16 / LA NOSTRA GUERRA / ATTACCO ALLA GUSTAV
La linea Gustav
Superato il Volturno con non poche difficoltà, la V armata prosegue l’avanzata molto lentamente ostacolata com’è, oltre che dall’energica resistenza tedesca, anche dalla particolare natura del terreno aggravata, peraltro, da inondazioni conseguenti piogge torrenziali. Insomma, la situazione è tale da far dire al generale Lucasche «le guerre dovrebbero essere combattute in paesi più adatti di questo».
Tra la fine di ottobre e la prima quindicina di novembre si deve ascrivere a beneficio degli alleati la conquista di Venafro, di Pozzilli e di monte Cesima, a nord della statale Casilina, mentre il tentativo di acquisire monte Camino, che sovrasta la gola di Mignano, non riesce e resta, appunto, un tentativo.
I tedeschi, dal canto loro, con la perdita di Pozzilli e di monte Cesima si vedono creare una grossa breccia nel bel mezzo della linea Reinhard.
I morti, intanto, si contano già a migliaia da entrambe le parti mentre la strada per Roma è sbarrata prim’ancora dell’imbocco della valle del Liri.
È il 24 novembre quando il generale Clarkemana i piani per l’attacco alla linea d’inverno, piani distinti in tre fasi: occupazione di monte Camino e di altre alture a sud della statale Casilina; occupazione di monte Sammucaro contestualmente ad un’azione da svilupparsi da Colli al Volturno sino ad Atina; penetrazione nella valle del Liri.
L’offensiva scatta nella notte tra l’1 ed il 2 dicembre ma è solo quattro giorni più tardi che gli alleati riescono ad assicurarsi il controllo del monte Camino, ovvero del pilastro meridionale della gola di Mignano.
I morti di Sant’Ambrogio
«È stata una battaglia che non finiva mai. E tutto per un fiume», dice Maria Petrecciariferendosi alla lunga vicenda bellica di Sant’Ambrogio, in prima linea per tutto il tempo della guerra nella contesissima valle del Garigliano che, più di un confine di provincia e di regione, sembra il confine di uno stato assediato.
Ma i giorni più brutti di tutti sono sicuramente i primi due di dicembre quando l’aviazione alleata si accanisce sul solito ponte che, in questo caso, ha un motivo in più per essere distrutto: infatti, è stato costruito da una società tedesca, la Stoelcker, poco più di quindici anni prima, nel 1927.
Il battesimo di fuoco, il primo dicembre del ’43, avviene che è quasi sera. Sarà anche per questo che, racconta Anselmo Trionfo, «gli aerei, invece del ponte colpiscono, tra le altre cose, una cabina elettrica».
Ma uccidono anche: muoiono Giuseppe Antinozzi(44 anni) e Antonia Di Nitto(34); Matilde Simeone, invece, si salva ma subisce gravi lesioni alle gambe.
La notte che segue non c’è nemmeno il tempo per mettere in ordine le idee che è già mattino; né‚ al mattino c’è il tempo per rendersi conto che è un freddo mattino: a riscaldare l’ambiente, verso le 7,30 provvedono i bombardieri alleati.
Che l’obbiettivo è ancora il ponte sul Garigliano, lì per lì non è solo un’impressione. Ma quando tutto finisce si ha, invece, l’amara sensazione che possa essere stata solo un’impressione: il ponte della Stoelcker, infatti, è ancora saldamente in piedi mentre, a qualche centinaia di metri in linea d’aria, 42 persone perdono la vita per un paio di bombe finite fuori bersaglio: Angelo Abbruzzese(64 anni), Alberto (5),Armando(12) e Amerigo Di Nitto(8), Teresa Broccoli(68), Francesca Capraro(28), Giovanni Di Nitto(36), Teresa Di Santo(3), Maria Giuseppa Fragnoli(63), Giovanna Genca(57), Florinda Marrocco( ), Serafina Messore(63), Angela(16), Arduino(4), Antonio(8), Carmelo(13), Elvira(6), Emma (24), Gaetano(10),Maria(3) e Valentino Patraccone(40), Maria Grazia Persechino(51), Rachele Pontiero(39), Marianna Riccardi(39), Amato (5), Giovanni(34) e Pietro Rivera(4), Michelina Rossi(32), Giuseppe Rubiano(53), Anna(35), Antonio(52), Emilio(11), Filomena(17), Francesco(13), Giulio (4), Margherita(17), Maria Giuseppa(76), Michele(58) e Salvatore Simeone(15), Maria Grazia Soave(73), Gerardo Tudino(38) e Giovanna Vacca(54).
Insomma, di quanti si sono rifugiati nei due ricoveri sottostanti il fabbricato di Basilio Simeone, in località San Rocco, sui quali, in pratica, passa la strada d’accesso a Sant’Ambrogio, si salvano solo Rosa Simeone, che resterà paralizzata ad una gamba, e Giuseppe Patraccone, un bambino di 14 anni.
