14 / LA NOSTRA GUERRA / TENTATIVI DI RESISTENZA
Sant’Andrea del Garigliano. La lapide che ricorda gli uomini appartenenti ai “Gruppi di bande partigiane Garigliano — monti Aurunci” uccisi.
Nei giorni più o meno successivi all’8 settembre — le fonti non sono sempre estremamente precise — tra le non molte iniziative di cui si ha notizia, si dà vita, ovvero si tenta di dar vita, a formazioni armate di civili tenendo comunque presente, evidenziaGioacchino Giammaria, che «i ciociari hanno nella gran parte cercato di scampare alla morte; solo pochissimi hanno combattuto, si sono schierati per l’uno o per l’altro, anche se di questi il gruppo più consistente combatté per il regno ovvero per la nuova democrazia».
Tra questi, il tenente Giuseppe Ambrosiche in un suo diario scrive: «Dal giorno dell’armistizio (8 settembre) fino al 4 ottobre mi rifugiai sul Monte Siserno per organizzare una banda di patrioti. Molti giovani soldati erano imboscati nel forte della montagna ed era impossibile avvicinarli perché sparavano all’impazzata. Con Guido Trapanesidi Villa S. Stefano cercai di avvicinarmi per il collegamento ma fui costretto insieme allo stesso a tornare indietro perché venimmo presi a moschettate. Dopo un lungo cammino in montagna presi contatto con Battista Romolodi Ceccano il quale aveva iniziato a costituire una piccola banda di giovanissimi cittadini pieni di entusiasmo. Presi così accordi con lui e proseguii per l’organizzazione di un’altra banda senza mai perdere il collegamento con lui. In data 4–5 ottobre avevo già formato una bella banda di patrioti ed insieme col Battista Romolo formai un Comitato di Salute Pubblica per la salvezza del Paese dalle spie e dai traditori che avevano contatto coi tedeschi».
Oltre Ambrosi e Battista, altri promotori del comitato sono il sergente Lorenzo Angelini, Mario Reali, il capitano maggiore Nicola Moscardellied il maresciallo pilota Renato Pennino. A Paliano opera il gruppo fondato da Enrico Giannetti, un reduce della guerra di Spagna, dove ha combattuto con le brigate internazionali mentre a Collepardo, ricorda Oreste Cicalè, «si costituì una banda di partigiani e patrioti composta da 24 elementi del luogo e sfollati (tra gli altri ne fanno parte, oltre Cicalè, Luigi Frasca, Giuseppe Della Martina, Emilio Liberatorie Vincenzo Venturi, ndr) con lo scopo preciso di resistere ai tedeschi e ai fascisti, procurarsi le armi, iniziare l’azione sabotatrice ed organizzare l’assistenza in favore dei prigionieri inglesi in fuga e dei militari datisi alla macchia».
Fiuggi, oltre ad ospitare gli uffici provinciale, viene destinata dai tedeschi a centro ospedaliero con l’utilizzo delle numerose strutture alberghiere esistenti. Ciò, tuttavia, non impedisce la formazione di un attivo e consistente gruppo partigiano collegato al Comitato di Liberazione Nazionale di Roma ed alle bande di Acuto, guidata da Enrico Martucci, Anagni, Paliano, Guarcino, Collepardo, Filettino, Trevi nel Lazio, Capistrello e Canistro.
Scrive Giuliano Floridiche «tra le persone che più si distinsero nel movimento di resistenza vanno ricordati Natalino Terrinoni, Raniero Marazzi, Rolando Celesti, Raimondo Rossicon i figli Velardo(Aldo) e Leonardo, Stelvio Cianfanelli, Marcello De Ascanio, il prof. Raffaele Contie suo figlioEsperanto. La formazione anticolana, rafforzata da alcuni prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento, era al comando del generale Ezio Padovanie del colonnello Carlo Collura. L’importanza di questo gruppo, come degli altri menzionati, dipendeva dal fatto che agiva nell’immediata retrovia del fronte di Cassino. Suo maggior compito era quello di proteggere e dare assistenza ai numerosi ufficiali del servizio segreto americano ed inglese che di notte venivano paracadutati nelle retrovie tedesche. Le trasmissioni di ‘Radio Londra’ dirette all’Italia, quando avevano comunicazioni da indirizzare ai partigiani che agivano nella zona, premettevano la parola convenzionale ‘Aniene’».
