A PROPOSITO DI MAGNO CIREFICE.

A PROPOSITO DI MAGNO CIREFICE.

Più o meno una venti­na di anni or sono, mi furono donati da un gen­eroso conoscente un paio di mano­scrit­ti, in tut­to una deci­na di fogli del tipo “uso pro­to­col­lo”, nat­u­ral­mente ingial­li­ti dal  tem­po e ver­gati in buona grafia, uno dal tito­lo «Il ‘Cer­vone’. Ser­pen­ti gigan­teschi nel­la Valle di Comi­no» e l’altro, invece, «Ricor­di del brig­an­tag­gio nel­la Valle di Comino».

Di entram­bi era autore cer­to Mag­no Cirefice, com’era anno­ta­to a mar­gine del pri­mo dei due mano­scrit­ti, del quale non si sape­va più di tan­to, al di là del fat­to che si trat­ta­va di un cog­nome rad­i­ca­to in quel di Casalat­ti­co. Cos­ic­ché, gra­zie anche alla disponi­bil­ità del Sin­da­co del tem­po di quel Comune, il sig. Bruno Matas­sa, e di un suo fun­zionario, la sig­no­ra Sil­vana Mez­za, fui nel­la con­dizione di sapere qual­cosa in più su di lui che era sta­to reg­is­tra­to all’anagrafe locale come Michelan­ge­lo Mag­no Cirefice nato il 22 mar­zo 1872.

Sac­er­dote dell’Istituto dei Sig­nori del­la Mis­sione, Lau­re­ato in Let­tere e filosofia, inseg­nò per alcu­ni anni  nelle scuole pub­bliche e all’Istituto Nau­ti­co di Savona e, «nel 1925, sot­to altro nome, pub­blicò opere di indole lin­guis­ti­ca e filo­log­i­ca (tre gram­matiche: Lati­na, Ital­iana e Francese), improntate a grande orig­i­nal­ità di vedute con stile nuo­vo e vivace» (Willy Poci­no, I Cio­cia­ri. Dizionario biografi­co. Roma. 1961, p. 134).

Ma l’opera sua più grande, per la quale ancor oggi viene ricorda­to con grande affet­to dal­la gente del suo paese, fu sicu­ra­mente quel­la di far costru­ire a Casalat­ti­co (1927) «un son­tu­oso edi­fi­cio sco­las­ti­co» ove riunì l’asilo  infan­tile e le scuole ele­men­tari «affi­dan­done la direzione alle ben­e­merite Suore di Verona, dette Cam­postrine, insigni edu­ca­tri­ci del popo­lo».Si trat­ta dell’edificio che oggi ospi­ta il Comune e nel cui atrio una grande foto del bene­fat­tore ed una tar­ga tes­ti­mo­ni­ano la gen­erosa inizia­ti­va del sac­er­dote a ben­efi­cio del­la comunità.Don Mag­no Cirefice morì il 5 gen­naio 1959. Forse, a Savona (c.j.).

Ser­pen­ti mostru­osi a Casalattico

di Mag­no Cirefice

Anni addi­etro tuti i gior­nali del­la Lig­uria fecero gran chi­as­so per­ché un pit­tore ave­va vis­to pas­sare un ser­pente sfor­ma­to sulle rovine di un castel­lo ed i sig­nori del­la crit­i­ca lo fecero pas­sare per allu­ci­na­to: como­do spe­di­ente per negare tuto ciò che è raro e si invola alle osser­vazioni gior­naliere. Ebbene, nel­la valle di Comi­no, e pre­cisa­mente nel comune di Casalat­ti­co esiste una raz­za di ser­pen­ti gigan­teschi, det­ti in dialet­to “ser­pen­ti cer­voni” i quali pare si fac­ciano vedere ad inter­val­li lunghissi­mi, di decine di anni, ma esistono sen­za dub­bio e ne ho potu­to rac­cogliere prove invin­ci­bili. E’ vivo anco­ra l’assessore anziano Ger­ar­do Cafol­la ed è viva la moglie Fausti­na e tut­ti e due ricor­dano benis­si­mo che nei pri­mi anni del loro mat­ri­mo­nio due cit­ta­di­ni trovarono intor­pid­i­to un ser­pente la cui grossez­za ave­va qua­si 40 cm di diametro e cre­den­do­lo mor­to, la “attra­ver­sarono” ad un palo e lo por­ta­vano per curiosità nel paese quan­do,  giun­ti vici­no ad esso, mio non­no Sal­va­tore Cirefice, diè loro sul­la voce e comandò che lo allon­tanassero. Al vocio si fece alla fines­tra la sig­no­ra Fausti­na e, vis­to il ser­pente mostru­oso, ne ebbe tale spaven­to che abortì sull’atto.

