LI CHIAMAVANO BRIGANTI / IL CAPPOTTO DI PANNO TURCHINO
Il convento di San Sosio a Falvaterra
Il mattino del 19 novembre 1865 Pasquale Mastrocicco di Falvaterra dal «ritiro» dei Padri Passionisti di San Sossio stava tornando a San Giovanni Incarico, «Regno Napolitano», dove abitava da molti anni e dove prestava servizio presso la famiglia Cayro, quando, «prima di uscire da un prato di quel Ritiro, fu aggredito e ricattato da un incognito armato di pistola», successivamente identificato per Giuseppe Zomparelli, 32 anni, «detto il figlio di Onoratello di Pastena», che, con minacce di morte, fu costretto a seguire fino al capanno di Giuseppe Cristofari in territorio di Falvaterra.
«Pel riscatto del Mastrocicco» sul principio le «pretese» di Zomparelli furono «eccessive»; poi, però, anche in seguito alle preghiere dell’interessato ed alle raccomandazioni del padrone di casa, le «restrinse» a più ragionevoli 15 scudi. E a far da tramite fu proprio Giuseppe Cristofari che lo stesso ricattato indirizzò ad una certa Antonia Verelli la quale, a nome di Mastrocicco, si recò in San Giovanni Incarico presso la famiglia Cayro dalla quale ebbe i 15 scudi che, a sua volta, consegnò a Cristofari.
Nel frattempo, «il ricattato era stato dal Zomparelli rilevato da quel Capanno e condotto in quella prossima Montagna guardando il Capanno stesso, in attenzione del ritorno dello spedito Cristofari col danaro.» Il quale, però, dei 15 scudi a Zomparelli ne diede solo 13, «occultando» gli altri 2 per poi consegnarli al sequestrato.
Naturalmente, lì per lì «andò sulle furie il Zomparelli perché la somma mandata non arrivava agli scudi 15 richiesti, ma finalmente si azzittì» e, preso a Mastrocicco il cappotto «di panno torchino» che indossava, gli consentì di andar via.
Il povero Mastrocicco stava appena incominciando ad assaporare il gusto della ritrovata libertà, si legge nei documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Frosinone (Delegazione apostolica — Affari generali, Militare, Polizia. B. 72 — F 56), quando «venne di nuovo assalito dal Zomparelli, e preso per riportarlo in Montagna dai suoi compagni briganti»: «Come hai potuto cavare così subito questo danaro», disse il brigante, ora «dovrai sborzare altre cento piastre!» Poi, però, «alle incessanti preghiere del diretto interessato e del Cristofari, che nel vedere la nuova aggressione, tornò da loro», la povera vittima poté ottenere di essere lasciato definitivamente libero.
Il «Governo di Ceprano», venuto a conoscenza del ricatto sia per via dei «rapporti» del «Reverendo Padre Rettore de’ Passionisti» che a seguito della denuncia fatta dallo stesso ricattato, emise ordine di arresto «contro del Zomparelli» che «cadde in potere della giustizia il giorno 22 Gennaro 1866» con indosso ancora «il Cappotto di panno torchino preso al Mastrocicco» che, quale corpo del reato, fu «appreso dalla forza» e «legalmente depositato nella Cancelleria di Ceprano.»
«Nel primo suo esame», però, Zomparelli sostenne che «il Cappotto di panno torchino, che riconobbe, era il suo, per averlo comprato da oltre un anno fa nel mercato di Pastena da un incognita donna senza darne le prove. Sostenne», poi, «di non conoscere il ricattato Mastrocicco e di non sapere che siagli accaduto cosa alcuna di male»; era più di un anno, disse ancora, «da che deve accedere nel Ritiro dei Padri Passionisti di S. Sosio» dichiarando, infine, di non avere conoscenza alcuna di briganti.
In realtà, però, le cose non stavano in questi termini; del resto, dalle indagini appena espletate non c’era voluto molto per appurare che era lui stesso un brigante e che apparteneva «a delle bande armate» che commettevano delitti «sì nel Regno che nello Stato Pontificio.»
