LI CHIAMAVANO BRIGANTI / TARTAGLIA DA VICALVI, L’INVULNERABILE
Lo chiamavano Tartaglia e, probabilmente, è facile intuirne il perché. In realtà, il suo nome era Francesco Marocco ed era originario di Vicalvi. Secondo una consuetudine che il tempo avrebbe consacrato, ammesso che già non lo fosse, si era reso uccel di bosco dopo aver commesso un omicidio; a seguire, una carriera da brigante pare di tutto rispetto. Addirittura, quasi al limite della leggenda.
Date precise non se ne hanno; siamo, comunque, nel XVI secolo.
Secondo le fonti custodite presso l’Archivio di Stato di Roma, che sono poi i verbali del tribunale del governatore relativo al processo cui fu sottoposto Francesco Marocco, è possibile saperne qualcosa; anzi, praticamente tutto.
Era accaduto che a Tartaglia avessero ucciso un fratello: come e perché non si sa; che, però, la cosa gli bruciasse dentro, è facile intuirlo. Cosicché, il giorno che casualmente riuscì a scovare uno degli assassini, inevitabilmente non poteva reagire così come reagì.
Era, costui, certo “Tommaso Compagna che faceva il bifolco nel territorio di Monte Rotondo”. Quando Tartaglia lo rintracciò, “li fu adosso co Martino de Alvito bandito et lo buttarono in terra cioè lo fecero sedere ed gli fecero racontare per che causa aveva ammazzato suo fratello, quello disse che l’haveva fatto ad instantia d’alcuni di Vicalvi et li nominò, et che si erano accordati ed avevano messi dieci scudi per uno che l’avevano dati a loro che l’ammazzorno, et dopo fattolo confessare questo l’ammazzorno, ed al’hora Francesco se ne tornò in Regno et se accostò ad altri capi banditi”.
Tartaglia, dunque, torna a Vicalvi e “la mattina della festa del Corpo di Cristo”di “cinque o sei anni innanzi l’anno santo di Papa Gregorio”, presumibilmente il 1570, vendica a modo suo l’uccisione del fratello.
Ma leggiamo le “carte”: dopo essersi accordato “co quattordici altri banditi la mattina della festa del Corpo di Cristo entrò in Vicalvi mentre se diceva messa et entrorno in Chiesa cioè esso Francesco et m.ro Gio., et l’altri aspettorno fora, et tagliorno la fune delle campane et caporno (presero) quelli [che] volevano ed li legorno co quelle fune delle campane et li menorno fora ed lì fora della porta della Chiesa l’ammazzorno che furno dieci li morti, et tra l’altri ci fu un notaio co tre figlioli et così cominciò andare in campagna coi banditi”.
Quale fosse la chiesa teatro della tragedia non lo si dice; non si esclude, però, che possa essere stata quella di San Pietro, peraltro l’unica che compaia nell’altorilievo in stucco del salone di villa Gallia alla Pesca, poi villa Mazzenga, raffigurante la Vicalvi del tempo, stucco posteriore al tragico evento di una cinquantina d’anni appena.
Compiuta la strage, Tartaglia si trasferisce nello stato di Bracciano dove per alcuni anni avrebbe operato al servizio di alcuni nobili del luogo — e qui tornano alla memoria i bravi di don Rodrigo — quali Paolo Giordano Orsini, Marcello Accoramboni e Palazzo Mattei: che la sua dedizione alla causa fosse totale lo lascia intendere la taglia di 300 scudi che Papa Gregorio XIII pose sulla sua testa appunto per delitti compiuti fra Formello e Bracciano.
Insomma, era tempo di cambiare nuovamente aria ancora una volta. E migliore non doveva essercene di quella della Sicilia dove, confessa lo stesso Tartaglia, “se diceva che là era abondantia grande”.
Poi, però, aveva dovuto far ritorno sul “continente”, per recuperare alcuni beni che, per via di certi debiti non pagati, la “giustitia”gli aveva confiscato. Andò a stabilirsi dalle parti di Tor San Lorenzo e fu proprio qui che venne preso dagli sbirri. Era un giorno del 1607. Lo trovarono a lavorare in un campo, mezzo “morto di fame”, dopo che, nei giorni precedenti, era stato visto in giro per Roma “vivendo per l’amor di Dio accattando”.