Vincenzo D’Emilia, Augusto Palliscoe Ludovico Patriarca, aderenti a ‘Italia Libera’, Arturo D’Innocenzoe Loreto Proia(Pci), Luigi Proiae Antonio Giannetti(Dc), Armando Capuano, Antonio D’Innocenzoe Andrea Lucchetti(Democrazia del lavoro), insieme a Giuseppe La Viache funge da segretario, sono, invece, i promotori del gruppo che si crea a Fontana Liri. Nel documento costitutivo, datato «Fontanaliri 8 settembre 1943» e sottoscritto da 41 persone, si legge tra l’altro: «Ispirati dalla nuova situazione politica-militar determinatasi con la resa condizionata del Governo Badoglio, attendendosi al suo proclama e a quello diramato dal generale Aisnower, Comandante in Capo delle Forze Armate Alleate operanti in Italia, noi sottoscritti ci costituiamo in comitato armato allo scopo di difenderci dai Nazi-Fascisti, e nell’opportunità di rimanere alle dipendenze degli stessi alleati».
Nel “programma” si prevede, tra l’altro, «di sequestrare e consegnare alle autorità alleate i gerarchi nelle persone dei signori Alberti Vittorio, Parravano Luigi, Casciano Guido, Pescosolido Antonioe Battista Domenico, quale capi responsabili»; il 2 novembre, poi, il comitato discute «sui danni derivati ai cittadini per l’atteggiamento ostile al Fascismo da essi assunto fin dalle origini del predetto partito» ma soprattutto in seguito alla nomina a podestà, nel 1936, di Luigi Parravano, ritenuto responsabile del trasferimento della «sede comunale nella frazione denominata Polverificio». Perciò — è la decisione del comitato — occorre sollecitare «appena possibile il ripristino della situazione comunale preesistente al fascismo e particolarmente per quanto si riferisce alla restituzione della sede Comunale in Fontana Liri Superiore».
A Guarcino, il gruppo locale si avvale della guida di Arnaldo Bianchimentre a Supino opererebbero addirittura tre diverse formazioni di cui una soltanto — quella che ha come principali esponenti Bruno Marini, Mario Piroli,Romeo Vallerianie Riccardo Bernardi- riconosciuta dalle autorità partigiane nazionali.
A Giuliano di Roma, l’iniziativa di dar vita ad un gruppo operativo viene presa da Valerio Masellimentre a Fumone, nei primi giorni di dicembre si forma una “Milizia Civica Volontaria”: una trentina di uomini, quasi tutti militari datisi alla macchia, tra cui Egidio,Filippo, Gaspare, Norberto, Sebastiano, Silvino, Tommaso, Ugoe Vincenzo(ma quelli con questo nome sono due) Caponera, Luigi Cecchetti,Anatolio Ciafani, Paolino Cialone, Giuseppe Del Monte, Ubaldo Di Fede, Alberto Labella, Paolo Longhi, Claudio Lucia, Carlo Magliocchetti, Giovannie Mario Mastromoro, Ercolino, Paoloe Quirino Potenzianie Serafino Scascitelli. Finalità della “Milizia” è poter assicurare, con turni di guardia ininterrotti, l’avvistamento di «automezzi tedeschi o repubblichini diretti al Paese ed avvertire, quindi, immediatamente la popolazione dell’imminente pericolo».
