6 / LA NOSTRA GUERRA / TRA TEDESCHI (IN TERRA) E ALLEATI (DAL CIELO)
In quel settembre del ’43, i tedeschi via terra e gli alleati dal cielo incominciano a “giocarsi” la seconda guerra mondiale anche in provincia di Frosinone.
Sul fronte dei bombardamenti aerei alleati, infatti, oltre quelli di Cassino e di Frosinone, durante il mese ne vengono segnalati anche altri che, naturalmente, incrementano un giammai aggiornato elenco di vittime da essi provocate, cui se ne aggiungono altre causate dai più svariati motivi ma tutti collegati alla vicenda bellica in atto.
A Ceprano, all’alba del 9 settembre, viene ucciso il sergente maggiore Armando Celletti, 32 anni, che, a piedi, sta raggiungendo la stazione ferroviaria per tornare a Livorno, dov’è di stanza il suo reparto. Aveva fatto un salto a casa, a trovare la moglie che aspettava un bambino. Nulla di strano, allora, se, preso da tanta gioia, ignorasse ogni cosa sull’armistizio.
A via Giardino, un fornaio, Antoniuccio Mastromattei, detto “La Paina”, cerca di avvertirlo, di fermarlo. Ma Armando non sente. Poco più avanti, tra piazza della Croce e l’edificio scolastico c’è una pattuglia tedesca. Si ignora se gli sia stato intimato o meno l’alt. Sta di fatto che gli sparano. Armando Celletti crolla al suolo gravemente ferito. Lo portano all’interno dell’edificio scolastico ma c’è ben poco da fare, se qualcosa viene fatta. Infine, con un autocarro lo trasferiscono al cimitero.
La stazione ferroviaria di Castro dei Volsci il 14 settembre, poco prima di mezzogiorno, scrive don Quirino Angeloni, «è gremita di soldati che partono e arrivano. Tutti, dopo la capitolazione dell’otto settembre, cercano di tornare in famiglia».
Tre bambini, Sergio Solli(7 anni), Giuseppe Solli(9) e Filippo De Santis(11), che abitano nelle vicinanze, vengono attratti da quella confusione. Quando il treno parte, uno dei tre, pare Sergio, nota uno strano oggetto che luccica ai raggi del sole. Lo raccoglie e, dopo essersi spostato con gli altri due compagni in quella che oggi è via degli Olmi ma che allora era poco più di un viottolo, cominciano ad «esaminarlo».
ScriveFilippo Palatta: «Con un temperino tentarono di rimuovere una vite affossata nella parte superiore dell’oggetto ma senza riuscirvi; allora il più grande, Filippo, un po’ spazientito, batté fortemente quella strana cosa su di una pietra, nella speranza di romperla; ma una deflagrazione terribile fece tremare tutta la zona».
Era una bomba a mano lasciata non si sa da chi. Filippo De Santis e Sergio Solli muoiono all’istante; Giuseppe, invece, resta ferito: subito soccorso da un medico militare viene poi affidato alle cure del dott. Giovanni Stirpe.
Il giorno dopo, in località Tomacella, territorio in comune di Patrica, una bomba a mano uccide un ragazzo, Benito Giorgettini. «Il fratello Vincenzo spara, per rappresaglia, alcuni colpi di fucile contro soldati tedeschi», scrive Erminio Bufaliniche poi aggiunge: «Ricerca per la campagna e per il paese da parte delle autorità tedesche! Cresce, intanto, il panico della popolazione per il timore di razzie di uomini, di cui si ha già sentore perché avvenute in paesi circonvicini».
Quello stesso 15 settembre, anche ad Anagni resta ucciso un ragazzo mentre gioca con armi e bombe lasciate abbandonate e, sempre ad Anagni, ma il 19, sei persone restano ferite dallo scoppio di una bomba a mano: una di esse muore.
I ponti tagliati
Nell’ottica della più elementare strategia bellica, ovvero quella di tagliare i ponti alle spalle del nemico, l’11 settembre, lo stesso giorno del bombardamento di Frosinone, l’aviazione alleata non risparmia nemmeno la piccola stazione di San Vittore del Lazio e la zona ad essa più prossima, provocando la morte di sette persone, tra cui un paio di bambini di 6 anni, un ragazzo di 16 anni, 3 donne ed un uomo di 55 anni.
È poi la volta, ma il giorno dopo, della stazione di Roccasecca, bombardata durante la notte. Don Angelo Pantoni, dal suo privilegiato osservatorio in quel di Montecassino, precisa: «Già iersera se ne vedevano le avvisaglie».
Anche nel mese di settembre l’aeroporto di Aquino e la zona circostante continuano ad essere oggetto di attenzione da parte dei bombardieri alleati. E sempre don Pantoni segnala un primo bombardamento poco dopo le ore 14 di venerdì 3 («sono state sganciate 4 o 5 bombe sulla piana di Aquino verso Pontecorvo. L’aeroporto non ha avuto alcun danno. Sesta azione aerea su Aquino»), un secondo verso le ore 12,30 di giovedì 16 («sono state gettate bombe sugli edifici dell’aeroporto di Aquino e vicinanze; una bomba è andata a finire nel burrone dell’Albaneta con gran spavento dei contadini del luogo. Settima azione aerea su Aquino») e un terzo, infine, alle 18,30 di sabato 18 («tre aeroplani hanno gettato bombe sull’aeroporto di Aquino; è l’ottavo bombardamento che subisce»).