A farlo catturare era stato certo Domenico Antonio Rotondo cui era giunto all’orecchio l’intenzione di Tartaglia di farlo fuori ma per quale motivo non si dice. Nel successivo processo ci sarà, infatti, uno dei testimoni che, dopo averlo paragonato ai più celebri briganti del Cinquecento, riferirà di uno scambio di battute avuto con lui : “Me dimandò se io conoscevo un certo Domenico Antonio Rotondo, et io gli dissi che il conoscevo(…) et lui allora disse io voglio fare cinque o sei compagni, et cacciarne un capriccio, et ritornare via, il che io sentendo gli dissi come era possibile che gli fusse bastato l’animo a fare tanto gran cose tenendo lui il capo nella fossa, et che haveria fatto meglio attendere al Anima, che attendere a si fatte cose, et lui rispose no guardare che sono vecchio per che ancora mi basta l’animo di fare qualche cosa (…) bel recatto se potria fare”.
Quando l’ormai anziano brigante di Vicalvi venne preso dagli sbirri, questi si trovarono davanti ad un corpo “tutto corvellato d’archibusciate per la vita”. Tartaglia, nel corso del processo, dirà lui stesso come se le era procurate: “questa poca parte dell’orecchia sinistra che me manca fu un archibusciata(…) et questa cicatrice sulla gola sono state pugnalate”. Il tutto era accaduto nel corso di un agguato a suo danno voluto, ma il perché lo si ignora, da uno dei suoi ex datori di lavoro, Marcello Accoramboni.
Quanto alle altre ferite, “queste archibusciate che ho nella mano et nelli fianchi”, racconta sempre Tartaglia, “mi fu tirato a Scorfano mentre tagliavo il grano et l’orzo che me fu tirata de dietro una fratta che io non viddi chi me tirasse, ma fu detto che era un certo Figura da Scorfano”il quale, pare, ce l’avesse con colui il quale ospitava il brigante.
Insomma, il corpo di Tartaglia era costellato da tante di quelle ferite che ci si meravigliava come mai egli avesse potuto sopravvivere ad esse ed arrivare ad una età comunque rispettabile: forse settanta anni, poco più, poco meno. Lui stesso, infatti, la ignorava; ricordava, invece, almeno tre giubilei. Ma forse appariva più vecchio di quanto non fosse se il garzone che arrestarono con lui a Tor San Lorenzo disse che era “vecchio di mille anni”.
Per molte, molte ferite in meno, fosse accaduto ad un altro, costui da tempo sarebbe tornato al Creatore. A Tartaglia, come dire, esse non fecero né caldo né freddo; piuttosto si cominciò a fantasticare su di lui ed a ritenerlo immune a qualsiasi attacco se si pensa che era stato addirittura capace di asportare “da se stesso un pugnale dalla gola”.
Quest’ultimo, sconcertante particolare venne riferito da un suo cugino, Arcangelo, lo stesso che, secondo un altro testimone, aveva chiamato Tartaglia in zona per via di “una sua inimicizia che aveva con certi di Giansano di casa Rotondi”. Questo stesso testimone ci tiene poi a precisare che Tartaglia “ne haveva fatte più che Marco di Sciarra, et haveva ammazzato dodici homini nella chiesa di Vicalvi sua patria, et a una terra detta Scrofano ci haveva ammazzato doi signori, et lui era venuto co dui compagni, et voleva fare la compagnia, et di casa Rotondi di Giansano no ci voleva lasciare manco li gatti, et il Guercio di Civita non ne aveva fatte tante quanto lui”.
Poté davvero tanto Francesco Marocco di Vicalvi detto Tartaglia? Se uno lo avesse visto durante il processo, anziano e malandato, addirittura con le lacrime agli occhi implorare la grazia dei giudici, probabilmente non ci avrebbe creduto. Ma ad inchiodarlo c’erano quelle testimonianze che non lasciavano scampo alla pietà che il vecchio poteva suscitare: “ne aveva fatte tante, che no ci era stato mai nessuno che ne aveva fatte più di lui, né Marco di Sciarpa, né Battistella né Pacchiarotto né altri banditi famosi”quale a quel tempo poteva essere anche Bartolomeo Vallante, detto Catena, che di Tartaglia era quasi conterraneo, perché nato a Monte San Giovanni Campano, e certamente contemporaneo.
La vita di Catena, però, diversamente da quella di Tartaglia, non andò oltre i trenta anni: si concluse, infatti, in una piazza di Roma l’11 gennaio 1581 dove venne prima impiccato e poi, secondo consuetudine, squartato. Ma perché? Perché in quei trent’anni di sua vita aveva ucciso ben 54 persone e quindi per dodici anni aveva vissuto da fuoruscito.
© Costantino Jadecola, 2002.
One Reply to “LI CHIAMAVANO BRIGANTI / TARTAGLIA DA VICALVI, L’INVULNERABILE”
Molto interessante il racconto della vita del brigante Tartaglia!