15 / LA NOSTRA GUERRA / VIOLENZE E RAPPRESAGLIE ALL’ORDINE DEL GIORNO
È inevitabile che nel contesto di una situazione che diventa sempre più incandescente si verifichino tutta una serie di episodi di violenza dei quali molto spesso protagonista e vittima è l’inerme popolazione civile.
A Sant’Elia Fiumerapido, i primi giorni di ottobre, durante un rastrellamento, Antonio Tartagliacerca di sfuggire alla cattura ma una raffica di mitra lo fulmina all’ingresso della villa comunale.
A Caira, frazione di Cassino alle falde del monte Cairo, il 18 ottobre i tedeschi tentano di rubare una mucca a Felice Nardone, un contadino. Questi, fuori di sé per la rabbia, prende la «scoppetta» e spara ma senza colpire il bersaglio. Ai tedeschi non pare vero di poter attuare una rappresaglia. Ma quando lo vanno a cercare, di Felice Nardone non c’è la minima traccia. Al suo posto, se la prendono con Domenico Mariani, un uomo di settant’anni, e con Giuseppe Nardoni, da cui vogliono sapere il nascondiglio di Felice. I due vengono costretti a camminare con le canne dei fucili inchiodate ai reni. Ma Domenico Mariani è ben presto stremato ed ha difficoltà a proseguire: un colpo di fucile lo lascia stecchito in terra. Giuseppe Nardoni, invece, viene legato dietro a un camion: sarà stato trascinato per oltre un chilometro quando arriva una (per lui) provvidenziale incursione aerea che crea scompiglio fra i tedeschi. Cosicché egli riesce a liberarsi ed a trovare rifugio in una cava di pietra lungo la strada: ritorna a casa due giorni dopo, di notte. Ma solo per morirvi.
Una sera a Sant’Antonino, frazione di Cassino, due soldati tedeschi manifestamente ubriachi tentano di violentare una giovane donna dopo aver seminato panico e terrore nella piccola comunità. Due del luogo, Antonio Valenteed Antonio Nacci, avvertiti di quanto sta accadendo da un amico, Domenico Minghella, irrompono nella stanza per cercare di sottrarre la ragazza dalle mani dei due tedeschi. Ne nasce una colluttazione: i soldati, sottrattisi alla morsa, cominciano a sparare contro Valente e Nacci che, sebbene feriti, li inseguono, uccidendoli.
La reazione dei tedeschi, secondo un criterio destinato a far testo, si concretizza nella cattura di ventidue uomini della frazione destinati ad essere fucilati se Valente e Nacci non si costituiranno. Ma i due sono già lontani ed evidentemente ignorano ciò che sta accadendo.
Per gli ostaggi la fine sembrerebbe non solo certa ma anche imminente se non ci fosse un intervento presso l’abate di Montecassino da parte del parroco della frazione, don Luigi Viola, al fine di fargli interporre i suoi buoni uffici. L’intervento dell’abate Diamare presso il generale Hubeha successo e gli ostaggi vengono liberati.
La sera del 19 ottobre, ricorda Michele Tomas, ad Ausonia «ci furono le prime rappresaglie tedesche. Furono catturati due uomini. Uno, Giovanni Zegarelli, 38 anni, fu ucciso in località Agnia; l’altro, che era il più anziano, fu tenuto prigioniero e trascinato per diversi giorni fra le colline e le località vicine per scovare, secondo i tedeschi, una ‘banda di partigiani’.»
A Belmonte Castello, la mattina del 21 ottobre, Nicola Samele, uno sfollato di Salerno di 64 anni, viene catturato dai tedeschi «mentre rincasava portando un po’ di farina gialla per sfamare la famiglia» con l’accusa di aver tagliato i fili del telefono e poi impiccato. Sul tronco dell’albero fu apposto un cartello con la scritta, secondo alcuni, «Sia di esempio», secondo altri, un tantino più elaborata: «Impiccato perché le linee telefoniche delle truppe tedesche venivano rotte ripetutamente. L’impiccato deve rimanere qui due giorni, altrimenti un altro abitante di Belmonte sarà impiccato».
Che Nicola Samele fosse innocente, non ci vuole molto per accertarlo. E, allora, chi è stato a tagliare i fili? Secondo qualcuno, sarebbero stati calpestati dagli stessi cavalli dei tedeschi.
