25 / LA NOSTRA GUERRA / VITTIME INNOCENTI
Fra i due litiganti, chi ci rimette è la popolazione civile. Le vittime si contano a decine. Non sempre, però, di queste morti violente si conoscono le cause e le circostanze in cui maturarono.
Il primo morto del 1944 è, probabilmente, Guglielmo Di Tomassi, «forse vittima di un’aggressione tedesca»: il cadavere viene trovato all’alba del primo gennaio lungo la via Casilina, a Ferentino. Ma non si sa più di tanto.
Il giorno dopo, a Tecchiena, la reazione della Guardia Nazionale Repubblicana ad un attacco ad un camion carico di grano promosso da un ex brigadiere dei carabinieri, Felice Cataldi, provoca la morte dello stesso Cataldi, di Salvatore Schettini, che è il comandante della G.N.R., e di Giovanni Annecchiarico, un carabiniere di appena 20 anni, oltre ad alcuni feriti più o meno gravi.
Il 4 gennaio, una pattuglia tedesca uccide quattro giovani che, non potendo raggiungere i loro paesi perché oltre il fronte, si sono rifugiati in un vecchio casolare di campagna in località Forcella ai confini fra Arpino e Fontana Liri: sono il tenente Luigi Di Vicinoe il ragioniere Felice Sanità, già in servizio presso il polverificio, e i militari Pasquale Barrettae Michele Bonavolontàgià appartenenti al locale distaccamento militare.
Sempre quel 4 gennaio, ma ad Atina, non lontano dal torrente Mollarino, lo scoppio di una granata uccide Lucia D’Annunzioe la nipote Carmela Corsimentre tentano, invano, di poter raggiungere un ricovero allestito in prossimità della loro abitazione.
Non se la scampano nemmeno i tre giovani toscani dell’84.mo reggimento di fanteria, trasferito da Firenze ad Aquino ed a Piedimonte San Germano per dare una mano a realizzare le opere di difesa della “linea Gustav”, che disertano insieme ad alcune decine di loro commilitoni. Ripresi dai tedeschi, i tre sono condannati a morte dopo un processo sommario. Li ammazzano a Frosinone, il giorno dell’Epifania, al curvone di viale Mazzini, «rei di non aver voluto tradire la Patria servendo il nemico», come si legge sulla lapide che nello stesso luogo ne ricorda i nomi: Pierluigi Bianchi, nato a Fiesole il 26 ottobre; Giorgio Grassi, nato a Figline Valdarno il 18 dicembre; Luciano Lavacchini, nato a Borgo S. Lorenzo il 12 novembre. Anno di nascita, per tutti e tre, il 1924: nemmeno vent’anni.
Ad Aquino, non lontano dalla sorgente dell’acqua sulfurea, quello stesso 6 gennaio, chi dice per le ferite provocate dalle schegge di una bomba, chi perché colpito da una raffica di mitra sparata dai tedeschi, viene ucciso Giovanni Ripache sta tornando a casa dal paese.
Il 7 gennaio, nelle campagne di Monte San Giovanni Campano e di Veroli i tedeschi si danno da fare per “confiscare” bestiame ma uccidono chi, come un certo Pernadi Chiaiamari, cerca di opporsi; il giorno dopo, a Coreno Ausonio viene fucilato Francesco Zagarelli, un ventenne originario di Ausonia. Altri particolari su questo episodio però si ignorano così come nulla di più si sa della fine di Giovanna Di Prospero, di Pescosolido, uccisa mentre raccoglie erba in campagna.
A Cervaro, se gli alleati fossero arrivati con un paio di giorni di anticipo — il 10 invece che il 12 gennaio — sarebbero venuti a mancare tutti i presupposti per il furto di quella moto incautamente lasciata incustodita dal soldato tedesco che ne è consegnatario. Ma così non è ed in tre, tra cui un ragazzo di quattordici anni, la fanno sparire. Non certo per un particolare fiuto da investigatore ma, più semplicemente, grazie alle tracce lasciate dalle ruote della moto sul terreno fangoso il soldato non ha difficoltà a rintracciare il luogo dove i “ladri” hanno nascosta la “refurtiva”. Luogo che, peraltro, ospita gli stessi autori del furto ed altre persone ancora. Il tedesco, dopo aver cercato invano di conoscere l’autore del furto, scarica su alcuni dei presenti tutto il caricatore del suo mitra: si salva, fingendosi morto, dopo essersi gettato dietro una siepe, solo Giuseppe Margiotta(21 anni); muoiono, invece, il padre, Giovanni, Stefanoe Pasquale De Luciae Guido Tomassi.