Il ser­pente cre­du­to mor­to fu sep­pel­li­to ai pie­di di un fico e tem­po dopo questo alberò sec­cò. Lo stes­so Ger­ar­do Colel­la rac­con­ta come una vol­ta un cer­to Beppe Ruos­so (Grosso) si van­tò di aver ucciso un ser­pente grossis­si­mo ma nes­suno gli diede ret­ta e si pen­sò che fos­se una delle bisce comu­ni un poco più lun­ga e più grossa.

Qualche tem­po dopo il det­to Ger­ar­do capitò in com­pag­nia di un altro nel pun­to indi­ca­to dal Ruos­so e videro sopra una petra­ia lo scheletro di un ani­male tan­to grosso che lo giu­di­carono un capret­to mor­to lì ed abban­do­na­to; sen­nonché, osser­van­do meglio si accorsero che era un ser­pente che, a giudizio del det­to Ger­ar­do, era anche più mas­s­ic­cio e più lun­go di quel­lo che ave­va fat­to abor­tire la moglie. Uno scheletro sim­i­le dice di aver­lo trova­to il mes­so comu­nale, Giambat­tista Cren­ga, il quale rac­con­ta di aver­lo vis­to nel­la con­tra­da Chi­av­i­ca, dove con una schiop­pet­ta­ta lo ave­va ucciso  un cam­pag­no­lo di Plauto.

È anco­ra vivo Domeni­co Maglioc­ca (per sopran­nome Min­go Gesu­al­da), solda­to del­la Indipen­den­za, reduce di Vil­lafran­ca e del­la pre­sa di Roma, il quale sta di casa nel borghet­to chiam­a­to Colles­ic­co, vici­no ad un tor­rentel­lo guarda­to sem­pre con sospet­to e con un cer­to cupo ter­rore dai ter­raz­zani a causa delle apparizioni di un ser­pente grossis­si­mo e cor­to. Domeni­co rac­con­ta che una vol­ta sen­tirono gri­da dis­per­ate di una loro sorel­la, ed accorsero tut­ti anziosi di vedere che fos­se. Trovarono la sorel­la alli­bi­ta dal­la vista di un ser­pen­tone che già si era imbu­ca­to ma ave­va las­ci­a­ta la trac­cia sulle piante di patate che si vede­vano perse come se vi fos­se pas­sato una trave trascinata.

Un’altra vol­ta, di notte, sen­tì le pecore sban­dar­si e belare spaven­tate, e nel­lo stes­so tem­po sen­tì il frus­cio di un ser­pente che pas­sa­va. Una terza vol­ta fu vedu­to da Benedet­ta Fus­co. Una quar­ta vol­ta da Bernardi­no Fus­cia­r­di-Mac­cioc­chi, ora mor­to, che era accom­pa­g­na­to da Adeli­na Cafol­la anco­ra viva e giovane. 

Molte altre apparizioni di sim­ili mostri si dan­no avvenute qua e là per il ter­ri­to­rio di Casalat­ti­co, ma quelle nar­rate sopra sono gen­uine e vagli­ate da me con la mas­si­ma diligenza.

Molti fat­ti del­la sto­ria nat­u­rale, del­la med­i­c­i­na, del­la sto­ria civile sono igno­rati dai lib­ri ma con­ser­vati dal­la tradizione viva dei popoli, dal­la quale attinse sem­pre la sto­ria sen­za rius­cire a rac­cogliere tutto.