Tra le altre azioni in qualche modo riconducibili alle bande armate, oltre quella del 16 ottobre, a Scannacapre, sulla via Mària, dove due automezzi tedeschi sono attaccati dal gruppo coordinato da Armando Zanetti che ha la sua base sul monte Pedicino, l’agguato ad un convoglio tedesco che trasporta carburante al fronte avvenuto il 20 dicembre tra i caselli 15 e 16 della ferrovia Roma-Cassino: le due locomotive subiscono gravi danni, molti sono i vagoni distrutti, indefinito è il numero dei morti e dei feriti fra i soldati; la linea ferroviaria resta inutilizzata per diversi giorni.
Ad Anagni, invece, riferisce padre Igino Basilici, il 27 dicembre «per la quinta volta sono stati tagliati i fili telefonici tedeschi nonostante i 40 guardiafili; per rappresaglia vengono arrestati l’avvocato Tommaso Apolloni, ‘Checchino’ Pampanellie ‘Papaccio’, il maestro di banda, che dovevano essere fucilati il giorno seguente ma sono stati poi rilasciati; sono stati invece arrestati e trattenuti tre guardiafili».
Al di là di quanto si è detto, poiché una certa storiografia ha ritenuto di qualificare i protagonisti di alcune vicende come partigiani, ovvero patrioti, tentando di inserire le “azioni” di cui si sarebbero resi protagonisti, anche se prive di consona documentazione, nel contesto di quella che fu la Resistenza, viene da chiedersi se questo movimento ebbe davvero proseliti nel Lazio meridionale.
È fuor di dubbio che vi fu gente animata da spirito patriottico e da un profondo sdegno per quella guerra. Ma è parimenti fuor di dubbio che ci fu gente, ed in una percentuale ben maggiore, per niente animata da così nobili sentimenti bensì da tutt’altri scopi.
Non rientra, invece, in un discorso del genere l’attività di alcuni gruppi, nove in tutto, con 300 effettivi ma con punte anche più elevate, che fra ottobre e dicembre ’43, comunque sino a quando gli alleati non arrivarono in vista di Cassino, agiscono tra la riva settentrionale del Garigliano ed i monti Aurunci al comando di un giovane ufficiale altrimenti noto, in quei frangenti, con l’identificativo “T13”: si tratta, in realtà, del capitano R.O. Antonio Gagliardi, poi sindaco di Sant’Andrea sul Garigliano e consigliere provinciale, che guida i “Gruppi di bande partigiane Garigliano — monti Aurunci”. In seguito ad una ferita riportata durante la guerra d’Africa, l’8 giugno 1943 il capitano Gagliardi viene messo in licenza per quattro mesi. Ma all’indomani dell’8 settembre viene incaricato dagli alleati, tramite il comando delle truppe coloniali, di rifornire e dislocare apparecchi rice-trasmittenti tra i comandi dei gruppi partigiani operanti nella zona di Roma, nell’alto Lazio e nell’Italia settentrionale.
Le azioni portate a compimento sono numerose. Per i tedeschi, perciò, questa spina nel fianco è a dir poco insopportabile cosicché, il 23 ottobre, sferrano un violento attacco per mettere in ginocchio “T13” e i suoi uomini. Ma l’operazione non riesce e, allora, non avendo altre possibilità di catturare Antonio Gagliardi e i suoi più stretti collaboratori — il sottotenente Giuseppe Favalli, il sergente Gaetano Silvani, il maggiore dell’aeronautica Oreste Gaetani, il tenente cappellano don Giuseppe Abbruzzese, il maresciallo maggiore Enrico Ferranteed il capitano medico Domenico Fargnoli- istituiscono consistenti taglie sulle loro teste.
Ma anche questo espediente si rivela inutile ed interviene allora il tribunale militare tedesco di occupazione che il 28 gennaio 1944 pronuncia la condanna a morte in contumacia di Antonio Gagliardi. E’ da tempo, però, che “T13” ha superato il Garigliano, arruolandosi nel ricostituito esercito italiano, dove ha il comando della 110 compagnia del IX reparto d’assalto: quando a primavera avanzata il fronte salta, lo troveremo tra i liberatori di alcuni comuni della valle di Comino.
(14, continua)
© Costantino Jadecola, 1993.