1) LA NOSTRA GUERRA / IL PRINCIPIO DELLA FINE
Bombardamento in corso sull’aeroporto di Aquino nell’estate del 1943.
Chi avrebbe mai lontanamente pensato che un giorno (non dei secoli bui) Montecassino sarebbe stato distrutto con una tale veemenza da essere ridotto ad una montagna di polvere? Nessuno, probabilmente. Cioè, nessuno avrebbe mai immaginato che dopo quelle ad opera dei Longobardi prima (581) e dei Saraceni dopo (883) ad altra distruzione decisione umana avrebbe sottoposto il cenobio voluto da Benedetto da Norcia nel nome della preghiera e del lavoro.
Invece, ciò accadde nell’inverno del 1944. Ma nessuno, sino all’ultimo, se l’aspettava. Cosicché‚ la cosa più logica sulla quale anche il più accanito tra i pessimisti non avrebbe avuto dubbi era la totale garanzia di sicurezza offerta dal Monastero le cui mura mai uomo al mondo avrebbe osato violare.
Di certo non ebbe dubbi in merito don Stefano Colonnadi Paliano, vice presidente della deputazione della R. Cappella del Tesoro di San Gennaro, naturalmente di Napoli, quando pregò l’abate di Montecassino, don Gregorio Diamare, di custodire quel tesoro in abbazia. La fiducia, del resto, era tale che nel verbale che certificava la consegna del tesoro, don Stefano Colonna, che lo sottoscrive unitamente a don Gregorio Diamare il 26 maggio 1943, «dichiara di avere prescelto all’uopo fra gli altri Santuari e Conventi l’Abbadia di Monte Cassino sia perché per la sua ubicazione è da ritenersi meno esposta di ogni altra al pericolo delle incursioni aeree sia per la fiducia che gl’ispirano la santità dell’Ordine e la rigorosa osservanza da parte dei Monaci, da lui da molti anni conosciuti; ed aggiunge che si è deciso a questa scelta nella certezza che il deposito, che oggi viene consegnato, sarà custodito con le stesse cautele e con lo stesso interesse con i quali si provvede a tutelare gli oggetti sacri di maggior valore di proprietà del sacro Cenobio.»
Quando le tre casse in legno di abete contenenti il tesoro di San Gennaro vengono ufficialmente consegnate alla custodia di Montecassino, l’abate Diamare dice al principe Colonna: «Noi non possediamo grotte o locali che possano ritenersi protetti dalle distruzioni belliche: riporremo il Tesoro nella Biblioteca, dove conserviamo quanto di più prezioso, dopo le reliquie del Santo, costituisce la nostra ricchezza: ma stia sicuro che il Tesoro di S. Gennaro sarà guardato alla pari di quanto ci è più caro.»
Ancora in quel mese di maggio si decide di ricoverare nel cenobio cassinese — vi arriverà la mattina del 3 luglio — il medagliere del museo nazionale di Siracusa; a Montecassino, peraltro, era già stato trasferito, anch’esso per esservi custodito, un altro “tesoro” ancora, o presunto tale: si trattava di alcune casse sigillate di proprietà di casa reale — ma il cui contenuto non era stato dichiarato — che lo stesso Umberto di Savoiaaveva personalmente “accompagnato” al monastero quando la guerra era ancora molto lontana.
Poi, a luglio, ci si rende improvvisamente conto che la guerra è molto più vicina di quanto la si pensi. Il giorno 10 di quel mese gli alleati mettono piede in Sicilia ed inizia, così, la lunga e cruenta campagna italiana. Nove giorni ancora e le pur possenti mura del monastero sussulteranno per la prima volta da quando erano state ricostruite dopo che il violento terremoto del 1349 le aveva rase al suolo: la notte tra il 19 e 20 luglio 1943, infatti, le popolazioni del Lazio meridionale vivono la loro prima, tragica, diretta esperienza di guerra con il violento bombardamento dell’aeroporto di Aquino da parte di aerei alleati.
