4 — Gli anni ’60 a Frosinone e provincia / RISORSE UMILIATE
Guerra all’«occhio di pavone». Ma anche alla «rogna», alla «mosca», alla «tignola»: queste ed altre ‘malattie’ provocano annualmente al patrimonio olivicolo ciociaro, costituito da circa 5 milioni di piante, danni tra i 500 milioni ed il miliardo di lire. Per questo motivo, l’Ispettorato Agrario ed il Consorzio Agrario decidono di intervenire essendo fortemente convinti che i mezzi offerti dalla scienza e dalla tecnica, possono debellare quei mali; intanto, Gerardo Gaibisso, segretario provinciale della Coltivatori Diretti, nel gremitissimo «Delle Vittorie» celebra «La giornata di propaganda per il ‘Piano Verde’»
Insomma, la primavera del 1960 sembra segnare una vera e propria riscossa per la sempre bistrattata agricoltura ciociara che, comunque, continua ad essere la fonte del maggior reddito prodotto in provincia, ma sulla quale insistono, come lo stesso Gaibisso denuncia in un articolo su Il Tempo (20 maggio), gravami fiscali che salgono più in fretta del reddito agricolo mentre le sovrimposte comunali e provinciali colpiscono le zone povere senza che, tuttavia, le campagne siano destinatarie di opere pubbliche.
L’Amministrazione provinciale, ad esempio, nell’esercizio in corso, «preleva» dai circa 50 mila coltivatori ciociari, diretti o meno, qualcosa come 330 milioni di lire di cui ben 253 a titolo di super contribuzioni sulla sovrimposta fondiaria sui terreni e sulla addizionale sui redditi agrari. In pratica, «gli agricoltori ciociari boccheggiano perché se da un lato vedono continuamente diminuire i prezzi dei loro prodotti, sono costretti, dall’altro, a constatare che stanno per essere strangolati dagli oneri fiscali».
Marcello Pennacchia (23 luglio) pone attenzione, conferendole consona pubblicità, ad «una serie di silenziose e preziose iniziative» quali sono quelle condotte dal Corpo Forestale dello Stato a beneficio dei pascoli che «in una regione prevalentemente montana (…) costituiscono il fondamentale piedistallo per il risanamento dell’economia che può trovare un incremento attraverso il razionale allevamento del bestiame»; Nino Cellupica, dal canto suo, suggerisce (22 novembre) il potenziamento dell’economia forestale affermando che la produzione di legname potrebbe aumentare — sono stati impiantati circa seimila ettari di nuovi boschi — a patto che il patrimonio boschivo venga maggiormente protetto.
Antonio Arcese, invece, denuncia (27 agosto) che nelle case coloniche mancano i più elementari servizi: «Certe case, con le loro fragili murature di canne e creta ci ricordano quelle dei primi uomini che abitarono la terra. All’interno, poi, non esistono camere suddivise a seconda degli usi ma la promiscuità di cose e di persone regna sovrana: con la conseguenza che la salute e la moralità delle famiglie sono seriamente compromesse».
È definito, invece, «antiumano e medioevale» il trattamento riservato agli operai dell’Ispettorato Forestale di Pontecorvo. Lo denuncia (30 agosto) un lettore, Vincenzo Caramadre, il quale scrive che ognuno di questi operai «nelle otto ore lavorative deve scavare 56 buche su una montagna aspra e brulla, continuamente esposta ai raggi brucianti del sole estivo. Chi al tramonto non ha portato a termine il lavoro, non ha scavato, cioè, le 56 buche — e non importa la ragione — viene automaticamente licenziato (…) Al sabato, poi, la paga non viene data sul posto ma in paese, obbligando così i malcapitati operai a percorrere circa venti chilometri in più per far ritorno a casa» (4, segue).
© Costantino Jadecola, 1990.