IN VOLO A MONTECASSINO
Era il 10 settembre 1943. Lo stesso giorno in cui Cassino per la prima volta veniva presa di mira dagli aerei alleati, «la spavalda imprudenza di un aviatore tedesco, che aveva ripetutamente desiderato far mostra della sua valentia col passare nello spazio attraverso le funi metalliche, inutilizzava la funivia congiungente a Cassino il monastero»: così Don Tommaso Leccisotti ricorda nel suo “Montecassino” la fine di quella che era stata la prima funivia dell’Italia meridionale e che, proprio per ciò, quando era stata inaugurata, poco più di tredici anni prima, aveva goduto di altolocate presenze e consone attenzioni.
Riferiscono, infatti, le cronache del tempo che quel mercoledì 21 maggio 1930, VIII anno dell’Era Fascista, per l’inaugurazione della funivia fu festa grande.
Doveva esserci addirittura il ministro delle Comunicazioni Costanzo Ciano. Andò, invece, a rappresentarlo il «Grande Ufficiale Dott. Antonio Crispo, Direttore Generale delle Ferrovie dello Stato». C’erano, poi, «S.E. l’Ammiraglio Nicastro Capo del Compartimento Marittimo, S. E. il Prefetto della Provincia Cav. di Gran Croce Giuseppe Spano, S. E. Reverendissimo Monsignor Gregorio Diamare Arciabate di Montecassino, il Segretario Federale Fascista Marchese Berardi, il Preside della Provincia Gr. Uff. Bergamaschi, il Provveditore alle Opere Pubbliche della Campania Gr. Uff. Ing. Manfredonia». E, inoltre, «il benemerito Consiglio di Amministrazione dela Società Funicolari e Funivie Meridionali costituito dagli egregi Sig. Comm. Avv. L. de Conciliis, Presidente, Ing. Conte G. de’ Rossi, Amministratore Delegato; Comm. Ernesto Lancellotti e Prof. Ing. Fimiani, Consiglieri, e Prof. Ing. Comm. Pericle Ferretti, Direttore Tecnico».
Benedire l’impianto fu compito di don Gregorio Diamare; appena dopo seguono i discorsi di circostanza.
Il cav. Crispo, ispettore generale di «ferrovie, tranvie, automobili», nel porgere il saluto del governo e del ministro Ciano, afferma «di essere lieto ed orgoglioso di assistere» alla cerimonia «non di posa di prima pietra, ma di inizio di nuove attività industriali in virtù di opera genialmente concepita e celermente compiuta — il che è caratteristica del Regime — per due motivi: primo, perché l’opera che noi oggi ammiriamo dimostra e conferma ancora una volta — se pur ve ne fosse bisogno — come il governo di Benito Mussolini sia non già regionalistico o di politica localizzante, ma Governo veramente intimamente nazionale che cura, con eguale amore, le regioni tutte d’Italia (…). Secondo, perché io, che per affetto a queste regioni, alle quali ho dato tutto il mio entusiasmo di fede e di lavoro allorché ebbi l’onore di istituire, assieme all’Ing. Cuomo, il Provveditorato alle Opere Pubbliche per la Campania, sento quasi il diritto di dirmi vostro compaesano, vedo oggi compiuta quell’opera arditissima che ho patrocinato, sorretto nei momenti difficili e aiutato come mi era consentito dalle mie funzioni.
«Né vi sembri vuota affermazione di vano orgoglio quanto ora io vi dico», prosegue Crispo, «ma piuttosto di letizia di animo per il bene che ho potuto compiere a favore di questi luoghi che tanto meritano di essere amati.
«Eccellenze, Signore, Signori. Lo stile fascista non consente vanità di oratoria o perditempo di enfatici rettorismi e da altro canto la mia qualità di tecnico mi ha sempre tenuto lontano dalle fluide armonie delle parole alate.
«Perciò non voglio tardare oltre nel compiere il rito della prima corsa verso le cime sacre del più sacro fra i nostri monti. A nome del Governo Nazionale, dichiaro aperta al pubblico esercizio la Funivia Cassino — Montecassino».
Il grande ufficiale Vincenzo Ferrero, che dal 1928 era commissario prefettizio del comune di Cassino, dopo aver ringraziato e citato una per una tutte le autorità intervenute, afferma, tra l’altro, che quella cerimonia «vuole in special modo essere la valorizzazione di un’opera grandiosa, superiore ai bisogni locali, ma di generale ripercussione nel campo della industria dei trasporti, e che perciò entra in primo piano del novero infinito di quegli esempi di operosità e di temeraria intraprendenza che caratterizzano il dinamismo del regime Fascista, dimostrando come e con quanta efficacia e praticità di applicazione questo felice risveglio di energie si estenda, sotto la guida incitatrice del Duce nostro, alle plaghe di Italia più obliate finora (…). A questi sentimenti si è inspirata la Società Funicolari e Funivie Meridionali, cui va oggi il nostro plauso incondizionato ed in particolare al suo Direttore Tecnico Prof. Pericle Ferretti che la rischiosa impresa ideò ed il progetto di sua esecuzione seppe e volle portare in porto tra tante difficoltà».