Raf­fi­nate vendette pri­vate fra Casalvieri e Casalattico

di Mag­no Cirefice

Il brig­an­tag­gio che imper­ver­sa­va nel Lazio, git­tò un ger­moglio rigoglioso nei pae­si di con­fine mon­tu­oso onde diven­nero (…) covi di scherani spe­cial­mente due pae­sel­li, Casalvieri e Casalat­ti­co, posti su due con­traf­for­ti del monte Silara. 

Nel­l’ul­ti­mo di questi pae­si ho fat­to ricerche inutili per doc­u­men­ti scrit­ti, ma preziose per tradizioni vive rac­colte dal­la boc­ca di tes­ti­moni di vedu­ta e spe­cial­mente di due veg­liar­di che ricor­dano il ’48 (1848), e di cui uno fu solda­to del­la indipen­den­za a Vil­lan­uo­va ed alla pre­sa di Roma del­la quale egli ricor­da fat­ti impor­tan­ti, forse sfug­gi­ti agli stori­ci, come questo: i papali­ni che ave­vano alza­to bandiera bian­ca, quan­do ebbero a tiro i sol­dati ital­iani fecero una scar­i­ca vio­len­tis­si­ma sul­la squadra in cui era det­to solda­to, Domeni­co Maglioc­ca, per sopran­nome Min­go Gesualdo. 

Premet­to che la gente di questo paese è tutt’altro che san­guinar­ia, anzi pec­ca piut­tosto di flem­ma e di timidez­za, sebbene sia pronta di cervel­lo e desiderosa d’in­civil­i­men­to; ma le nature focose e robustis­sime che spun­tano qui come altrove e for­mano il drap­pel­lo degli ardi­ti, non trovarono chi incanalasse tan­ta inutile vigo­ria e si sfog­a­rono a loro vol­ta nelle imp­rese più arrischi­ate, non trat­tenute mai da nes­suno ordi­na­men­to di polizia, incor­ag­giate dal facile rifu­gio, a pochi pas­si, nel­lo Sta­to Romano. 

La man­can­za di sicurez­za pub­bli­ca era tale che fu pos­si­bile questo delit­to: il par­ro­co del paese (dico il par­ro­co e tac­erò il nome), astian­do a morte un par­roc­chi­ano, fece nascon­dere in casa sua uno sgher­ro e quan­do l’o­di­a­to par­roc­chi­ano entrò a por­tar­gli i pesci, ricevette una pis­to­let­ta­ta alle spalle, e, chieden­do sup­plichev­ole i Sacra­men­ti, fu fat­to scannare per ordine del par­ro­co, sen­za che per questo la gius­tizia torcesse un capel­lo a nessuno!

Questo era il gov­er­no dei Bor­boni nel 1821, il gov­er­no pater­no che qualche isteri­co vor­rebbe difend­ere ad ogni costo!

Altro fat­to che pro­va la mis­e­ria incred­i­bile di quel gov­er­no è questo: una don­na che asti­a­va un cit­tadi­no di Casalat­ti­co, invitò alcu­ni scherani a far­lo sparire, ed un giorno di domeni­ca, pas­san­do avan­ti ad una casa dove ave­va mes­so in aggua­to i brig­an­ti, diede il seg­no con­ven­zionale: «è sonato il cam­pan­el­lo del­la mes­sa!». Gli scherani capirono che l’uo­mo cer­ca­to da essi era entra­to in chiesa, ed andarono per assalir­lo. Questi, accor­tosi dell’insidia, salì sul cam­panile per fug­gire sui tet­ti ma i brig­an­ti lo videro e dal­la piaz­za gli tirarono e lo uccis­ero sul tet­to facen­done poi scem­pio nel­la piaz­za stes­sa, dove lo decap­i­tarono già mor­to, sen­za che nes­sun proces­so, nes­suna indagine fos­se fat­ta dal­la gius­tizia del gov­er­no pater­no! La memo­ria di questo fat­to è anco­ra viva nel­la tradizione popo­lare, e deve essere avvenu­to poco dopo il 1821 per­ché io, da fan­ci­ul­lo, lo sen­ti­vo rac­con­tare da un tes­ti­mo­nio di vedu­ta, chiam­a­to per sopran­nome Domeni­can­to­nio Fraccanale.