Nel secondo interrogatorio, Zomparelli corresse il tiro ed «ammise l’accesso in ogni giorno festivo nel ritiro dei Passionisti di S. Sosio all’oggetto di ascoltare la Messa; ammise la conoscenza a sola vista di Pasquale Mastrocicco e negò il Ricatto del medesimo (…) pretendendo far credere di averlo da altri saputo e che falsamente» questo ricatto veniva a lui addebitato. Affermò, infine, di aver veduto «persone armate senza conoscere se Briganti o Forza e negò diessersi associato coi briganti e di aver appartenute a banda armata» ed «in tale contegno si mantenne anche alle ammonizioni e finali contestazioni.»
A smentirlo, però, c’erano alcune denunce tra cui quella di Giovanni Sorgi ed Eugenio De Angelis, che accusavano «Zomparelli di aver appartenuto a bande armate di briganti commettendo coi medesimi delitti sì nello Stato pontificio, che nel Regno, dando delle prove a stabilire la loro denuncia» e l’altra di Luigi Germani «che l’accusa parimenti per Brigante.»
C’erano, poi, la deposizione di Marco Chiari «dalla quale si ha essere il Zomparelli un Brigante ed appartenere alla Banda del Medjchetto per averlo veduto unito ai componenti la Banda suddetta, che alle volte era composta di sette od otto uomini, ed alle volte di più, tutti armati di doppietta meno il Zomparelli di archibugio ad un sol colpo» ed anche quelle di altri i quali «depongono essere 1’Inq[uisito] Zomparelli un Brigante ed avere fatto parte delle bande dei Briganti avendolo più volte veduto armato di archibugio unito ai briganti armati di doppietta.»
Alla querela di Pasquale Mastrocicco, molto circostanziata circa l’evento di cui lo stesso era stato vittima, peraltro confortata dalla «legale ricognizione del cappotto», si aggiungono poi la deposizione di Gabriella De Angeli e di Giovanni Marcone, testimoni presenti all’arresto di Zomparelli «ed all’apprensione del cappotto di panno torchino che indossa, che legalmente riconobbero» e quella di Giuseppe Cristofari il quale, dopo aver ricostruito l’episodio del ricatto a danno di Mastrocicco, aggiunge che Zomparelli, nel sentirsi chiamare a nome, «si sgomentasse», intimandogli sotto voce di dire di non conoscerlo.
Dall’«esame» della moglie di Giuseppe Cristofari, Teresa, e da quello di Giuseppe Andreozzi «si stabilisce pure il ricatto del Mastrocicco per fatto dell’Inq[uisito] Zomparelli armato di pistola, e coltello il prezzo sborzato pel riscatto in scudi 13 oltre al cappotto di panno torchino che gl’involò dopo ricevuto gli scudi tredici.»
C’è, infine, oltre la «la pubblica voce, e fama», la testimonianza di Antonia Verdelli «la quale commissionata si recò dalla famiglia Cayro a prendere scudi 15 pel riscatto del Mastrocicco summentovato, e seppe quindi dal medesimo dove e come era stato ricattato, e che al Brigante che lo prese erano stati dati solamente scudi tredici, ma che però gli aveva preso il Cappotto di panno torchino, che indossava.»
Conclusosi così il processo contro Giuseppe Zomparelli «imputato di Brigantaggio, e ricatto a danno di Pasquale Mastrocicco», gli atti vennero rimessi alla Procura Fiscale per la revisione, la quale, però, gli ritornò al «Governo di Ceprano.»
Era accaduto, infatti, che a seguito di una querela presentata da certo Marco Anella, si era venuto a conoscenza che nel mese di novembre 1865 lo stesso Anella insieme ad Antonio De Lellis ed Andrea Bruno era stato ricattato da una banda di briganti della quale, oltre a Domenico Conti, Francesco Chiari, Niccola Barone, Giuseppe Antonelli e Vincenzo Trani, avrebbe fatto parte anche Zomparelli. Costoro, tutti armati di doppiette, tranne Zomparelli che «portava l’archibugio ad un sol colpo», secondo la denuncia condussero gli ostaggi dapprima «nella montagna di Pastena, quindi in quella di Falvaterra, ed in ultimo in quella di Castro», da dove, dopo dieci giorni, essi vennero rimandati alle rispettive famiglie dietro «lo sborso» di scudi 241 oltre ad altri 36 scudi «ricevuti in seguito per averli con tale condizione data la libertà.»
Ma cosa dicono gli imputati?
