“PER BASTIANO RISCHIAI LA FAME”
Tra gli altri grossi nomi del cinema italiano che talvolta vantano ma molto più spesso celano la loro progenie ciociara, Nino Manfredi è l’unico a non nascondere tale sua discendenza. La cosa, anzi, lo inorgoglisce al punto che il suo sin qui più fortunato personaggio, quel Bastiano che dieci anni fa lo fece conoscere al grosso pubblico, altri non era che un bonaccione delle nostre parti tolto di peso dal suo gregge e messo dentro il piccolo schermo a dire cose che facevano ridere ma anche pensare.
Continuatore, forse senza saperlo, di una antica tradizione secondo cui nella Roma di un tempo «osce et volsce fabulabantur, nam latine nesciunt», cioè che i commedianti delle farse Atellane recitavano in osco e volsco, non conoscendo la lingua latina, Manfredi, «volsco» di Castro — che comunque l’italiano conosce — non finì vittima del «suo» Bastiano, cioè di quel personaggio specifico, come probabilmente ad altri meno accorti sarebbe accaduto, e cercò in altri sempre nuovi personaggi il consolidamento di quel successo cui Bastiano aveva felicemente aperta la strada. Ma con quanta fatica!
Ricorda: «Metta dieci anni fa, o giù di lì. Per un film che si chiamava ‘Fusse che fusse la volta bbona’ m’hanno offerta una cifra che non prendo in questo film (‘Per grazia ricevuta’, nda) come attore, regista e sceneggiatore. E nun c’avevo una lira. Sono venuti a casa con l’assegno. Credevano fosse una tattica mia per aumentare la cifra.
«-Senta, sappiamo che lei è una persona ragionevole…
«Guardate che io scrivo un miliardo. Se mi date un miliardo, vabbè, allora rinuncio e poi cerco di fare delle cose per conto mio… So’ andati via guardandomi come un matto!
«Come un matto. Ma sarebbe stata la rovina totale. Pensi se ci fossi cascato. Se me fossi fatto frega dal ciociaro. Se nun capivo che era un danno terribile. Che me se sarebbe appiccicato addosso… Io l’ho capito, non gli altri. Gli altri me prendevano per matto. Ché continuavano a propormi roba come ‘Nino ciociaro sopraffino’, ‘Ninetto ciociaro col carretto’, ‘Ninuccio ciociaro sopra er ciuccio’, e io a dire no, no, no… E ancora nun c’avevo una lira…».
Storia di ieri, questa, che Manfredi ricorda con orgoglio per arrivare a dire che lui s’è fatto da solo, dosandosi: «…me so’ sempre amministrato da solo e quello che ho fa fa parte di una fatica ventennale…»
Si è dosato, ha messo Bastiano in soffitta ed ora eccolo qui dietro la macchina da presa a raccontare una storia tutta sua, una storia dei giorni nostri, per non dire una storia di sempre.
‘Per grazia ricevuta’ è il titolo del suo film. Che poi è e non è il suo primo film da regista.
Otto anni fa, infatti, debuttò nella regìa per «tigna», con ‘L’avventura di un soldato’, parte di un film ad episodi: «Tutti sostenevano — dice Manfredi – che il testo di Italo Calvino, da me scelto, fosse di quanto meno cinematografico si potesse pensare». Si svolgeva in uno scompartimento ferroviario di terza classe, non aveva dialogo e narrava un incontro momentaneo tra un soldatino timido ed una vedova enigmatica. Per Manfredi fu una lotta convincere il produttore ma alla fine fu un successo di critica e di pubblico.
Tuttavia quella era una fetta di film, non un film. Un film è un’ora e mezzo di proiezione. «Nell’ambiente si disse — racconta Manfredi — che non avevo il coraggio di tenere agganciato il pubblico per tanto tempo. Invece non era il coraggio che mi mancava, mi mancava la voglia di dirigere un film qualunque.»
Ora la voglia è arrivata: ‘Per grazia ricevuta’. Un tema importante, quello di una crisi religiosa, della ricerca di Dio.
«Dicono: un comico che si mette a fare un film sulla ricerca di Dio. Ma perché nun avete mai capito niente di me, dico io. Io sono un tragico. Io sono uno che piange per niente…».
Un debutto con tutte le regole, dunque, quello di Manfredi come regista. E come dieci anni fa, anche stavolta, per questo nuovo debutto Manfredi non ha lasciato da parte la sua terra. Nel senso che il film è venuto a girarlo l’estate scorsa qui in provincia, a Fontana Liri Superiore, dove la storia stessa ha, in fondo, se non un risvolto autobiografico almeno un ricordo dell’infanzia di un fatto che accadde a Castro e che, come sempre accade un po’ in tutti i nostri paesi, ebbe l’etichetta dell’evento miracoloso.
«La storia di un ignorante che ha avuto un miracolo, da bambino. Cioè è cascato da venti metri e nun s’è fatto niente e questo miracolo condiziona la sua vita al punto che, alla fine, si ributta lui per incontrarsi con il Padreterno».
La storia, raccontata da Manfredi in quattro parole, è questa. E ce lo ritroviamo dentro, nei panni del protagonista: Benedetto Parisi. Un ciociaro. Verrebbe da chiedersi se non è il Bastiano di dieci anni fa, redivivo, con una problematica tutta nuova, al passo coi giorni nostri.
© Costantino Jadecola, 1971