Nes­suna mer­av­iglia che qua e là per questi mon­ti si incon­tri­no cro­ci tes­ti­moni di omi­ci­di e di sol­dati mor­ti dopo il 1860 negli scon­tri di brig­an­ti. Nar­rerò solo per sag­gio qual­cuno dei fat­ti raccolti.

Il popo­lo ram­men­ta con orrore tre uomi­ni uccisi tut­ti e tre ver­so il 1849 in tre pun­ti che fan­no come i ver­ti­ci di un tri­an­go­lo. Due di essi era­no tan­to spaval­di che se la pren­de­vano persi­no con i ven­ti; e una notte, entrati nel­la chiesa di San Roc­co, ne tirarono fuori la stat­ua del San­to e la andarono ad appol­la­iare fra i rami più alti di un fico in atto di cogliere i frut­ti e di tirare a sé le vermene. Ma, a det­ta del popo­lo, pagarono caro il sac­ri­le­gio e le decine e decine di omicidi. 

Uno di essi (Ansel­mo), il più feroce di tut­ti, non per vaghez­za (ingordi­gia) di ruberie, ma solo per gus­to di sangue e di ter­rore, odian­do a morte un sig­nore poco onesto (D. Bar­to­lo Nota padre di D. Lui­gi), ed essendone geloso, dopo aver­gli tira­to invano una schiop­pet­ta­ta, vol­e­va che gli ami­ci lo obbe­dis­sero per levare di mez­zo det­to sig­nore. Ma gli ami­ci non lo vollero sec­on­dare, anzi mis­ero in sul­l’avvi­so il sig­nore, il quale si fece allo­ra cus­todire da guardie di sua fidu­cia, sic­ché il nemi­co dovette pen­sare pri­ma a lib­er­ar­si di queste guardie e degli ami­ci infedeli. Infat­ti, uno di essi, det­to Ste­fano, un giorno fu invi­ta­to ad un pran­zo all’aper­to in un cam­po delle vic­i­nanze di S. Andrea (“alla jun­tu­ra”) e lì, durante il pran­zo, ucciso a tradi­men­to (Chi portò il cane­stro fu Pep­pa di Cil­lo, amante di Ansel­mo; lo pianse, dopo mor­to, nel­la casa Battaglione; Ste­fano, fer­i­to, sparò anche lui e ferì Car­lo Taddei).

 Poco tem­po dopo, uno di quel­li che guar­da­vano il sig­nore (Michele Cer­celli­no o Pen­naro) fu manda­to da un medico,  cioè Vito Paoli­no (che non volle man­dar­ci nes­sun altro fuorché lui e si scop­erse cosi com­plice del delit­to), a pren­dere med­i­cine a Casalvieri; e, giun­to a mez­za stra­da, da una casci­na diroc­ca­ta det­ta la Pal­mara, par­tirono colpi di schiop­po che lo ste­sero mor­to a ter­ra (furono tirati da tre, vesti­ti da don­na, uno fu G. B. D’Agata, che fu proces­sato ma non fu fucila­to) Vista la mala para­ta, il sig­nore, dopo aver ten­ta­to di uccidere Ansel­mo facen­do­lo appostare dap­per­tut­to, ma sen­za rius­cire, per­ché uno degli armati di D. Bar­to­lo, cioè G. B Cafol­la avverti­va Ansel­mo, fug­gì dal paese e pen­sò alla vendet­ta, per­ché qualche tem­po dopo, il ter­ri­bile uomo che attra­ver­so questi omi­ci­di mira­va a lui, fu invi­ta­to da ami­ci ad un paese vici­no, e giun­to al luo­go det­to Fos­satel­lo, uno che lo accom­pa­g­na­va si fer­mò col pretesto di levar­si una pietruz­za dalle scarpe, e lui avan­zatosi di pochi pas­si, fu colto in pieno dai colpi di schiop­po tirati da brig­an­ti appo­sta­ti lì vici­no (I tre che lo uccis­ero era­no: Pao­lo di Tesa, di Colle San Mag­no, det­to Cic­co Mutan­da, ami­co di D. Bar­to­lo; uno det­to Pagli­ac­cio; un ter­zo che andò a chia­mare Ansel­mo in nome di un suo ami­co affinché andasse al Chi­an­ni­to; Ansel­mo prese seco vino e pane, facen­dose­lo dare dai Lieghio).