L’ing. Granturco, segretario del sindacato provinciale dell’ordine professionale, portavoce del «plauso degli ingegneri napoletani fieri dell’opera del loro collega Pericle Ferretti», e il comm. De Conciliis, il quale pone in risalto che quella di Cassino, il cui progetto costituiva un esempio dell’importante contributo dato al progresso dall’ingegneria meccanica, era la prima di una serie di funivie che si intendeva costruire da parte della società da lui presieduta, concludono la serie degli interventi cui fa seguito, appena dopo, la cerimonia del battesimo.
«Tra la commozione dei presenti, la Madrina (la signora Cloe Ferretti, mamma dell’ingegnere Pericle Ferretti, progettista e costruttore, ndr) tagliò il nastro tricolore che ormeggiava la vetturetta alla stazione di partenza e la vetturetta, nella quale avevano preso posto le Autorità, iniziava, tra uno sventolio di bandiere, le gioiose note di “Giovinezza” e gli applausi della folla che nereggiava intorno, il mirabile volo verso la millenaria Abbazia di Montecassino».
Un «volo» tra i sei e gli otto minuti per percorrere i 1.511 metri di distanza e superare i 428 di dislivello tra la piazza antistante la stazione ferroviaria di Cassino e le immediate adiacenze del portone di accesso al monastero, allora collegato alla pianura da un’antesignana dell’attuale strada la cui costruzione, iniziata nell’aprile 1865 per interessamento del ministro dei Lavori Pubblici del tempo, Silvio Spaventa, venne ultimata ventidue anni più tardi (8 marzo 1887).
Ma torniamo a quel 21 maggio con la cronaca riservata all’evento dal quotidiano “Roma” un paio di giorni dopo: «Qualche minuto prima di mezzogiorno, tra le più vive acclamazioni delle maestranze e di una gran folla di turisti accorsi, mentre la musica intonava le prime battute di ‘Giovinezza’ il vagoncino si è allontanato dalla stazione inferiore raggiungendo in breve quella superiore lungo l’ardita salita. La folla numerosissima assiepata sulle banchine adiacenti della stazione, per le strade, e arrampicata anche sui tetti delle abitazioni circostanti sventolando bandiere e gagliardetti ed inneggiando al Duce. La vettura della funivia raggiungeva in sei minuti la stazione dell’Abbazia dove i benedettini attendevano gli ospiti. Al Comune ha avuto luogo poi un ricevimento». Tutto qui.
Quanto al viaggio, esso è stato, secondo ciò che riferisce un testimone di quello inaugurale, un «volo» compiuto «senza aver nemmeno data l’assoluta immobilità e la perfetta orizzontalità della vetturetta e la mancanza, luogo la via, di punti prossimi di riferimento, la sensazione del percorso«; il passeggero «vede bensì, gradatamente, allargarsi e allontanarsi l’ubertosa pianura su cui si svolge lo ardito rettilineo della fune portante, fin che giunge all’appoggio intermedio di Montevenere che si eleva agile e saldamente impostato nella roccia del contrafforte; e, superato l’appoggio, gli si presenta dinanzi, come d’incanto, la mole massiccia della Badia, alla quale la vetturetta si accosta rapidamente, superando una valletta fiorita, e, da ultimo, una zona in cui si infittiscono le chiome frondose degli alberi secolari che fanno corona alla vetta».
A sperimentare l’ebbrezza del volo, qualche giorno prima, «quando il grande lavoro delle maestranze è terminato ed inizia quello della rifinitura», era stato Arturo Rocchi il quale ne avrebbe poi riferito in un articolo pubblicato dal quotidiano napoletano “Roma” (17 maggio 1930).
Scrive Rocchi: «…Il sole limpido di Monna Primavera, con profusione di iridescenze varie rifrangentisi nell’azzurro infinito, batte in pieno ed illumina la mole dell’Abbazia.
«Tutto intorno per il monte le ginestre in fiore e gli ulivi sono di sfondo ai due grandi cavi di acciaio della funivia, tesi, su cui scorrono le vetture dei passeggeri.
«Dall’altro lato le case bianche della città addossate alla costa del monte sacro sembrano prosecuzione delle mura cintate della Rocca Ianula.
«Questa l’impressione panoramica che il turista può avere attraverso le ampie vetrate della sala d’aspetto e dal trampolino d’imbarco della stazione di partenza della funivia, sita presso lo scalo ferroviario di Cassino, in attesa della vetturetta che lo conduca su alla casa benedettina con il rapidissimo mezzo creato dall’Ing. Pericle Ferretti».
Poi, il racconto del viaggio: «Le comodissime poltrone di vimini (…) stimolano il turista ad osservare tutto ciò che dalla natura promana un fascino irresistibile (…).