Vincenzo Trani sostiene non solo di non aver mai posseduto arma alcuna ma anche di non aver fatto parte di «bande armate.» Del resto, egli è appena giunto nello Stato Pontificio in quanto «disertore delle Truppe Piemontesi» ed è attualmente «occupato al lavoro della campagna di Castro e Falvaterra insieme al Conti, ed Antonelli.» Non nega, però, la conoscenza di Nicola Barone, Francesco Chiari e Giuseppe Zomparelli per averli visti qualche volta in Falvaterra «in occasione che quivi recavasi ad ascoltare la Messa» ma assicura di non essersi associato con loro, di non averli mai visti armati e di non sapere se appartenevano o no a bande armate. Negò in ultimo la conoscenza di Marco Anella, Antonio De Lellis ed Andrea.
Domenico Conti, dal canto suo, nega decisamente tutti i fatti e le circostanze su cui viene escusso, ivi compresa la conoscenza di Barone, Chiari, e Zomparelli.
Giuseppe Antonelli conferma l’associazione con Conti e con Trani «ma pretese far credere di aver sempre badato a fatti loro occupandosi di lavoro, di non essere mai andato armato né appartenuto a bande armate.
Nicola Barone narrò che, «venuto nello Stato Pontificio qual refrattario di leva, cadesse malato, e stando in un capanno nel territorio di Castro, venisse arrestato per sospetto di brigantaggio, condotto nel carcere di Vallecorsa, e quindi in quello di Ceccano, [da] dove fuggì dopo dodici mesi di prigionia.» Non negò «di aver visto girare pel territorio di Castro delle persone armate senza conoscere se di Campagna, o regnicoli, ma sostenne di non avervi avuto mai che fare» e «sostenne di non aver veduto mai persone ricattate in mano de’ briganti, e di non sapere se dei medesimi si facevano ricatti.»
L’ultimo ad essere interrogato è Giuseppe Zomparelli.
Nel primo suo esame l’autore del sequestro Mastrocicco negò la conoscenza dei ricattati Marco Anella, Antonio De Lellis, ed Andrea Bruno; nel secondo esame, invece, disse di aver inteso da altri, cioè dai suoi paesani, che nel novembre 1865 i tre furono presi dai briganti ma «che poi venissero lasciati per non aver danaro»; nel terzo esame «e finali contestazioni pretese far credere di averglielo detto lo stesso ricattato Anella senza dirgli i nomi dei briganti.»
Zomparelli confermò la conoscenza di Trani, Conti, Antonelli, e Barone ma non quella del Chiari negando, però, che appartenessero a bande armate così come «il ricatto fatto coi medesimi dell’Anella , De Lellis, e Bruno.»
A fronte del bugiardo contegno degli inquisiti, negli atti processuali c’è, invece, non solo quanto basta ma altro ancora per ritenere, senza ombra di dubbio, Vincenzo Trani, Domenico Conti, Giuseppe Antonelli e Nicola Barone «responsabili di Brigantaggio», e quindi, insieme a Giuseppe Zomparelli, di ricatto in conventicola armata a danno di Marco Anella, Antonio De Lellis, ed Andrea Bruno.
Questo sequestro, infatti, trova conferma nella deposizione di Andrea Persiconi, Marco Chiari, Vincenzo Morrone, Filippo e Giovanni Ceccarelli, Bernardo Piccirilli e Luigi Germani.
C’era, poi, da mettere in conto, al di là della «pubblica voce e fama», tutto ciò che gli inquisiti hanno ammesso e negato nei loro esami unitamente al verbale della «forza» che accusa Trani, Conti e Antonelli di appartenere alla banda di Luigi Andreozzi e di essere autori di diversi delitti.
Poiché dalla querela sporta da Marco Anella emergeva che Giuseppe Zomparelli era colpevole anche di altri ricatti compiuti con i briganti Niccola Barone, Domenico Conti, Francesco Chiari, Giuseppe Antonelli e Vincenzo Trani, al momento tutti detenuti, era dunque opportuno che «si procedesse contro gli sunnominati a forma di legge rimettendo in pari tempo l’altro processo iniziato dalla Commissione Mista a titolo di Brigantaggio contro gli sudetti Conti, Trani, ed Antonelli per la riunione al Processo Zomparelli.»
Sulla cui conclusione, però, non si sa più di tanto.
© Costantino Jadecola, 2004.