12 / LA NOSTRA GUERRA / IL DOVERE DI FARE QUALCOSA. E NASCE LIBERTA’
I venti di guerra che soffiano minacciosi e le vicende politiche che incalzano non si limitano a provocare preoccupazioni ma stimolano anche riflessioni. Alatri è, probabilmente, l’unico centro della provincia di Frosinone dove queste riflessioni non solo danno vita ad una specie di movimento d’opinione, anche se ristretto, ma ispirano addirittura la pubblicazione clandestina di un foglio ciclostilato, Libertà, il cui primo numero viene pubblicato il 14 novembre 1943.
Ma «il momento della riflessione» è antecedente di qualche mese e deve collocarsi all’indomani della caduta del fascismo, il 25 luglio. Riferisce, infatti, Tarcisio Tarquiniche è proprio dopo quella data che, «stando alla testimonianza di un protagonista, Don Angelo Menicucci, un gruppetto di giovani cattolici sente che è arrivato il momento di ‘fare qualche cosa’».
Don Angelo Menicucci, laureato in legge alla Cattolica di Milano e sacerdote dall’aprile 1935, sul numero 24 di Libertà, pubblicato il 14 novembre 1944, ad un anno esatto dal primo, rievocando la «storia delle origini», a proposito della «prima idea» smentisce non solo una sua paternità in tal senso ma anche di essere stato «l’iniziatore del movimento clandestino della Democrazia Cristiana nell’autunno 1943 in Alatri.»
Scrive ancora Menicucci: «È vero che dopo l’8 settembre, anzi dopo il 25 luglio, tutti sentivamo che oramai non era più lecito ad ogni uomo onesto starsene in disparte e tutti in fondo avevamo desiderio di fare qualche cosa. Ma i primi (ch’io sappia) a muoversi fra noi furono alcuni giovani, i quali un bel giorno si presentarono a Mons. Vescovo (si tratta di mons. Edoardo Facchini, ndr) dopo essersi consultati con altro Sacerdote, Don Antonio Sarandrea, e gli chiesero una macchina da scrivere e il ciclostile della Gioventù Cattolica per poter lanciare un giornalino clandestino.
«Mons. Vescovo li accontentò per la macchina da scrivere e li indirizzò a me per il resto. E naturalmente fui ben lieto della cosa sia perché‚ veniva a presentarsi l’occasione concreta di uscire dalla inerzia, sia perché era quanto mai consolante e promettente che i nostri giovani avessero dato il ‘via’.»
Inizia così la storia di Libertà di cui don Angelo cita i promotori: Lino Rossi, Giovanni Santucci, Francesco Isola, Francesco Marinucci, «del quale ricordo sempre con ammirazione la prontezza e la generosità con cui aderì e si mise al lavoro», Carlo Costantinie Pietrino Di Fabio, «che furono in seguito instancabili e preziosi.
«E poi altri, sempre fra i giovani, con entusiasmo, forse un po’ ingenuo, ma commovente e spensierato.
«Chi pensava al rischio? E forse i più non avevano neanche un’idea chiara degli obiettivi da raggiungere, ma sentivano la soddisfazione e l’ebbrezza di poter far finalmente ‘qualche cosa’.»
Tre sono le caratteristiche che emergono dall’iniziativa nella sua fase iniziale: il colore monarchico della maggior parte degli aderenti che poi, «quando l’iniziativa si allargò e precisò i propri obiettivi immediati», di fatto svanisce; una forma di reazione da parte di quei giovani «contro l’estremismo dei loro coetanei, che parlavano già di comunismo, di marxismo, di rivoluzione, non senza una qualche puntata antireligiosa; una terza caratteristica era quella della spontaneità», nel senso che non c’era alcun collegamento con altri centri o con Roma stessa.
Scrive don Menicucci: «Forse non tutti avevamo idee chiare, forse erano addirittura contrastanti, ma quello che prevaleva era il desiderio di agire sulla base di quel denominatore comune, su cui tutti facilmente convenivano: la lotta contro i fascisti e contro i tedeschi. Anzi (e questa è un’altra caratteristica iniziale): la lotta contro lo straniero, ma che avrebbe potuto essere, prima o dopo, chiunque altro avesse voluto calcare da dominatore il suolo della Patria.»
Il “lancio” del giornale avviene il 14 novembre — quel giorno, ad Alatri, ci sono i funerali di un legionario, Giuseppe Randazzo, misteriosamente assassinato due giorni prima — nel rispetto della data indicata in testata e grazie all’impegno di don Pietrino Di Fabio, un giovane seminarista, che s’incarica di diffondere quel primo numero “tirato” in un centinaio di copie in tutto.
Sono tre fogli ciclostilati, stampati su una sola facciata e spillati fra loro, la cui realizzazione, oltre a don Pietrino, che ne ha curato la stampa, e a don Ambrogio Costantini, che ha disegnato la testata, si deve essenzialmente a don Angelo Menicucci, a tutti gli effetti non solo il promotore ma anche l’ideologo dell’iniziativa.
Di esortazione sia il titolo di apertura, «Muoviamoci!», che il contenuto dell’articolo: «Attraverso lo sfacelo, cui assistiamo con amarezza e trepidazione, è un nuovo periodo di vita e di storia che si avvicina per ciascuno di noi e per la Patria nostra. E tutti ne siamo convinti. Ma che cosa facciamo per prepararci?