«Passiamo sulle ultime case della città, poi sulle acque del fiume Gari mentre dall’altro lato si possono ammirare i ruderi dell’Anfiteatro romano ed i resti della villa di Marco Terenzio Varrone, ancora più su fin dalla cinta muraria della Roca Janula costruita dall’Abate Aligerno a difesa di Montecassino si snodano i giorni della strada carrozzabile, quasi impressionanti e tortuosi.
«Respiriamo a pieni polmoni quassù, dinanzi a questa rapida e cinematografica visione delle vicende millenarie della natura e degli uomini, alle false deità pagane infrante, alla sorta Abbazia più volte abbattuta, al Santo di Norcia e alla sua ‘Regula’, a coloro, Papi e Imperatori, che ascesero al monte sacro…».
Ma torniamo alla funivia per uno sguardo all’aspetto tecnico. L’impianto era costituito da due «linee» tra loro parallele costituite dalla medesima fune elicoidale di trazione «avvolta» in una puleggia azionata da un motore elettrico alimentato da corrente trifase a 220 volt (36 HP/920 giri al minuto) ubicato nella stazione superiore; in quella inferiore era invece sistemato l’impianto di tensione delle funi.
Due anche le campate: la prima, tra Cassino ed il sostegno in località monte Venere, di 1.230 metri ed una pendenza del 31 per cento; la seconda, tra monte Venere e l’abbazia, di 281 metri ed una pendenza del 23,1 per cento. Le «vetture» viaggiavano a 3,6 metri al secondo ed a 28 metri di distanza per evitare che nelle giornate di vento, incrociandosi, potessero entrare in collisione; dei 10 passeggeri che, oltre al «fattorino», esse erano in grado di trasportare ogni corsa, se quattro viaggiavano «comodamente seduti» su altrettante poltroncine di vimini, gli altri sei, tuttavia, non dovevano passarsela poi molto male essendo le «vetturette», la cui struttura in duralluminio era ispirata ai sistemi costruttivi delle cabine degli aeroplani delle linee civili, «complete di ogni comfort come le carrozzerie di automobile».
Non meno confortevoli e comunque caratterizzate da una «sobria eleganza» le stazioni poste su entrambi i terminali dell’impianto. Se il piano superiore era riservato ai macchinari e dunque, agli apparati motori e di tensione, il pianterreno, riferiscono le cronache, «è interamente destinato ai viaggiatori ed è costituito nell’una e nell’altra da una ampia sala affacciante sulla terrazza d’imbarco, e con le pareti quasi interamente costituite da ampie vetrate, cosicché ai turisti si offre già nella stazione inferiore una imponente visione d’insieme della vetta e della Badia Cassinese, nella stazione superiore la possibilità di abbracciare con lo sguardo una vastissima zona dell’agro campano».
L’idea di realizzare un collegamento del genere tra Cassino e Montecassino risaliva al 1885 quando l’allora sindaco Pasquale Grosso inviò al ministero dei Lavori Pubblici il progetto per la costruzione di una «funivia funicolare». Sottoposta all’esame del Consiglio superiore di quel ministero (20 febbraio 1886) la documentazione non offriva, però, «necessari elementi per darne in linea tecnica alcun giudizio» anche se poteva ritenersi «come la disposizione di un concetto cui potrebbe formarsi un successivo studio».
Si ignora se questo tentativo ebbe poi un seguito più o meno immediato; sta di fatto che l’idea riemerse nel 1928, probabilmente in previsione del XIV Centenario della fondazione dell’abbazia (1929), occasione per la quale si pensava di poter completare l’impianto. Ma essendo sopravvenute difficoltà nella costituzione della società che avrebbe poi dovuta realizzare la funivia, l’inizio dei lavori slittò al gennaio del ’29.
Tuttavia essi vennero condotti con particolare impegno perché «l’opera avesse il suo compimento al più presto e in modo da riuscire tecnicamente perfetta». E così pare che andarono le cose grazie anche all’impegno delle ditte «alle quali furono affidate singoli parti dell’impianto; e, tra esse, specialmente le Trafilerie Italiane di Milano che ebbero la fornitura delle funi, le Officine Meccaniche Pomini di Castellana per i riduttori ed ingranaggi e le Officine Ferroviarie Meridionali di Napoli per le vetturette in duralluminio».
Peccato solo che il destino avesse segnato per questa funivia una vita piuttosto breve: infatti, se non fosse stato l’esibizionismo del pilota tedesco a farla fuori, difficilmente si sarebbe salvata da quell’inferno di ferro e di fuoco che avrebbe martoriato il territorio nei mesi immediatamente successivi.
Resta da dire, per riprendere ciò che nella circostanza dell’inaugurazione venne scritto, che «la funivia di Montecassino è un’opera ardita di altissimo significato morale, voluta dal regime ed eseguita con rapidità fascistica».
© Costantino Jadecola, 1991.