Non lontano da Belmonte Castello, a Valleluce, frazione di Sant’Elia Fiumerapido, si segnala un’altra vittima Pasquale Morra, 25 anni. Il naso schiacciato è il segno che gli è rimasto da quando praticava il pugilato, il suo sport preferito. Un giorno i tedeschi lo «requisiscono» e finché non riesce a fuggire, Pasquale di tanto in tanto «si sfoga» boxando con i soldati: le suona talmente bene che nell’ambiente diviene un personaggio abbastanza noto. Il giorno che viene ucciso, Pasquale Morra è in giro per Valleluce alla ricerca di un pezzo di pane, anche da comprare. Un paio di soldati tedeschi, forse due sue «vittime», lo individuano e lo invitano, si fa per dire, a seguirli al comando. Strada facendo, invece, lo spingono in un oliveto e lo costringono a scavarsi la fossa. Quando Pasquale ha ultimato lo scavo, lo uccidono sparandogli alle spalle.
A Campoli Appennino, la sera del 28 ottobre arriva un camion guidato da un verolano per prelevare del materiale per conto dei tedeschi. Per motivi che si ignorano ma, comunque, personali, alcuni campolesi minacciano l’autista che, racconta Pasquale Mastroianni, «ricorre ai tedeschi i quali, la mattina del 29 ottobre, armati di tutto punto, piombano su Campoli per effettuare una rappresaglia» che, sebbene abbia al momento risvolti drammatici — vengono arrestate alcune persone — alla fine si risolve per il meglio.
Terelle. È il tempo della raccolta delle castagne quando due paracadutisti inglesi scendono dalle parti del Vallone Oscuro. Prima che i tedeschi intervengano, uno del luogo, Giuseppe Del Duca, già sergente nel disciolto esercito italiano, riesce a farli nascondere nel soffitto di una casa di campagna provvedendo anche al loro sostentamento. Tutto ciò fino a quando, per via di una soffiata, una mattina arrivano a Terelle una decina di camion tedeschi carichi di soldati. Mentre alcuni di questi, ben sapendo il fatto loro, si recano presso la casa dove sono nascosti i due inglesi, che naturalmente vengono fatti prigionieri, gli altri soldati circondano l’abitato di Terelle per sapere chi è stato a custodire i due inglesi ed arrestarlo.
Dopo aver radunata buona parte della popolazione, racconta Pietro Grossi, «ci misero tutti quanti lungo un muro ed un ufficiale tedesco che si faceva capire bene incominciò a chiedere ad ognuno: sei stato tu? Sei stato tu?… Quando arrivò a quel tizio che li aveva ospitati, questi ammise di essere stato lui ma pregò l’ufficiale di non ucciderlo lì perché c’erano i suoi genitori. Lo presero e lo portarono via, a Frosinone, dove lo rinchiusero in carcere. Ma a seguito di un bombardamento, già il giorno successivo riuscì a fuggire ed a tornare di nuovo a Terelle nel giro di qualche giorno.»
Quella retata, tuttavia, ebbe comunque una vittima: Egidio Lizzotti, un pastore, che alla vista di tutti quei tedeschi scappò via. Ma una pallottola troncò la sua corsa.
Biagio Pelagalli, 31 anni, è un ferroviere di Piedimonte San Germano che ha già combattuto sul fronte jugoslavo. Catturato dai tedeschi nel corso di una “caccia all’uomo” e trovato in possesso di pistola e munizioni, il primo novembre viene impiccato nella piccola piazza di Villa Santa Lucia.
Lo stesso giorno Casalattico è sottoposto ad una massiccia retata per via di una «spiata» di un certo Camassa, meglio noto come «il barese», che, infiltratosi tra i molti sfollati e rifugiati che avevano ritenuto le alture che fanno corona al Cairo di una sufficiente sicurezza, di fatto intratteneva collegamenti con il comando tedesco di Casalvieri che si era installato nella casa di Archimede Recchiain via Calcatina. Pare, tuttavia, che dati i legami della popolazione locale con i congiunti emigrati in Gran Bretagna ed in Irlanda, su quei monti fossero stati istituiti dei «gruppi di avvistamento e difesa» gestiti di tutto punto per aiutare i prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento abruzzesi a tornare tra i loro, al di là della linea del fronte, attraverso i monti. Sta di fatto che in quella retata vengono catturate almeno ottanta persone tra le quali Angelantonio,Apollinario, Olimpioe Rinaldo Forteche, insieme a Luigi Morelli, vengono deportati in Germania da dove rientreranno a guerra finita mentre una raffica di mitra blocca la fuga in una boscaglia di Paolino Forte: muore il 15 novembre, il giorno prima di compiere vent’anni; un mese dopo, fortemente provata dal dolore, la fidanzata lo avrebbe seguito nella tomba.