Due donne di Castro dei Volsci, Lucia Rossi(32 anni) e Lucia Vitaterna(28), il 13 gennaio, scrive don Quirino Angeloni, «mentre si recano a Roma per affari, all’altezza di Ciampino, a causa di mitragliamento da parte di aerei alleati, restano gravemente ferite». Moriranno a Roma, in ospedale.
Se non si muore, può capitare di vivere lunghe e drammatiche agonie. Così accade a Maria Orawiex, Giovanni Guglielmie Antonio Colafranceschiarrestati tutti e tre il 14 gennaio, verso sera, in contrada Santa Lucia di Giuliano di Roma, dove la donna abita con il marito Alceo Anticoli, e subito trasferiti al carcere di Roccasecca dei Volsci.
Ma cos’è accaduto di tanto grave? Ce lo dice don Alvaro Pietrantoni. «Un soldato tedesco, fingendosi di nazionalità polacca e quindi connazionale della signora Maria, si era recato in casa di costei chiedendo abiti civili per disertare: sosteneva che oramai era prossima l’avanzata degli angloamericani. La signora Maria si rifiutò di aiutarlo e gli disse che, se fossero stati veramente accerchiati, avrebbe cercato di salvare anche lui. Il soldato tedesco, forse per ottenere una promozione, trasformò completamente i fatti e determinò l’arresto di quelle persone».
I tre lasceranno il carcere il 3 maggio a seguito di una sentenza assolutoria e quando, ormai, la ritirata delle truppe tedesche non è troppo lontana.
Ancora il 14 gennaio, nelle campagne di Cassino, un ragazzo di 14 anni, Mario Roscillo, mentre lavora con il padre, Giuseppe, alle fortificazioni tedesche, resta gravemente ferito ad una gamba da una granata inglese. Raccolto da una autoambulanza tedesca, viene portato nell’ospedale installato per il collegio dell’abbazia di Casamari. Ma, scrive don Luigi De Benedetti, «sia per la gravità della ferita sia per la frettolosa fasciatura, che non valse durante il viaggio a fermare il sangue, appena giunto a Casamari egli è morto. Il padre, che aveva accompagnato il figlio, si vedeva costretto ad andare a Boville per trovare chi gli facesse una cassa onde seppellire il figlio. Stamani (15 gennaio, ndr), dopo essere riuscito a procurare tale cassa, non trovava nessuno, né tra i tedeschi né tra le autorità civili, che si interessasse di farlo discendere a Casamari con un automezzo. Per cui, doveva egli stesso caricarsi la cassa per il figlio e venire a piedi al Monastero. Non sapendo la strada, ad un certo punto egli ne domandava ad una donna di una casa lungo la via la quale, mossa a compassione di lui, si caricava essa stessa tale cassa e l’accompagnava sino a Casamari».
Dopo i funerali — Mario viene sepolto nel piccolo cimitero dell’abbazia — Giuseppe riprende la strada per Cassino dove lo attende la famiglia, ignara di quanto è accaduto.
Un’altra drammatica storia accade a Castro dei Volsci il 27 gennaio: alcuni soldati tedeschi, accompagnati da un delatore ceccanese, vanno a razziare paglia e fieno in contrada Farneta e Campogagliardo. Gli abitanti del luogo, riconosciuto il delatore, dapprima gliele danno di santa ragione e poi lo prendono in ostaggio, intimorendo gli stessi soldati. Ma, il mattino seguente, il comandante del presidio tedesco ordina la rappresaglia inviando sul luogo una quarantina di soldati con l’ordine di uccidere il primo uomo che fosse stato incontrato nella località: la vittima è la guardia di finanza Nicola De Giuliche morirà il 3 febbraio. E viene anche uccisa Margherita De Carolische i tedeschi ritengono responsabile della “rivolta”.
Il 28 gennaio, due aerei, uno tedesco e l’altro alleato, non trovano niente di meglio da fare che mettersi a duellare nel cielo di Morolo. Evelina Pompi, moglie di Mariano Da Castroe madre di numerosi figli, insieme ad alcune vicine di casa si trova nelle campagne di Villamagna alla ricerca di cibo per i suoi piccoli quando da uno dei due aerei parte un proiettile che le trapassa il corpo: sebbene venga subito soccorsa da un cittadino di Colleferro che la trasporta a casa, Evelina, però, muore.