La sera di quel 19 luglio, un lunedì, è una di quelle che, per il caldo, lasciano il segno. A parte ciò, si è un po’ tutti sconvolti per le frammentarie notizie sul bombardamento alleato che c’era stato quel giorno a Roma sullo scalo di San Lorenzo: una tragedia, si sarebbe saputo dopo, con un migliaio di morti e un numero notevole ma imprecisato di feriti.
Insomma, se si era arrivati a tanto, se si era arrivati a bombardare Roma, non c’era da stare per niente tranquilli anche se mai e poi mai si pensava che di lì a qualche ora analoga sorte sarebbe toccata ad Aquino ed al suo aeroporto.
Si trattava, per il momento, solo di una sensazione. Poi, però, quando in prosieguo di serata il cielo venne rischiarato dalla luce violenta di un razzo, il primo dei molti che ad esso fecero seguito, quella sensazione cessò di esser tale e divenne un concreto timore che si acuì quando, di lì a poco, la pianura si illuminò a giorno.
Appena dopo inizia il finimondo e ben presto l’aeroporto diventa «un gran braciere» il cui sinistro bagliore travalica i monti e viene notato a Settefrati, Alvito, Isola Liri ed anche più lontano ancora.
Insomma, una notte di quelle che non si dimenticano e per la quale bisognerà essere grati alla Nasaf, la Northwest African Strategic Air Force, ed ai suoi aerei Wellington.
Lo scheletrico linguaggio ufficiale, dal canto suo, liquida il tutto in poche righe formalizzando un primo bombardamento alle ore 23,30 del 19 luglio ed un secondo alle ore 2 del giorno successivo con un bilancio in termini di vite umane di 4 morti e 23 feriti nel contesto aeroportuale. Ad Aquino, tra i civili, si registra, invece, la tragica fine di Luigi Mirante, detto “Patriarca”, colono presso il casino Fusco, a due passi dall’aeroporto, dilaniato da una bomba, la stessa che ferisce gravemente anche la moglie Maria Antonia a cui si renderà necessario amputare un braccio.
Ma non è finita. Infatti, l’impianto aeroportuale aquinate deve destare molta apprensione negli ambienti alleati se fino al 18 settembre successivo, cioè nell’arco di un paio di mesi, subirà altre sei incursioni aeree — 23 luglio, ore 12; 29 luglio, ore 14,30; 14 agosto, «ore 21,30 solari»; 16 agosto, ore «01 circa»; 3 settembre, ore 14,15; 16 settembre, ore 18,30 — come annota scrupolosamente nel suo diario il monaco cassinese don Angelo Pantoni. Ma ce ne sono anche altri, probabilmente sfuggiti all’attenzione di don Angelo. Infatti, se è confermato quello del 29 luglio, operato sempre dalla Nasaf ma con aerei B‑26, altri ve ne sono il 25 settembre, stavolta con aerei degli Stati Uniti e della Raf, il 12 e il 22 ottobre ed il 6 novembre, sempre ad opera della XII Air force.
Quanto alle vittime provocate dalle varie incursioni sull’aeroporto il loro numero non può certo limitarsi alle cifre fornite nei bollettini ufficiali dal momento che s’ignora quale fosse la reale consistenza della forza tedesca presente presso l’impianto aeroportuale dove, peraltro, oltre a militari italiani lavorava anche personale civile. E proprio a questo personale è da supporre appartenesseroGiovanni Andreoli, 49 anni, e Luigi D’Agostino, 52 anni, entrambi operai ed entrambi originari di Napoli, i cui nomi risultano in un registro relativo alla collocazione dei defunti presso il cimitero di Aquino dove è annotato che essi sono deceduti «in aeroporto» il 19 luglio 1943 (h. 11,30 e 11) così come Nicola Palermo, 18 anni, e Mario Protano, 16 anni, anch’essi operai e tutti e due di Colfelice, deceduti, però, nel bombardamento del 23 luglio, intorno a mezzogiorno (h. 11.40).
