2 / LA NOSTRA GUERRA / LA CALDA ESTATE DEL ’43
L’aeroporto di Aquino dopo i bombardamenti dell’estate del ’43 (g.c. Marco Marzilli)
Il panico suscitato dal bombardamento dell’aeroporto di Aquino del 19 luglio e dei giorni immediatamente successivi si aggrava ulteriormente con quello del giorno 23, intorno mezzogiorno, quando, al di là di ulteriori danni alle cose, tra cui la ferrovia Roma-Cassino-Napoli, che sfiora l’aeroporto, si registra anche l’uccisione di alcuni civili in territorio del comune di Piedimonte San Germano (Maria Carolina Carcione, Orazio Vittigli, Francescantonio Capraro, Teresina Cuciniello, Luisa e Camilla Giorgio) ed il ferimento di altri.
Non passano nemmeno 24 ore che il Lazio meridionale, è scosso da un’altro segnale di guerra che in questo caso, però, si manifesta nel mar Tirreno, nell’area delle isole pontine.
Sono circa le 11 del mattino del 24 luglio, infatti, quando il piroscafo “Santa Lucia”, che collega Gaeta a Ponza, e viceversa, mentre si trovava a circa due miglia da Ventotene per il previsto scalo sulla piccola isola viene attaccato da tre aerosiluranti inglesi che nel giro di pochi minuti ne provocano l’affondamento. Delle oltre cento persone che vi sono a bordo se ne salva solo qualcuna. Tra cui il comandante, Cosimo Simeone, che, però, per le molte ferite riportate, morirà di lì a qualche giorno in un ospedale di Napoli.
Ed arriviamo così al 25 luglio. In verità, sia le “dimissioni” di Benito Mussoliniche la nomina di Pietro Badoglioa capo del governo non è che provochino reazioni eclatanti: fatta qualche eccezione, insomma, il duplice evento beneficia di una composta indifferenza anche perché‚ probabilmente, quella guerra che sembrava tanto lontana ormai la si gioca quasi in casa cosicché la preoccupazione per un domani quanto mai incerto prevale su tutto e poco importa se, morto un papa, se ne è fatto un altro. E, poi, chi aveva pensato di poter associare quel cambio al vertice con un’inversione di tendenza resta fortemente deluso quando Badoglio dice chiaro e tondo che «la guerra continua».
Il timore che Mussolini possa essere liberato, intanto, impone la ricerca di un luogo sicuro dove poterlo custodire. Cosicché la sera del 27 luglio egli, in tutta segretezza, viene trasferito da Roma a Gaeta da dove, all’alba del giorno successivo, verrà imbarcato sulla corvetta “Persefone” con rotta Ventotene. Una volta giunti sull’isola, però, ci si rende conto che sull’isola non ci sono le condizioni per poter garantire la sicura custodia dell’illustre prigioniero per cui si decide di spostarsi nella non lontana isola di Ponza che viene raggiunta nel pomeriggio dello stesso giorno. Inizialmente sistemato in un alloggio di fortuna, Mussolini resterà a Ponza fino al 7 agosto quando viene trasferito all’isola della Maddalena da dove, in successive tappe, approderà a Campo Imperatore.
Insomma, in quel mese di luglio del ’43 accade di tutto. Ma anche il contrario di tutto. Tant’è che un quadro quanto mai significativo di quelle ore può essere ciò che accade ad Alatri secondo la telegrafica testimonianza diAngelo Sacchetti Sassetti: «Degli abitanti, molti appaiono lieti, pochi mesti. La facciata del Collegio è piena d’iscrizioni con evviva e abbasso, ecc. cassate e riscritte.»
Così, se a Ceccano c’è in giro una diffusa euforia e qualche fascio incomincia a saltare e se ad Anagni la gente invade le strade mentre suonano le campane e s’improvvisa anche un corteo che però viene interrotto dai carabinieri che portano i manifestanti in caserma, a Ferentino s’insedia una guarnigione tedesca che occupa, tra gli altri edifici, il collegio “Martino Filetico” ed il villino Battisti, sostituendo definitivamente il reparto italiano della divisione “Piave” mentre, ancora ad Anagni, arrivano anche qui soldati ma in questo caso italiani: ci sono carristi al seminario e al fascio; il Gruppo Armate Sud, dal canto suo, si è sistemato al Convitto Principe di Piemonte che ospita anche Umberto di Savoia.
Cosa accade, intanto, nella provincia ‘ufficiale’? Il 27 luglio il prefetto di Frosinone Edoardo Gulottadispone, come si legge in un telegramma al Ministero dell’Interno, che «Podestà provincia quali presidenti enti comunali assistenza d’accordo con locali comandi stazione CC.RR. prendano subito consegna tutti documenti valori et arredi esistenti presso locali fasci combattimento et organizzazioni dipendenti previo regolare inventario.» E segnala anche allo stesso Ministero di aver disposto una «sommaria ricognizione uffici federazione fasci virgola dopolavoro provinciale et fasci femminili procedendo apposizione suggelli con assistenza notaio. Somme ritirate da mio funzionario ascendono a lire 133.212,50 in vaglia bancario et 106 numerario. Operazioni proseguono. Attendo già richieste istruzioni.»
A Frosinone accade qualcosa di “interessante” solo il 28 luglio: viene diffusa, infatti, la voce di un armistizio appena firmato. In molti, esultanti, scendono in strada e si dirigono in corteo verso la prefettura. Ma un segnale d’allarme pone fine alla manifestazione. In realtà, sono falsi sia “la voce” che il segnale d’allarme, fatto suonare dal prefetto Gulotta per intimorire e far allontanare i dimostranti.