 Il figlio di Ste­fano ed il figlio di Michele Cer­celli­no risep­pero che alla ucci­sione dei loro padri ave­va tenu­to mano un cer­to Mat­tia e il medico che mandò il cus­tode a Casalvieri, onde giu­rarono di ren­dere loro la pariglia alla pri­ma occa­sione; ma il reo, o si avver­tisse del­la tra­ma, o fos­se pre­so dal­la pau­ra nat­u­rale che viene dal­la coscien­za del delit­to, scan­sò sem­pre di trovar­si insieme con il col­le­ga, det­to Pasquale Gesu­al­da, pur essendo tut­ti e due guard­a­boschi, e più tar­di fini fucila­to, ver­so il 1859, per un omi­cidio che gli fu attribuito ma di cui forse non era colpev­ole. Un fratel­lo di Pasquale (det­to Gio­van­ni Pen­naro) tirò una schiop­pet­ta­ta al medico, sen­za ferir­lo, e stette in carcere per 12 anni. Questo Gio­van­ni Pen­naro ver­so il 1860 perì a sua vol­ta in una spedi­zione con­tro i brig­an­ti. Questi ave­vano assal­i­to e deru­ba­to alcu­ni mer­can­ti a Capo di Chi­no, fra Ati­na e Cassi­no, ed una spia fece sapere alla Guardia Nazionale che sareb­bero tor­nati a Casalvieri pas­san­do per uno dei tre pon­ti che era­no sul Melfa, tragit­tan­dosi dal­la spon­da sin­is­tra alla destra. 

La Guardia Nazionale di Casalat­ti­co e degli altri pae­si cus­todirono i pas­si, appo­stan­dosi dietro gli alberi, e in uno di questi pas­si, pres­so la bor­ga­ta Plau­to, era­no in aggua­to un cara­biniere, uno dei miei zii, per nome Vir­gilio Orefice, e il det­to Gio­van­ni Pen­naro. Questi tre sen­tirono i pas­si dei brig­an­ti che si avvic­i­na­vano e mis­ero il gri­do rit­uale: «Chi è là?». Sen­tirono rispon­dere «Ami­ci!» e subito dopo una fila di botte, una delle quali colse Gio­van­ni Gesu­al­da e l’uccise di schianto. 

Vir­gilio se lo (…) fra le gambe per ten­er­lo soll­e­va­to e dife­so, e stan­do dietro un tron­co di albero, segui­tò a sparare con­tro i brig­an­ti, uno dei quali, det­to Tonio Nasi­no, rimase mor­to vici­no al ponte. Soprag­giunse più tar­di una nuo­va squadra di guardie sot­to il coman­do del cap­i­tano Pietro Tad­dei, ma nelle tene­bre non scorsero nul­la e tornarono indi­etro. Solo il mat­ti­no dopo furono trovati i due mor­ti e furono sep­pel­li­ti sen­za funer­ali, fuori del Cam­posan­to, in una sodaglia di Casalvieri. Beppe Scarpa­leg­ghia (?), anco­ra vivente, mi rac­con­ta­va che egli face­va parte del­la squadra con­dot­ta dal Tad­dei, e che dopo molti anni, anda­to a trovare un ami­co a Casalvieri (Anto­nio Rez­za, notaio), lo vide in can­ti­na dare un cal­cio ad un tes­chio e far­lo roto­lare lon­tano. E seppe, con sua grande mer­av­iglia, che era il tes­chio di Tonio Nasit­to, ucciso nel­lo scon­tro di Plauto.

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