Il contestuale decesso di Vincenzo Cerilli(o Cirillo), 38 anni, e di Antonio Fiacco(20) avvenuto lo stesso giorno, il 13 settembre, e nello stesso luogo, «località Guadicciolo, strada ferrata», fa necessariamente supporre che siano stati entrambi vittime di un «evento bellico». Ma se questa informazione è ricavata dagli atti di morte del comune, dal registro sulla collocazione dei defunti nel cimitero, ai due nomi citati se ne aggiunge un terzo, quello di Giorgio Pizzarelli(26). A fianco di ciascuno è poi annotato «morto sotto il treno» e, ancora, che sono tutti e tre soldati.
Ed anche il numero dei feriti, dal canto loro, deve essere consistente se molti di essi verranno ricoverati presso l’ospedale di Frosinone, evidentemente una volta esaurita la disponibilità di posti in quelli più vicini, tant’è che il 24 luglio il podestà di Frosinone, l’avv. Pietro Gizzi, delibera, tra l’altro, la fornitura di medicinali «per il pronto soccorso ai feriti a seguito dell’incursione aerea nemica sul campo d’aviazione di Aquino», l’ultima delle quali è del 23 luglio, alle ore 12,10.
Ne da notizia il solito telegrafico comunicato ufficiale in cui si legge che «una formazione di cinquanta quadrimotori provenienti dal mare, all’altezza di Gaeta, sorvolò l’aeroporto di Aquino sganciando bombe dirompenti sull’aeroporto, in prossimità di San Giovanni Incarico e Ventotene. L’aeroporto subì vari danni e furono distrutti trenta apparecchi al suolo».
Per un paio di giorni nella zona dell’aeroporto si susseguono le esplosioni mentre si abbozza un primo bilancio: «tra il personale aeroportuale si sono avuti due feriti lievi e precisamente il sergente maggiore Stelvio Avallonee l’aviere Alfredo D’Alboe due colpiti da tremito nervoso: il primo aviere fotografo Carmine Cossutoe il sergente Giuseppe Di Patriache vengono ricoverati presso l’ospedale di Pontecorvo.» Il comando tedesco, dal canto suo, segnala due morti ed un ferito tra il personale civile e tre feriti tra quello militare.
Quanto agli immobili, è totale la distruzione dell’officina, dell’autoreparto, di due aviorimesse e di tre baracche in lamiera tipo “Innocenti”; parziale, invece, quella dell’infermeria, di una terza aviorimessa e della caserma avieri. Danni subiscono l’ingresso alla zona aeroportuale che le strade di accesso, la palazzina adibita a comando, quella destinata agli allievi e la centrale elettrica cosa, questa, che comporta un limitato funzionamento degli impianti idrici ed elettrici mentre quelli telefonici e telegrafici sono del tutto fuori uso.
Alle prime ore del nuovo giorno, tra i primi a portarsi ad Aquino per rendersi personalmente conto di quanto è accaduto sono il principe ereditario, Umberto di Savoia, proveniente dal Gruppo Armate Sud (Sessa Aurunca), ed il prefetto di Frosinone Edoardo Gulotta.
(1, continua)
© Costantino Jadecola, 1993.
One Reply to “1) LA NOSTRA GUERRA / IL PRINCIPIO DELLA FINE”
Caro Jadecola, ho letto, su segnalazione dell’amico Lorenzo Tonioli, il tuo pezzo sull’abbazia di Montecassino e la distruzione del 1944. Ho visitato di nuovo e di recente l’abbazia, alla quale sono legato anche per aver conosciuto e intervistato uno dei cittadini che trovarono rifugio sicuro nei sotterranei del complesso abbaziale durante il bombardamento del febbraio 1944. Si chiamava (ormai è scomparso da tempo) Alessandro Forgione e mi raccontò, da semplice uomo qualunque, il terrore che vissero e la gioia che provarono tutti quando, rimasti illesi, poterono uscire alla luce del sole trovandosi davanti il “cadavere” di uno dei centri massimi della Cristianità e della cultura italiana.
Ho anche la fortuna di possedere la prima edizione degli anni Quaranta di “Montecassino”, lasciatami da mio Padre.
Complimenti e auguri, Pier Giacomo Sottoriva