Insomma, il giorno in cui il cavalier Benito Mussolini cede la poltrona al cavalier Pietro Badoglio, praticamente «nell’ora solenne che incombe sui destini della patria», la provincia di Frosinone non è in grado di “produrre” altre situazioni se non quelle appena riferite e faticosamente rintracciate.
Arriva agosto. Che, tutto sommato, almeno in provincia, è meno “caldo” di luglio: non che l’aviazione alleata sia andata in ferie; più semplicemente, perché‚ nei suoi obiettivi ci sono ora le grandi città italiane.
Per sei giorni di differenza, Roma non “celebra” l’anniversario del 19 luglio: la bombardano, infatti, il 13 agosto. E si contano altre centinaia di morti e di feriti, tra cui anche ciociari. Un nome per tutti: Agnese Pagliacci, vedova Pietropaoli, di Morolo.
Eccezione a questa “tregua” concessa alla provincia, ancora un paio di visitine di aerei alleati all’aeroporto di Aquino. Don Angelo Pantoni a Montecassino annota: «14 agosto 1943, sabato (ore 21,30 solari): un apparecchio, altri dicono due, ha mitragliato la strada presso l’aeroporto di Aquino sganciando alcune bombe sulla campagna circostante. 16 agosto 1943, lunedì: stanotte alle 01,00 (24,00) circa, levata generale (al monastero di Montecassino, evidentemente, ndr) per azione aerea sulla zona di Aquino sulla cui campagna sono state sganciate varie bombe. C’era bombardamento anche verso Frosinone (Quinta azione aerea su Aquino)».
A Morolo, domenica primo agosto nella chiesa collegiata di S. Maria viene celebrato un solenne rito funebre a suffragio dei fratelli Alfredoe Costantino Nallie di Mariano Spazianitutti e tre vittime nel bombardamento di Roma del 19 luglio. «I presenti», riferisce don Antonio Biondi, «numerosissimi dettero generosamente il loro obolo per i primi soccorsi alle tre vedove e ai numerosi piccoli orfani.»
Il 19 agosto, ad Anagni, San Magno deve fare a meno della processione. Per quali motivi, anche se essi sono facilmente intuibili, lo si ignora.
Va molto meglio, invece, a San Lorenzo, patrono di Amaseno, alla cui festa ed al cui miracolo, L’Osservatore Romanodi mercoledì 11 agosto dedica un articolo firmato da p. Enrico Giannetta corredato da una foto della «vetusta Chiesa di S. Maria ove si conserva il prezioso reliquiario».
Se non si vedono gli alleati, in compenso ci pensano i tedeschi a farsi vedere ed a rammentare che aria soffia. Del resto, pur sempre di alleati si tratta. Anzi, don Antonio Grossi, riferendo dell’occupazione di Pico, scrive che «i primi tedeschi apparvero a Ponteodioso nel luglio 1943. Venivano da Pontecorvo, occupata già da un pezzo. Erano meccanici. Dopo aver innalzato alcune tende presso il torrente Quesa, vi riparavano gli automezzi di quel settore.»
Don Antonio Biondi annota, invece, che «i tedeschi che per la prima volta si videro a Morolo non erano più di sei. Il loro aspetto non era troppo marziale. Uno di essi aveva un principio di gozzo. Erano di scorta a un treno di benzina diretto a Napoli. I bombardamenti subiti dalla linea Roma-Cassino non avevano permesso al treno di proseguire il suo viaggio verso il sud. Fu fatto fermare alla stazione di Morolo essendo ingombre o troppo esposte a ulteriori bombardamenti le altre stazioni della zona. Mentre due di quei tedeschi rimanevano a far la guardia al loro treno (e la facevano con la fedeltà di ringhiosi alani), gli altri, servendosi dell’autobus postale, salivano volentieri a Morolo ove incominciarono subito a comperare quanto trovavano in vendita nelle botteghe per spedirlo a casa nonché a comperare vino nelle osterie.»
A parte questo sporadico episodio, dalla metà di agosto la presenza di soldati tedeschi a Morolo diviene un fatto usuale. Precisa don Antonio Biondi che «erano truppe dell’aeronautica che avevano improvvisato un campo di fortuna per decollo e atterraggio di aerei leggeri nei pressi della stazione di Sgurgola.»
I tedeschi arrivano anche ad Ausonia. Racconta Michele Tomasche «alla fine di agosto una decina di telefonisti, comandati da un sotto ufficiale, piantarono le tende in località Croce, avendo il compito di proteggere le linee telefoniche che, passando per le colline di Ausonia, scendevano verso il Garigliano.»
Nonostante che l’8 settembre, benché prossimo, debba ancora arrivare, basta talvolta un bicchiere di troppo a far saltare l’intesa italo-tedesca. Ed è quel che accade proprio in un’osteria di Ausonia: un bicchiere tira l’altro ed alla fine uno del luogo “tira” una bottiglia sulla testa del comandante dei telefonisti: il minimo che può fare è rendersi uccel di bosco. Tra alleati, infatti, certi “scherzi” si pagano cari.
(2, continua)
© Costantino Jadecola, 1993.
IL TERZO ARTICOLO DELLA SERIE “LA NOSTRA GUERRA”,
DAL TITOLO “28 SETTEMBRE. IL CAOS”,
VERRÀ PUBBLICATO IL PROSSIMO 5 SETTEMBRE.