Il ponte sul Garigliano non sopravviverà di molto: tempo sei giorni e gli ancora sbigottiti cittadini di Sant’Ambrogio lo vedranno saltare letteralmente in aria insieme ad un’altissima colonna d’acqua. Ma sono gli stessi tedeschi a distruggerlo: con gli alleati che proprio quell’8 dicembre vanno alla conquista di monte Lungo e che quanto prima compariranno sull’altra sponda del fiume, è opportuno mettersi a distanza di sicurezza, tagliando, come suol dirsi, i ponti alle spalle.
Una precauzione, comunque, presa con abbondante anticipo: almeno cinque mesi prima.
Assalto a Monte Lungo
Assicurano le cronache di quei giorni che dal pomeriggio del 2 al 6 dicembre gli alleati, con 925 pezzi di artiglieria, sparano contro il monte Camino 207.000 granate pari ad oltre 4.000 tonnellate: è il più possente concentramento di fuoco messo in atto fino a quel momento durante la campagna d’Italia anche se deve tenersi conto del fatto che per la difesa di monte Camino combatte solo un debole battaglione del 104.o reggimento Panzer-Grenadier.
Scrive Rudolf Bohmlerche questo battaglione «per giorni e giorni resistette eroicamente al pesante fuoco e respinse tutti gli attacchi britannici, finché il 6 dicembre perse la cima. Le posizioni retrostanti il pendio continuarono per ore ed ore a dare notizia che il battaglione era ancora in possesso della cima, finché‚ un portaordini inviato sul posto non costatò che i soldati visti sulla montagna altro non erano che i cadaveri dei caduti e che nessun granatiere vivente si trovava sulla vetta».
Il pilastro settentrionale della gola di Mignano è costituito dal massiccio monte Sammucaro: contro di esso e contro il monte Lungo, tale di nome e di fatto, il quale domina nettamente la statale Casilina, l’attacco viene sferrato dal II corpo americano, l’8 dicembre. Una data, questa, destinata ad entrare nella più recente storia italiana per aver scritto, proprio sulle pendici di monte Lungo, «la prima pagina di onore e di gloria» del rinato esercito italiano.
Non è ancora giorno quando ha inizio l’attacco a monte Lungo. Scrive Giuseppe Aloia: «Superate nella fitta nebbia le tre gobbe del monte, viene investita e conquistata la quota più alta. Ma la fortuna non arride ai nostri valorosi soldati. La nebbia, che sino allora aveva favorito l’attacco e la sorpresa, si dilegua. La lotta si fraziona in episodi, in un ‘corpo a corpo’ violento, si fa epica. Monte Maggiore e Monte Sammucaro resistono agli assalti anglo-americani e non cadono. Tutte le armi della difesa tedesca sono rivolte e concentrate contro il nostro raggruppamento che, contrattaccato e decimato, è costretto a ripiegare sulle posizioni di partenza. Trecento uomini risultano perduti, vale a dire il 40 per cento della fanteria impiegata nell’attacco. Il prezzo del sangue era stato pagato».
Il primo soldato a cadere è l’allievo ufficiale bersagliere Sergio Aguzzi. La prima medaglia d’oro, il tenente Giuseppe Cederle, del 67.o fanteria. Fra le altre vittime, Filippo De Marcodi Arce del battaglione allievi ufficiali.
Otto giorni dopo, il 16 dicembre, l’attacco viene ripetuto. Scrivono Antonioe Giulio Ricchezza: «Alle 12,30, su quota 343, le bandiere italiana e statunitense avevano cominciato a sventolare unite per la prima volta nella storia della seconda guerra mondiale. Le perdite erano state, in quel giorno, minori di quelle avute l’8; s’erano avuti 10 morti, 30 feriti e 8 dispersi».
Il comandante si limita a trasmettere: «Il compito di attaccare, conquistare e mantenere monte Lungo è stato eseguito».
Quello stesso 16 dicembre cade anche monte Sammucaro che con i suoi 1.205 metri di altezza è il punto chiave della linea Reinhard. E, con il Sammucaro, cade anche San Pietro Infine: per questi due obiettivi si combatte una delle più aspre battaglie fra tutte quelle che hanno avuto come scenario l’Italia meridionale se non l’intera campagna italiana.
Si combatte anche sulle montagne ad ovest di Venafro e a un certo punto entrano di scena i marocchini. Occupano Pantano e le pendici settentrionali di Monna Casale. Ma il loro tentativo di sfondare la linea Gustav su ambedue i lati della strada Colli — Atina è stroncato dalle truppe di montagna tedesche prima di San Biagio Saracinisco.
Il 22 dicembre, una divisione americana, la 45.ma, ha, invece, ragione sul nemico: conquista monte Cavallo e prosegue verso Viticuso. Sul fronte tirrenico, intanto, un commando del X corpo d’armata alleato effettua un’incursione via mare al di là della foce del Garigliano mentre un altro contingente lo attraversa improvvisamente e di slancio. Sono le prime ore del 30 dicembre 1943. L’elemento sorpresa gioca a favore degli alleati e l’azione ha successo.
(16, continua)
© Costantino Jadecola, 1993.