«Non basta assistere passivi, sia pure con nascosta soddisfazione, al definitivo dileguarsi della tirannia fascista e all’imminente fine dell’occupazione straniera. Ora più che mai l’avvenire sarà quale ciascuno di noi saprà farlo e chi non avrà un ideale da realizzare o per esso non saprà lottare non sarà degno dell’avvenire. Per questo, o Italiani, è l’ora di muoverci.
«Ci rivolgiamo innanzi tutto a voi veterani della libertà politica, perché riprendiate il vostro posto di combattimento e aiutiate con l’esempio e l’esperienza le nuove generazioni a conquistarsi quella libertà, che un giorno avete goduto e che mai avete potuto dimenticare.
«Ci rivolgiamo a voi, uomini nuovi, cresciuti nel clima superficiale e menzognero della tirannia fascista, ai quali il disgusto e l’amarezza di un ventennio esecrabile rendono più ardente l’anelito alla libertà e alla giustizia.
«Ci rivolgiamo a voi, giovanissimi, che entrate nella vita con l’animo più che mai disorientato e disgustato e bramate un ideale cui consacrare finalmente la vostra giovinezza.
«A tutti diciamo: muoviamoci, prepariamoci. Verrà fra breve la possibilità di agire palesemente, ma intanto non perdiamo del tempo prezioso, e, per essere pronti cominciamo anzitutto col riordinare accuratamente le nostre idee, non perdendo di vista i supremi ideali e precisando gli obiettivi da raggiungere ad ogni costo e al più presto
«Gli ideali nostri sono: Dio, Famiglia, Patria.
«Gli obbiettivi: Libertà, Pace, Giustizia.
«E non temiamo poi di incominciare ad agire: azione di avvicinamento e di solidarietà reciproca, reazione contro i residui del fascismo, individuando chi approfitta delle baionette dello straniero per imporsi e far rivivere le vergogne della ventennale tirannia; reazione, almeno passiva, contro l’occupazione del secolare nemico d’Italia, non mancando di bollare chi si fa servo e collaboratore del tedesco; reazione contro ogni tentativo di rompere il fronte unico della libertà con azioni di parte o di torbido sovversivismo; reazione contro il pericolo di sviare le energie dai veri obbiettivi di lotta, logorandole in personalismi e discussioni e questioni non sostanziali o per lo meno di secondaria importanza.
«E tentativo di azione è anche questa parola fraterna che periodicamente cercheremo di farvi pervenire, per alimentare sempre più la passione dei nostri ideali.
«Italiani, l’ora del dovere è giunta: non disertiamo!»
La diffusione di Libertà si può dire che ottiene un buon successo se già a fine novembre si può contare «su una base abbastanza ampia.» E nasce, allora, il “Movimento Ciociaro di Liberazione” che ha questi punti programmatici: «difesa e lotta contro la tirannia e lo straniero, assistenza alle vittime della barbarie nazifascista, preparazione della ricostruzione della Patria su basi cristiane, vigilanza dei movimenti perturbatori.»
Fanno parte del comitato direttivo Fiorlettaper la stampa, Francesco Marinucci per la propaganda, Giacinto Minnocci per la parte militare, don Angelo e don Carlo Menicucciper l’assistenza.
Il 18 dicembre, un comunista, Gino Conti, contatta il M.C.L.; poi, in un successivo incontro propone che il movimento aderisca al C.L.N. Ma la proposta non viene accettata; si istituisce, invece, un C.L.N. per la Ciociaria con un rappresentante comunista, uno militare ed uno del Movimento che, intanto, cerca di estendersi anche a Fiuggi, a Ferentino ed a Veroli.
Ma l’obbiettivo è quello di creare un comitato ciociaro. Don Angelo Menicucci prende contatti con Raffaele Conti, che già si è attivato in tal senso a Fiuggi, e con Cesare Baroni, che ha sostituito Gino Conti, allontanatosi dalla zona, ed insieme danno vita ad un Comitato Provinciale di Liberazione la cui direzione viene affidata a Conti.
Don Angelo però si rende conto che diventa «sempre più sensibile l’attività poco chiara e leale dei comunisti, che cercavano di infiltrarsi nella zona, celando il proprio carattere antireligioso e servendosi magari di propagandisti e dirigenti noti come cattolici più o meno praticanti. In considerazione di ciò», continua don Angelo, «dedicai il N. 6 di ‘Libertà’ a una chiarificazione di idee, soprattutto pubblicando qualche brano dell’Enciclica ‘Divini Redemptoris’ di Pio XIcontro il comunismo ateo. Gli amici comunisti accusarono il colpo e si impermalirono, finendo addirittura col protestare in alto, al Comitato Centrale di Liberazione Nazionale in Roma, accusandoci di sabotare il patto di alleanza del C.L.N. Mi fu comunicato da Roma di essere più prudente…, ma oramai il N. 6 aveva raggiunto il suo effetto e io continuavo l’opera in corso di propaganda per i nostri capigruppo giovanili di Alatri e per l’elemento femminile.»
(12,continua)
© Costantino Jadecola, 1993.