RaccontaTancredi Grossiche i tedeschi «il 28 settembre rastrellarono una sessantina di uomini, tra cui ragazzi e vecchi, e li condussero alla stazione ferroviaria di Cassino scaricare grossi fusti di benzina. A quelli che, inabili al lavoro, chiedevano l’esonero, venivano somministrati scudisciate e calci. Un vecchio settantenne che, piangendo, implorava misericordia, ricevette in testa un violento colpo col calcio del moschetto e rimase lì, morto all’istante».
Proprio quella mattina, verso le 11, una formazione di aerei alleati sgancia sulla stazione bombe di tutti i calibri. Scrive ancora Grossi: «La sbirraglia hitleriana si allontanò in tempo rifugiandosi nei vicini ricoveri, donde, coi moschetti puntati contro gli italiani, impediva loro di muoversi. Quando gli aerei, scaricate le bombe, si allontanarono, il suolo rimase coperto di cadaveri: dei sessanta lavoratori sei o sette si salvarono».
Bombe su Esperia
L’ultimo giorno del mese tocca ad Esperia ma non si capisce quale motivo induca gli alleati a bombardare questo centro degli Aurunci apparentemente privo di particolari caratteristiche strategiche. O sarà stata, forse, la presenza di una autocolonna tedesca?
Alfonso Parisse ha raccolto la testimonianza del podestà del tempo, ins. Clino Pompei: «Quel giorno, sin dalle prime ore del mattino, era incominciato ad affluire ad Esperia Inferiore un buon numero di truppa tedesca che doveva accantonarsi in paese.
«Un Capitano mi aveva imposto di guidarlo alla ricerca di locali per alloggio Ufficiali e Comando. Verso le ore 13, eravamo dentro la villa Guacci a Vallepiana, alcuni scoppi fragorosi assai vicini ci costrinsero a cercar rifugio fuori dell’abitazione: aerei alleati, che volteggiavano nel cielo, avevano lasciato cadere alcuni spezzoni nella campagna, senza, però, causare danni alle persone né alle case coloniche. Ma non così era, invece, in quello stesso momento, per Esperia Superiore, che si vedeva tutta avvolta in una nuvola di polvere sotto il carosello degli aerei di cui, misto al rombo dei motori, si distingueva assai bene il crepitio delle mitragliatrici».
Scrive Bruno D’Epiro: «Le prime squadriglie volavano serrate in formazione, scortate da caccia bombardieri medi che volavano a quota inferiore.
«Quando le formazioni arrivarono all’altezza di Esperia, osservando l’ammassamento dei Tedeschi stanziati in Piazza Campo Consalvo, una decina di caccia si distaccò dalla formazione e incominciò un carosello di fuoco.
«I caccia bombardieri si inclinarono su Esperia da sud a nord-ovest, da nord-ovest a sud in veloci virate, mitragliando, sganciando il loro carico di morte.
«Il tuono delle detonazioni fu assordante, e, intorno e dentro l’abitato, l’aria fu piena di scoppi, di fumo.
Decine e decine di bombe furono sganciate da per tutto.
«Le bombe, in particolare, caddero a Caporave, all’ingresso di Esperia Superiore».
A bombardamento finito, l’accorrere in paese del podestà e dell’ufficiale tedesco è, così, forzatamente bloccato a Caporave da un cumulo di macerie: non ci vuol molto, comunque, a capire che i danni alle cose ed alle persone sono ingenti.
Il podestà Pompei racconta ancora che «ben poco si poté fare in quel pomeriggio triste e poco nel giorno successivo. Dal terzo in poi, grazie all’intervento dei tedeschi che sentirono finalmente il dovere di dare una mano, e con l’aiuto di altri cittadini fu possibile recuperare quasi tutte le salme; le quali, insieme con le altre recuperate prima e deposte provvisoriamente nel Circolo di piazza Guglielmo, furono sistemate nelle casse allestite dal falegname Luigi Paliotta, indi traslocate a spalla a Caporave e di qui avviate al Cimitero col carretto di Paolo Ciavolella».
Queste le vittime del bombardamento: Maria Civita Catanzaro(73 anni); Iole(12), Liliana(3) e Maria(15) Ciccolella; Alessandra Cifù(7); Adriana(13), Flora(17) e Roberto(15) D’Epiro; Bianca(22), Giovanni(5), Maddalena(23) e Silvio(30) Di Cuffa; Umberto Grossi(65); Salvatore Palazzo(64); Maria Civita Palombo(39); Gina Rossini(28); Giuseppina Stavole(93) e Lorenzo Vallone(1). (6, continua)
© Costantino Jadecola, 1993.