Sempre il 28 gennaio, i tedeschi organizzano una razzia di bestiame in grande stile alle Monticelle di Falvaterra, in località Collemanno, quasi ai confini con Castro dei Volsci. La notizia di questa azione giunge alle orecchie degli interessati giusto in tempo per mettere il bestiame al riparo al di là del Sacco. Ciò, però, non impedisce ai tedeschi di rintracciarlo e di requisire una ventina di mucche. Ma, quando stanno per andar via con la refurtiva, i soldati vengono aggrediti da un consistente numero di persone che li costringono alla resa ed alla restituzione del maltolto.
Inutile dire che tutto ciò provoca una violenta rappresaglia che si concretizza nella cattura di ben 81 persone — molte delle quali estranee all’aggressione — trasferite, dopo varie peripezie, al carcere di Paliano. A seguito di un sommario processo celebrato il 28 marzo ed il 14 aprile, in otto vengono condannati alla pena capitale. Sono Alfredo Andreozzi, Giovanni Ceccarelli, Luigi Ignagni, Calogero Pedalà, Antonioe Giovanni Ricci, Francesco Rossie Costantino Valeri. Ma Luigi Ignagni ed Antonio Ricci riescono miracolosamente a farla franca.
La sera di quello stesso 28 gennaio, in contrada Settignano, ad Atina, viene compiuto un duplice omicidio: un soldato tedesco, in pieno assetto di guerra, entra nella casa di Leonardo Marino, mezzadro della famiglia Bologna, dove, oltre ai familiari, ci sono anche Guido Leonardie Paolino Mancini, con il chiaro intento di rubare le tre mucche che sono nella stalla. Dopo essersi reso conto della situazione, chiama alcuni commilitoni. Ne nasce una tremenda colluttazione troncata da un colpo di mitra che uccide la moglie di Leonardo, Domenica Vecchione, e Paolino Mancini.
Compiuto il delitto, i soldati portano via le tre bestie che, però, nel giro di un paio di giorni dopo vengono restituite al legittimo proprietario dalla gendarmeria tedesca.
Due sere dopo il duplice delitto di Settignano, sempre in territorio di Atina, ma stavolta a Collealto, lungo il Riomolle, nella casa degli eredi di Pasquale Riccise ne deve registrare un altro, anche questo provocato dal tentato furto di una mucca da parte di alcuni soldati tedeschi. Tra gli altri che tentano di opporsi, il più accanito è Antonio Stisi, soprannominato “Carlaccitto”, che, ferito all’addome con un colpo di pistola, muore dopo qualche ora fra atroci sofferenze.
La notte del 29 gennaio, su tutta la zona compresa tra il monte Cicuto ed il fiume Melfa, si scatena il finimondo. È più che naturale, perciò, che tutti cerchino di guadagnare luoghi meno esposti. In località Macchia di Casalattico una granata uccide Domenico Tortie la moglie Giustina Marini. Ma nessuno, in quell’inferno, può prendersi cura dei loro corpi e provvedere alla loro sepoltura. Quando, di là a qualche giorno, alcuni congiunti tornano alla Macchia restano colpiti da un paio di sorprese: c’è il cane dei Torti che veglia i corpi dei padroni ma, soprattutto, c’è la più piccola dei figli ancora viva che, scrive Italo Fortuna, «era ancora attaccata al seno della mamma. Come si può immaginare la bimba era stremata e ferita. Fu raccolta e curata amorevolmente dagli zii e dai nonni ma le sue condizioni, estremamente gravi, richiedevano ben altre cure che in quel momento la guerra atroce rese impossibili e perciò la morte la colse a Frattaroli, in comune di Settefrati, dove i familiari erano sfollati».
Infine, il 31 gennaio, a Pofi, i tedeschi arrestano ‑ma non si è mai ben capito per quale motivo — don Silvio Bergonzi, parroco della chiesa di San Rocco e di quella di San Pietro, e lo trasferiscono al carcere di Paliano da dove riuscirà a fuggire verso la fine di maggio, riparando presso il locale convento dei Cappuccini. Pare si apprestasse a celebrare una messa di ringraziamento per quella sua fortuita liberazione e per quella dei suoi compagni, quando un proiettile lo colpisce a morte (25, continua).
© Costantino Jadecola, 1994