di Natale è turbata da un episodio sul quale riferisce Urbano Fiorentini: «All’angolo tra Via Giuseppe Cesari e Via Bernardino Cesari vi era un bar dove i tedeschi, provenienti dal fronte di Cassino, erano soliti trascorrere le ore dei loro turni di riposo, bevendo e cantando. In quel locale si recava ogni giorno una povera donna — si chiamava Pantano Rosaed aveva 35 anni — la quale cercava di guadagnare qualche lira vendendo castagne, bruscolini e croccantini. All’alba del 23 dicembre fu trovata morta in Via Bernardino Cesari, freddata in pieno petto da un colpo di pistola calibro 9. Il foro del proiettile era ben visibile al centro del suo petto bianchissimo, mentre la mano destra insanguinata, che la poveretta evidentemente si era portata prima sul petto, era rimasta come stampata sul muro del palazzo D’Emilia-Magliari. Nulla si è mai saputo della fine di quella donna e tanto meno del movente di quell’orrendo delitto.
Corsi anch’io per rendermi conto di quanto era accaduto e, nel vedere la donna uccisa, rimasi impressionato da quegli occhi sbarrati, proprio di chi è preso improvvisamente dal terrore della morte. Nel mezzo della via sostavano numerosi soldati tedeschi e qualche ufficiale. I radi passanti si fermavano allibiti a guardare, ma poi i tedeschi non sopportarono più la presenza di spettatori e minacciosamente intimarono di circolare.«
Drammatica anche la vicenda vissuta ad Ausonia da Michele Tomas, che scrive: «Il 25 dicembre mi trovavo in contrada Rotondoli, rifugiato in una stalla insieme ad altre decine di persone, quando, ad un certo punto, mio padre mi portò tra i boschi, in un pagliaio, nascondiglio di due mucche, dove era riuscito a mettere da parte un po’ di carne. Mentre la stavamo cuocendo sulla brace, senza olio e senza sale, arrivò un uomo che, riconosciuto da mio padre, rimase con noi. Dopo aver mangiato un boccone di carne, l’uomo incominciò a parlare con mio padre raccontando la sua triste avventura: il giorno prima, mentre ritornava a casa dopo aver racimolato un po’ di viveri per far mangiare i cinque figli e la moglie, era stato sorpreso da un tedesco e da un fascista i quali si erano impossessati di tutto ciò che portava. L’uomo pregò il soldato di lasciargli almeno il granturco ma il tedesco prese il sacchetto e ne rovesciò il contenuto tra il fango. Allora, il povero uomo, disperato, prese un’accetta che era a portata di mano e lo uccise. Stava per fare la stessa cosa con il fascista ma costui chiese pietà e promise che non avrebbe avvertito i tedeschi. Fu una promessa falsa: infatti, ritornò subito dai tedeschi che, una volta a conoscenza dell’accaduto, iniziarono la caccia all’uomo».
Nella cattedrale di Aquino, oltre al rito cattolico, celebrato da don Rosino Di Nallo, il cappellano militare tedesco celebra quello protestante; a Piedimonte San Germano, nella chiesa di Santa Maria Assunta, per i militari tedeschi officia don Gaetano De Paola; poco più su, sulle pendici del monte Cairo, non lontano da Montecassino, all’ingresso del casino Frezza è, invece, un monaco del convento di Roccasecca, sollecitato dagli sfollati, a compiere il sacro rito su un altare improvvisato.
A Giuliano di Roma, riferisce don Alvaro Pietrantoni, «il Comando tedesco chiese a Mons. Sperduti di partecipare alla messa della Santa Notte che, a causa del coprifuoco, sarebbe stata celebrata nel tardo pomeriggio, alle ore 17. La chiesa era gremitissima: i fedeli giulianesi, rientrati nel paese per assistere alla Santa Messa, si strinsero intorno all’altare, affratellati dal Sacrificio Divino, con oltre 300 sfollati, 150 soldati tedeschi, 6 ufficiali e vari sottufficiali e con i soldati tedeschi che erano di stanza a Villa Santo Stefano. Un ufficiale tedesco accompagnò con l’organo i canti che i soldati in coro eseguirono accoratamente nella loro lingua materna, in particolar modo ‘Stille Nacht’».
Non diverse le emozioni suscitate in padre Francesco Tatarelliche officia alla chiesa delle Grazie, a Frosinone: «Quando uscii per celebrare la S. Messa, mi accolse un’onda canora così piena e calda che mi commosse. Quegli uomini, all’apparenza così duri, si abbandonavano con passione altissima alla melodia dei loro corali religiosi, tanto ricchi di sentimento. Mi venne da pensare per un istante che non per niente il romanticismo, come reazione al freddo illuminismo, era nato proprio in Germania».
La stessa atmosfera si registra al santuario della Madonna del Piano, ad Ausonia. Suor M. Natività Tarquini scrive nel suo diario: «Suonano l’organo, cantano in tedesco; il loro cappellano fa un breve discorso. Molti si accostano alla Comunione, disciplinatissimi, a braccia conserte, in punta di piedi. Un brivido ci assale quando tutti insieme recitiamo un Pater Noster e l’Ave Maria».
Quello stesso avvilimento che ispira questi versi a Gino Salvetidedicati proprio a quella santa notte del ’43: «Montecassino, / questo Natale di guerra / che ha la neve rossa / e i pastori feriti e le culle infrante, / che le pecore dai loro chiusi cacciate / ha disperso, / per noi che a vent’anni / abbiamo fame e sete e desiderio / di padre e di madre / e d’amore / e di lacrime di gioia sul ciglio…/ questo Natale vestito da tedesco / non fa nascere Dio questa notte. / Soli e vecchi / nella felicità deserta / che la memoria s’inventa, / invano attendiamo che questo brontolio di morte / diventi suono di campana…/ che questo odore di pagliaio / odore d’incenso diventi…/ e quest’appestata aria / sapore di mandarino! / Montecassino, / questo ventiquattro dicembre di questa santa notte del Quarantatre, / per noi/ che abbiamo fame e sete / e desiderio di freddo da riscaldare / non fa nascere Dio. / O forse…/ Lo fa nascere soltanto per noi» (19, continua),
© Costantino Jadecola, 1993.