Di Domenico Caccia, 46 anni, e Carmina Musico, 23, entrambi di Ausonia, si sa solo che vengono uccisi dai tedeschi il 2 ed il 23 novembre mentre il 7 novembre, a Cerquelle-Colli Superiori, una località di San Giorgio a Liri, ingiustamente accusati di aver sottratto una pistola ad un soldato, i tedeschi uccidono Antonio Calisto, 33 anni, Antonio Petronio, 36, e Luigi Lutrario, 37. I corpi dei tre, costretti a scavarsi le rispettive fosse, verranno riesumati due anni dopo, una volta finita la guerra, per ricevere degna, definitiva e cristiana sepoltura.
Il 15 novembre è di nuovo giorno di lutto per Piedimonte San Germano: Gerardo Testa, 37 anni, un calzolaio padre di due figli, viene ucciso a Colfelice dove i tedeschi lo hanno portato a lavorare. Riferisce Raffaele Nardoianni: «Fu freddato da una fucilata alle spalle sotto lo specioso motivo di essere stato trovato in possesso di una bandiera alleata (sic!).»
Ore drammatiche si vivono a Giuliano di Roma il 17. All’alba di quel giorno, infatti, il comando tedesco, informato della presenza di una banda armata sul monte Siserno, dispone un massiccio rastrellamento. Oltre l’incendio di quasi tutte le capanne, don Alvaro Pietrantoniriferisce che «furono catturati 29 uomini, in parte pastori e in parte sfollati da Giuliano e da Ceccano, e vennero sequestrati oltre 400 capi di bestiame. L’arcipreteGiuseppe Sperdutied il podestà cav.Gaetano Anticoli Borzaimmediatamente si recarono presso il Comando tedesco, assicurando, sul loro onore, che gli uomini sorpresi sul Siserno non appartenevano a bande armate.» Cosicché i 29 vengono liberati ed il bestiame restituito.
Lo stesso giorno in cui a Vallerotonda viene ucciso il sedicenne Menesio Colella, cioè il 23 novembre, a Viticuso i tedeschi fanno prigionieri Emilio D’Agostini(42 anni), Edoardo Papa(37), Mario Rionetti(18), Nicola Verrecchia(57) e Carlo Papa(50), quest’ultimo per essere stato sorpreso a far da guida a soldati italiani che tentano di raggiungere il fronte: i primi quattro vengono «massacrati il giorno dopo su di un ponticello, su cui furono fatti passare uno ad uno e falciati con i mitra; il quinto, invece, lo fucilano l’8 dicembre in località Cimerone.
Ad Alatri ne conoscono a malapena il cognome, Randazzo, anche se qualcuno afferma che il nome è Giuseppe. E’ ben nota, invece, non solo la sua militanza fascista — apparterrebbe alla 119.ma legione — ma, soprattutto, la sua arroganza. Randazzo, in effetti, è un giovanissimo: avrà avuto, forse, diciassette anni; ma ha una rabbia in corpo “degna” di una età più adulta. Ed ogni occasione è buona per metterla in evidenza. Così il 26 ottobre, allorché si diffonde la voce di una ritirata tedesca, egli non solo partecipa con altri all’occupazione della caserma dei Carabinieri ma si “segnala” anche nel disarmare e nel deridere i militi; così la sera del 12 novembre, quando al ristorante “Basso”, un po’ bevuto, si lascia andare all’ennesima bravata. Ma sarà l’ultima. Qualcuno, infatti, lo attende appena dopo porta San Pietro, dove questa si immette su corso della Repubblica: viene aggredito, disarmato ed infine ucciso con la sua stessa rivoltella. Saranno state le 19,30 e quando accorrono, insieme ad altri, Guglielmina Cianfrocca, che abita nelle vicinanze, ed un sacerdote, don Berni, gli aggressori sono già lontani.
(15, continua)
© Costantino Jadecola, 1993